Il nostro viaggio in Turchia


Quando ho preso la decisione di andare quest’estate a fare un giro in Turchia erano soprattutto due le considerazioni che mi hanno spinto: il desiderio di conoscere le parti più “turistiche” che in tanti anni ho sempre snobbato, approfittando anche della congiuntura economica particolarmente favorevole, e il desiderio di riprendere a viaggiare all’estero in un posto dove mi sento comunque di giocare un po’ in casa. La Turchia è decisamente per me un po’ una confort zone, che ha però il pregio di offrire tantissimo in termini di novità, diversità, bellezza.

Riservando le considerazioni più personali a un altro post, riassumo intanto qui l’itinerario e qualche dritta, perché la nostra esperienza possa eventualmente essere di ispirazione per altri. Era un itinerario ben concepito (modestamente), fattibile con i mezzi pubblici, non troppo stancante e di grande soddisfazione. Con il senno del poi, cambierei giusto due particolari: uno degli alloggi scelti e un giorno in meno in una delle tappe, a favore di un giorno in più a Istanbul (premettendo però che la sosta a Istanbul era quasi solo tecnica, con meno di 6 giorni secondo me si vede davvero poco rispetto a quello che la città offre).

Abbiamo volato Turkish Airlines e qui una prima recensione positiva è d’obbligo: ottimo servizio, buon pasto (caldo, con scelta tra due opzioni), molti film, giochi, musica, programmi TV. Il volo è breve, ma tra andata e ritorno ho visto King Richard (la biografia delle Williams).

– Roma-Istanbul-Antalya

A Antalya ci siamo fermate due notti, il tempo di passeggiare un po’ e fare un paio di bagni. Stavamo in un ostello che, sebbene abbastanza spartano, ha incantato Meryem.

Antalya-Çirali

La seconda tappa, leggermente macchinosa ma comunque facile da raggiungere con i mezzi pubblici, era stata scelta per la bellezza del paesaggio e per la Chimera, le fiamme spontanee che si possono vedere con una agevole passeggiata nell’entroterra. La sistemazione scelta poteva essere più soddisfacente, ma il luogo era splendido (la foto che illustra il post è scattata lì, sulla spiaggia di Olympos).

Çirali-Kas

Kas è molto turistica, ma offre ottime escursioni in barca a prezzi ragionevoli (noi siamo andati a fare un classico boat tour comprensivo della città sommersa e di altre calette e anche un’escursione a Meis/Kastellorizo (l’isola dove è stato girato il film Mediterraneo). La cittadina è comunque piacevole, con un bel teatro ellenistico e un paio di scenografici sarcofagi lici. La sistemazione scelta, una pensioncina a gestione familiare, era decisamente soddisfacente.

Kas-Pamukkale

Trasferimento lungo (8 ore) e fatto su mezzo inadeguato: mi sono fatta fregare dalla tentazione di non cambiare minibus e di arrivare “direttamente”. Avrei certamente dovuto scegliere una compagnia più grande, cambiando verosimilmente a Kalkan: mi sarei risparmiata due ore abbondanti di tragitto e un mezzo colpo di calore 🙂 Dormire a Pamukkale è stata una buona scelta per visitare con calma le piscine e Ierapoli. L’albergo scelto offriva molte opzioni di attività (noi abbiamo fatto una passeggiata a cavallo la mattina prima di colazione e anche un massaggio…) e aveva una piscina comoda per rilassarsi e rinfrescarsi. Il villaggio è piccolo e molto tranquillo, a dispetto dell’affollamento del sito.

Pamukkale-Selcuk

Lo spostamento lo abbiamo fatto in treno ed è stato molto confortevole. Il biglietto online ci ha dato qualche problema (serviva un numero di cellulare turco e la mia carta non pareva accettata dal sistema), ma il personale dell’albergo è stato di grande aiuto, organizzandoci anche il trasferimento a Denizli per andare in stazione. Tre notti a Selcuk forse erano troppe. Un giorno abbiamo visitato Efeso (sito straordinario e giustamente famoso), la grotta dei Sette Dormienti e la casa di Maria. Il giorno successivo siamo andate in spiaggia, ma dopo la costa turchese l’esperienza si è rivelata piuttosto deludente. Valeva invece sicuramente la pena di visitare il bel museo archeologico di Selcuk e la basilica di S.Giovanni. L’albergo scelto era, anche in questo caso, estremamente soddisfacente.

