Rifugiati: e io che posso fare?

Mi capita abbastanza spesso, su questo blog, di parlare di rifugiati che vivono in Italia e delle loro difficoltà. E’ il mio lavoro da 20 anni e anche un po’ più di questo. Molto spesso mi è stato chiesto, sul blog o a voce: ma io, concretamente, cosa posso fare? Annoto qui la risposta che darei io, a beneficio di chi avesse questo dubbio.

Informati e informa. L’Italia è un Paese che non conosce i rifugiati, che non li distingue da tutti gli altri cittadini stranieri. Se le persone conoscessero meglio la realtà delle migrazioni forzate quella cappa di indifferenza che soffoca molte belle iniziative si alleggerirebbe. Nella migliore delle ipotesi dei rifugiati abbiamo l’immagine dell’arrivo a Lampedusa, sul barcone. Provate a chiedervi: riuscirei a immaginarmi un rifugiato un mese, un anno, due anni dopo che è stato soccorso al largo di Lampedusa? Non vi preoccupate, siete in buona compagnia. Informarsi, parlarne, essere in grado di ribattere appropriatamente quando si sentono discorsi inappropriati (anche quelli dall’aria molto civile e seria, mica solo gli slogan razzisti) è importante. Contribuire a diffondere questa consapevolezza è altrettanto importante. Sei un giornalista, magari freelance? Perché non pensi di proporre qualche pezzo originale su questo tema? Quello dei rifugiati è un mondo, gli spunti sono infiniti. Sei un insegnante? Esistono ottimi materiali didattici per lavorare con i tuoi studenti, qualunque materia tu insegni.

Sostieni chi se ne occupa. Ci sono mille modi: con il proprio tempo, con il proprio contributo in denaro (anche modesto), sollecitando il contributo di altri. Sulle donazioni aggiungo una considerazione: avete notato che si finisce con il sostenere più volentieri chi fa progetti altrove, lontano dai nostri occhi e dalla nostra quotidianità? Una scelta controcorrente può essere sostenere soprattutto chi opera qui nel nostro Paese per i rifugiati, non solo le grandi organizzazioni internazionali che hanno una buona politica (e adeguati budget) di comunicazione e magari qui in Italia non hanno progetti significativi. Non dimenticate il sostegno che non vi costa nulla, il cinque per mille. Se lavorate in aziende che hanno o possono prevedere donazioni in denaro o in natura, magari parlatene.

Partecipate. Quando ci sono le giornate organizzate dal Banco Alimentare e dal Banco Farmaceutico, partecipate con generosità e soprattutto diffondete la voce: sono aiuti concreti, importanti, che arrivano dove servono. Ma soprattutto aprite le orecchie rispetto a iniziative sul vostro territorio sul tema di rifugiati: ci sono ormai tante realtà locali che lavorano bene e che vi sapranno suggerire modi concreti per aiutare e, soprattutto, vi daranno l’occasione di incontrare dei rifugiati. E’ un’opportunità importante, per voi e per la vostra famiglia.

Se volete altre informazioni, consigli, suggerimenti, scrivetemi pure. Sarò felice di condividere con voi quello che so: chiara.peri@gmail.com

9 pensieri riguardo “Rifugiati: e io che posso fare?”

  1. Come sai ci lavoro anche io da qualche tempo, ma non ho la tua esperienza… per questo ti ho già fatto delle domande e altre te ne farò ^_^
    Buon lavoro e grazie per la disponibilità

  2. Grazie Chiara, aggiungo un paio di cose che si fanno da noi e che comunque si possono fare facilmente con emigranti e rifugiati. Parlarci. Non mordono, giuro.

    So che si fa fatica, io per prima; per riservatezza, educazione, paura degli sconosciuti, paura di ritrovarti in casa gente che non sa dove andare e di cui non ti potresti più liberare (questa è la paura di fondo, umana e comprensibilissima). Ma qui spesso organizzano delle sessioni di conversazione per imparare la lingua, specie per quelle donne che magari finiscono isolate in casa e non conoscono nessuno. Spesso chiedono a signore che sono casalinghe o pensionate di regalare del tempo per delle ‘ lezioni’ pratiche della propria lingua ad altre donne, magari coetanee. L’ organizzazione che lo fa mette insieme i partecipanti e spesso fa anche delle sessioni di training alle volontarie, per spiegare un po’ la situazione di chi si ritroveranno davanti ed evitare magari gaffe reciproche che potrebbero ammazzare le buone intenzioni e dare indicazioni di metodo a chi comunque insegnante non è. Danno anche delle regole per evitare, aggirare, ammortizzare eventuali situazioni indesiderate. Insomma ci si incontra un oretta per un caffè, si fa una cosa utile, si crea uno scambio umano e soprattutto anche le volontarie spesso hanno piacere di allargare i proprio orizzonti sociali ed è un arricchimento reciproco.

    Una cosa del genere si potrebbe organizzare tramite la propria parrocchia, o altri centri di aggregazione sociale, e forse appoggiandosi a scuole, comune, asili ecc. Una cosa del genere, chi ha figli in scuole in cui magari i dirigenti sono sensibili alla cosa e vogliono collaborare, offrendo gli spazi, per esempio, che essendo neutrali e magari già noti perchè frequentati dai figli, sarebbe bellissimo.

    Certo, questo costa fatica. Tocca sbattersi e darsi da fare in prima persona, ma non c’ è niente di male, quando non si ha il tempo per una cosa così, fare cose più ‘ semplici’ come quelle descritte da Chiara, che comunque sono interessantissime e importanti.

    1. Grazie, Barbara. In effetti ci sono un sacco di buone idee che possono venire se si incontrano le persone. I miei colleghi, in Francia, si sono inventati un progetto di accoglienza a tempo determinato nelle famiglie e nelle comunità religiose: così si evita a ragazzi in attesa che si liberi un posto in un centro di accoglienza di passare uno o due mesi a dormire per strada (cosa comunissima da noi), restando per sempre con l’idea di essere stati trattati da animali proprio nel luogo dove si attendevano sicurezza e protezione. Per i francofoni (o i francoleggenti) trovate una descrizione del progetto Welcome qui: http://www.jesuites.com/actu/2010/welcome.htm

  3. Vorrei capire un po’ di più.
    Vorrei non dover soltanto sentire i morti che arrivano da altre parti del mondo.
    Vorrei sapere se posso realmente fare qualcosa.

    1. Cara Enza, io sono convinta che ciascuno possa fare qualcosa. A partire dal desiderio di capire e di conoscere. Se vuoi scrivimi e se posso cercherò di darti qualche indicazione.

  4. Ciao Chiara, stiamo mettendo insieme un gruppo di persone a Roma per dare una mano, anche con ospitalità, a cittadini Siriani in cerca di aiuto e rifiugio. Puoi aiutarci a capire come muoverci? Grazie!

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