Selcuk-Ayvalik

Ayvalik è una località balneare frequentata soprattutto da turchi, con una particolarità: per metà, il centro storico, ha un’atmosfera molto particolare, romantico-decadente e estremamente pittoresca (era abitata soprattutto da greci, prima dello scambio di popolazioni tra Turchia e Grecia, e le belle case nobiliari sono in parte state ristrutturate per diventare boutique hotel, ma resta per le strade una certa autenticità fatta di gatti, vecchie porte e vecchietti che chiacchierano al caffè) e l’altra metà, il lungomare e il quartiere del bazar, fa un po’ il verso a Antalya, con molti negozi e locali. Abbiamo fatto una gita in barca molto economica, tra calette e isolette di fronte all’isola di Lesbo. Il mare era molto bello anche se bello freddo (non era più la temperatura idromassaggio della costa turchese), abbiamo visto i delfini. Unica notazione: in tutta la nave nessuno parlava nulla di diverso dal turco. Cercavano di farsi capire, ma inglese zero. In compenso era possibile comprare birra a fiumi. La pensione scelta era graziosa e comoda, peccato che a me non funzionasse il wifi (ma a tutti gli altri, compresa Meryem, sì, e pure piuttosto bene).

Digressione: gli alcolici in Turchia sono piuttosto costosi. Tuttavia non mi pare siano meno facili di acquistare di un tempo, almeno in queste zone.

Ayvalik-Canakkale

L’ultima tappa l’abbiamo aggiunta soprattutto per visitare Troia, dove ero stata molti anni fa, ma di cui non avevo nessuna memoria. Canakkale è una cittadina tranquilla e piacevole, con un bel lungomare e strade gradevoli con negozi di vario tipo. Segnale le pasticcerie, notevoli, e il dolce tipico, l’halva al formaggio (un forno che lo fa è proprio davanti alla torre dell’orologio). È località da cui si accede ai campi di battaglia della prima guerra mondiale e relativi cimiteri di guerra, ma non sono mai stata appassionata del genere. Troia è raggiungibile, ma non con la facilità che ricordavo. Ci sono dei minibus (circa uno all’ora) e quindi conoscere in anticipo gli orari è quanto mai opportuno. Il sito, anche se meno spettacolare di Efeso, è comunque molto bello, ben tenuto e fruibile. Anche dal punto di vista del paesaggio è gradevole. A un quarto d’ora a piedi dal sito c’è il nuovo museo archeologico, decisamente bello e molto didattico. Il minibus del ritorno ci ferma davanti. La pensione era molto carina e comoda.

Canakkale-Istanbul.

Ultima tappa quasi tecnica per riprendere il volo, giusto due notti e quindi un giorno pieno. Di visitare Istanbul evidentemente non se ne parlava neanche. Ho giusto utilizzato il tempo per infilare alcune attività essenziali: visita alla Basilica Cisterna da poco ristrutturata e alla Suleynaniye, che l’ultima volta era chiusa per restauri; hammam (stavolta opzione storica, turistica e centralissima, ma comunque un classico, quello di Cemberlitas), giro al bazar e sull’Istiklal (ah, lo shopping dell’adolescente!), merenda su terrazza panoramica davanti al Galatasaray e cena da Haci Abdullah, sempre una garanzia anche se ormai molto noto ai turisti visto che è su tutte le guide.

La stazione degli autobus di Istanbul è qualcosa a cui bisogna essere preparati. Lontana dalla città, molto caotica, sarete certamente abbordati da facchini e tassisti non appena il vostro pullman si fermerà. I tassisti di Istanbul tentano notoriamente di farvi fare lunghi giri per carpire soldi ai turisti. Prendete qualche contromisura (controllate che ci sia il tassametro, che in Turchia scatta con la distanza e non con il tempo, se dovete fare tragitti lunghi fatevi chiamare un taxi dall’albergo, non lo fermate per strada davanti a siti turistici, eccetera), ma fate pace con l’idea che magari una o due fregature le prenderete. Io stessa dalla stazione dell’autobus stavolta non sarei riuscita a districarmi se non avessi avuto quattro indigeni a liberarmi dalle premure non richieste dei facchini/sedicenti tassisti.

Ma se Istanbul la vedete per la prima volta, meno di 6 giorni credo che non ci dovreste restare… ma di questo e di come organizzare un itinerario in Turchia che risponda a quelli che più vi piace e utilizzi il tempo al meglio semmai parliamo un’altra volta!

Informazioni pratiche

Gli alberghi li ho prenotati quasi tutti con Booking, tranne quello di Ayvalik per cui ho usato Airbnb. Nella maggior parte dei casi il pagamento non è avvenuto tramite la app, ma in struttura all’arrivo. Visto che c’è un tetto all’importo dei pagamenti tramite POS, vi verranno fatte più transazioni successive… un po’ strano, ma nulla di losco. Ecco dove abbiamo dormito.

Antalya: Hostel Vague

Çirali la salto, perché onestamente non era il massimo.

Kas: Meltem Pansiyon

Pamukkale: Alida hotel

Selcuk: Amazon Petite Palace

Canakkale: Daffne Otel

Istanbul: The Pera Hotel (da non confondere con il Pera Palace). Stanze piccolissime (ai limiti dell’eccessivo) e non panoramiche, ma posizione perfetta e personale simpatico.

Verso la ionica


Per il terzo anno consecutivo sto per trascorrere una settimana a Locri. Abbiamo perfezionato nel tempo questa “soluzione post lockdown” fino a farne una specie di raduno di famiglia. Anche quest’anno avremo la luna piena (mercoledì, per la precisione) e con ogni probabilità, nonostante qualche ansia di mia zia, le cene all’Ultima Spiaggia.

Quest’anno vado sola, Meryem è a Palermo a fare le prove generali di vacanza autonoma. Il tempo passa inesorabile, lo vediamo tutti del resto: non solo dai figli che crescono, ma anche dai genitori/zii che invecchiano e da noi, che una volta eravamo i figli che hanno smesso di andare in vacanza con i genitori, che invece una settimana l’anno ci riaccostiamo al vecchio ruolo e ci facciamo un po’ accudire (ma sempre facendo un po’ finta di essere noi quelli che accudiscono).

Il mio compito, per questa settimana, è cercare di mollare la presa. Conto sul mare di Locri, il primo che ho conosciuto – dalla riva di Ardore. Quello in cui facevo le bracciate con mio padre, in cui saltavo le onde tra le braccia di mia sorella. “Come sul capo al naufrago l’onda si avvolve e pesa…” Già, il cumulo delle memorie da queste parti si fa sentire. Speriamo di essere in grado di nuotarci dentro.

Vacanze con adolescenti


Dopo anni di vacanze sola con Meryem, quest’anno mi è parso saggio osare la vacanza in gruppo, che consentisse la compagnia di suoi coetanei. Sono ancora in mezzo a un’esperienza certamente travolgente e intensa, quindi non ho ancora fatto sedimentare a sufficienza le sensazioni.

Ma oggi una similitudine mi ha colpito con la forza di una rivelazione. Viaggiare in compagnia di un gruppetto di adolescenti è un po’ come andare in barca a vela. Tutti i genitori credo abbiano esperienza di quanto frustrante e faticoso sia avere contro il mugugno di un figlio immusonito, di quale resistenza passiva (o attiva) possa fare al programma in apparenza più ragionevole, quanta violenza sferzante ci sia in alcune frasi buttate lì (“io non ci volevo neanche venire”; “l’anno prossimo piuttosto resto a casa”; “se te ne vai sono più contenta”).

Eppure ci sono momenti, rari e perfetti, in cui si viaggia con gli adolescenti a favore. E allora nulla supera la poesia di vederli ridere di cuore, collaborare, prenderti una valigia dalle mani con premura, rendersi ridicoli insieme a te, con un cameratismo che profuma di giovinezza. La giornata scorre via perfetta e tu, genitore, ti illudi persino che sia un po’ merito tuo. Magari è la volta buona che hai capito quando orzare e quando poggiare, magari sentono la tua mano un po’ più ferma sul timone.

Poi cambia il vento e capisci che, come tutte le grandi fonti di energia, l’adolescenza, quando qualcosa va storto, se ne frega delle tue teorie e della tua esperienza. Qui sull’Etna ci hanno raccontato di quando i marines sono arrivati da Sigonella per fermare una colata lavica, con gran copia di mezzi e di coreografia. La colata alla fine si è fermata a pochi passi dalle case, quando ci hanno portato in processione la Madonnina locale.

Ecco, con gli adolescenti è così. Ci vuole fede, oppure culo. O meglio, un po’ di tutte e due le cose. Ma anche nelle buriane più dolorose è bello conservare l’immagine di quelle ore di navigazione serena e gioiosa, in cui i loro occhi ti hanno illuminato il cammino.

Berlino e me


Quando mi sono trovata abbastanza inaspettatamente a immaginare una vacanza estiva senza mia figlia, non c’è voluto molto per pensare a Berlino. Mi ci voleva un posto dove sto bene, che mi occupasse sufficientemente la testa con pensieri nuovi per non lasciare troppo spazio a quelli vecchi e, allo stesso tempo, non richiedesse sforzi eccessivi, di nessun genere.

Berlino è una delle città dove ho bei ricordi del passato, un posto dove sono tornata più volte, in fasi molto diverse della mia vita e che ho trovato allo stesso tempo familiare e nuova ogni singola volta. Un posto dove capisco un po’ ma non tutto delle lingue più parlate per strada, tedesco e turco, e il ronzio delle conversazioni tra sconosciuti mi è familiare senza davvero distrarmi.

Berlino è dove ho parlato per la prima volta a un convegno in una lingua diversa dalla mia e quell’intervento è diventato un articolo per una rivista che all’epoca consideravo molto fica. Berlino è dove ho comprato un bracciale realizzato piegando una forchetta e un cappello assurdo che in realtà ho messo pochissimo, ma che ho ancora in un cassetto. Berlino è un viaggio fatto solo per andare a un concerto al Tempodrom. Berlino è sempre stata una fantasia di vita possibile e anche un posto dove riabbracciare vecchi amici. Berlino è la prima sala del Pergamon e il segreto piacere di pensarla più importante e bella delle altre, che tutti guardano a bocca aperta.

Anche questa volta Berlino è stata gentile. Sole, nuvolette, cielo azzurro. Percorsi facili, un letto comodo. La sensazione di camminare per strada da sola, anche di sera, vedendo quanto è normale farlo.

Berlino non è proprio Germania, mi dice qualcuno. Certamente Berlino non è un luogo comune. Le spaccature della storia l’hanno resa più elastica. Non credo che ci vivrei, sono troppo romana ormai. Ma starci mi piace sempre moltissimo.

Yayla


I ricordi di infanzia Nizam li ha sempre condivisi un po’ con il contagocce, ma gli animali (mucche, ma specialmente pecore) c’entravano quasi sempre. Così ho imparato la parola turca yayla, che indica i pascoli alti dove si andava d’estate, ma anche la transumanza in sé, con tutto il suo contorno di sapori, odori, racconti. Nizam alla yayla ci andava con il nonno alla fine della scuola e al ritorno tornava a casa con un agnellino come premio. Tante volte poi ho chiacchierato con Barbara Summa dei punti di contatto tra le tradizioni anatoliche e quelle nostrane, che sfilano lungo i tratturi tra Abruzzo e Puglia. I ritmi, le feste, i matrimoni, le doti. Quello strano filo rosso di cose locali, localissime, che allo stesso tempo scavallano i confini e creano collegamenti inattesi.

Credo capirete quindi che emozione sia per me il titolo di questo CD (anzi, doppio CD), che è l’esito di una collaborazione insolita tra Centro Astalli e Appaloosa Records, dovuta al talento e alla generosità di Claudio Zonta. Sto rivivendo un po’ lo stupore di vedere i miei colleghi diventare personaggi di un romanzo di una delle scrittrici che amo di più. Oggi un bel po’ di miei amici musicisti, italiani e rifugiati, si sono dati appuntamento con altri, più famosi di loro (per ora) in un vero prodotto discografico, che sarà possibile comprare nei negozi e sul web. Una sostanziosa parte del ricavato andrà a sostenere i progetti del Centro Astalli nelle scuole, per continuare in questi tempi complicati a far sentire la voce dei rifugiati dove è più urgente e importante che si senta, dove ancora si è disposti ad ascoltare.

Il CD sarà in vendita dal 20 giugno, Giornata Mondiale del Rifugiato, ma fino ad allora abbiamo deciso di lanciare un’idea creativa a cui spero che tanti di voi vorranno contribuire. Da oggi al 20 giugno 2018 vi chiediamo di seguire (se non lo fate già) il Centro Astalli su Facebook e/o su Instagram e di postare sui vostri profili una foto che interpreti l’hashtag #failtuoaccordo (ad esempio mentre suonate uno strumento, ma non necessariamente: ogni interpretazione è valida). Vorremmo dire tutti insieme che esistono accordi per costruire muri, ma anche accordi per oltrepassarli… Non dimenticate di taggare il Centro Astalli (@Centroastalli) e usare l’hashtag #failtuoaccordo, così riusciremo a rintracciare i vostri scatti, che condivideremo sulle nostre pagine social. Tra tutti i partecipanti estrarremo a sorte il vincitore di una copia di Yayla, musiche ospitali.

Mi daresteuna mano a diffondere? Grazie mille a tutti!

Le migrazioni in vacanza (reloaded)


Il tema delle migrazioni è stato uno dei fili conduttori della vacanza in Grecia, forse perché, a guardare bene, le tracce delle migrazioni sono ovunque, quando si guarda con un minimo di attenzione. Sono stati almeno tre i filoni della nostra riflessione di viaggio, in riferimento a tre diversi momenti storici.

  1. Le migrazioni antiche. Questo è stato forse il tema più inaspettato, almeno per me. Leggendo i testi delle domande fatte all’oracolo di Dodona, nel grazioso (e assai poco frequentato) museo archeologico di Ioannina, ci ha sorpreso che svariate di esse riguardassero potenziali migrazioni. “Devo trasferirmi a Crotone con la mia famiglia? I miei affari avranno successo?”. Sarà la deformazione professionale, ma per la prima volta mi sono immaginata le colonizzazioni greche in una luce molto diversa: non arditi civilizzatori di terre lontane, ma padri di famiglia alla ricerca di un futuro per sé e per i propri figli. Uomini pieni di dubbi e di paure, non sorridenti piantatori di bandierine.
  2. La diaspora degli ebrei sefarditi. Nel 1492, lo stesso anno della cosiddetta “scoperta” dell’America, iniziava l’esodo degli ebrei prima dalla penisola iberica e poi dall’Italia meridionale. Una parte importante di loro è arrivato in Grecia. A Ioannina abbiamo incontrato Allegra Matsa, discendente di una famiglia originaria di Siracusa. In una sinagoga molto grande (che non era neanche l’unica della città) ha ripercorso per noi la storia di una comunità ormai ridotta a poche decine di unità. Mi ha colpito sentire che a Ioannina si fermò la parte più povera dell’esodo sefardita: i mercanti, gli intellettuali e le élite fin da subito proseguirono per Salonicco o per Istanbul. Anche allora i rifugiati non erano tutti uguali, evidentemente. C’è stato un tempo in cui la popolazione di Ioannina era composta in parti più o meno equivalenti da ebrei, cristiani e musulmani: a questa convivenza è dedicato il piccolo ma significativo Museo Etnografico che si trova all’interno della moschea Arslan Pasa. Peraltro l’edificio in sé merita senza alcun dubbio una visita.
    Sul tragico epilogo di molte comunità ebraiche d’Europa in Germania avevamo già avuto di riflettere molto, ma in Grecia si toccano con mano le conseguenze irreversibili del genocidio nazista.
    Sulle pareti della sinagoga di Ioannina sono iscritti 1.832 nomi di ebrei deportati (la comunità contava all’epoca 2.000 persone). Era il 25 marzo 1944, mancavano solo 6 mesi alla liberazione, ma quei 6 mesi hanno cambiato per sempre la storia degli ebrei in città e in Grecia. Di tutte queste persone si sarebbe perso anche il ricordo, visto che gli archivi furono bruciati dai nazisti, se non fosse stato per lo straordinario sforzo di Michael Naoum Matsas, uno dei pochi sopravvissuti, che ricostruì la lista completa sulla sola base della sua memoria. L’edificio della sinagoga fu salvato dalla distruzione perché il vescovo e il sindaco chiesero e ottennero dai tedeschi di utilizzarlo come biblioteca.
    Un’altra visita importante per la memoria del genocidio degli ebrei è stato il Museo ebraico di Salonicco. Lì la storia fu, se possibile, ancora più amara che a Ioannina. In una calda giornata del luglio 1942 tutti gli uomini della comunità di età dai 18 ai 45 anni furono riuniti nella piazza della Libertà. Durante tutto il pomeriggio li si obbligò a compiere esercizi fisici sotto minaccia delle armi. In meno di 10 settimane il 12% di questi morirono a causa del deperimento e della malattia. La comunità tessalonicese, aiutata da quella ateniese, riuscì a raccogliere 2 miliardi della somma di 3,5 miliardi di dracme richiesta dai tedeschi per il rilascio dei lavoratori forzati. I tedeschi accettarono di liberarli, ma esigettero in controparte l’abbandono del “cimitero ebraico di Salonicco”, dove vi erano dalle 300.000 alle 500.000 tombe, memoria storica della Gerusalemme dei Balcani. Gli ebrei iniziarono il trasferimento delle tombe verso due terreni che erano stati loro concessi in periferia, ma le autorità comunali, prendendo a pretesto la lentezza delle operazioni, decisero di assumere la gestione dell’operazione. Cinquecento operai greci, pagati dal comune, effettuarono la distruzione delle tombe. Il cimitero non tardò a trasformarsi in una vasta cava, dove i greci ed i tedeschi andavano a cercare pietre da utilizzare come materiale di costruzione. In città diverse chiese e edifici sono stati edificati con quelle lapidi. Al posto dell’antico cimitero oggi sorge l’Università di Salonicco. Il monumento che ricorda la deportazione degli ebrei da Salonicco fu costruito solo nel 1997, in periferia. Gli amministratori dell’Università Aristotele hanno sempre rifiutato di erigere un qualsiasi monumento per ricordare la presenza dell’antico cimitero ebraico sotto le fondamenta degli edifici.
  3. Lo scambio delle popolazioni tra Grecia e Turchia. Ne avevo sentito vagamente parlare, per accenni e in modo piuttosto leggero, ad esempio in questo film, o in questo giallo. Ma a Salonicco per la prima volta ho cercato di saperne di più, colpita da una evidenza sorprendente e abbastanza triste: quasi ogni traccia della secolare storia ottomana della città è stata cancellata, oppure versa nel più totale abbandono. La città, pur affascinante, ancora oggi all’occhio del visitatore attento appare, in qualche misura, ferita.
    In estrema sintesi, nel 1923 i cristiani greci dell’Anatolia vennero trasferiti in Grecia, mentre i cittadini greci di fede islamica furono trasferiti in Turchia. Tale vicenda coinvolse circa due milioni di persone e fu ufficializzata con il Trattato di Losanna, sottoscritto dai governi greco e turco. Parliamo del trasferimento forzato di ben due milioni di persone le cui comunità, in molti casi, vantavano una storia plurisecolare. Parliamo soprattutto della fine traumatica di una convivenza che certamente non fu sempre e ovunque felice, ma che era parte integrante della cultura e dell’anima di quelle terre. Anche in questo caso, come altrove in Europa, si ritenne che l’ “omogeneità” della popolazione dei nuovi stati fosse una garanzia di stabilità per il futuro. Certamente fu l’inizio di grandi difficoltà da una parte e dall’altra (l’assimilazione dei nuovi arrivati non fu così indolore) e anche di un certo rafforzamento di identità contrapposte, con quella religiosa che si salda a quella nazionale, che ha portato nuovi e duraturi conflitti. Io credo, avendo imparato ad apprezzare e amare un po’ entrambi i Paesi, che questa decisione abbia impoverito e penalizzato sia la Grecia che la Turchia, prevenendo probabilmente ostilità gravi nell’immediato, ma gettando le basi per una reciproca estraneità (se non attivo odio e rancore) del tutto in contraddizione con la storia.

Parlando con un simpatico autista Uber delle prospettive dell’Europa, mi ha colpito il fatto che lui insistesse a dire che un tedesco o un nord europeo in genere non ha proprio gli strumenti culturali per capire un greco, un po’ per i pregiudizi (“Dicono che non lavoriamo, io lavoro 12 ore al giorno, in condizioni che nessuno di loro potrebbe sopportare”), un po’ per diversa mentalità. Questo discorso, tutt’altro che raro, dimostra in primo luogo che certamente i pregiudizi sono reciproci. Ma fa anche riflettere sul fatto che in Europa sembriamo aver perso la capacità, se mai a sprazzi l’abbiamo avuta (a me piace pensare che a tratti, in alcuni territori, ci fosse), di trarre vantaggio dalle nostre indiscutibili differenze. Eppure l’unico futuro possibile è un futuro insieme. Vale per l’Europa, vale per ciascuno dei quartieri in cui viviamo.

Viaggio in Grecia: uno sguardo d’insieme


“In Grecia senza macchina?” mi chiedevano, con minore o maggiore scetticismo quelli con cui condividevo i miei piani di viaggio. “Cioè, neanche noleggiandola? Ehm…”.

Ecco, iniziamo da qui. Un viaggio nella Grecia continentale con i mezzi pubblici si può fare, ma certamente ha delle limitazioni. Per raggiungere la meta più bella una macchina per un giorno l’abbiamo infatti affittata. In due o tre occasioni la nostra resistenza e la nostra pazienza sono state messe seriamente alla prova dalla Ktel, l’azienda di trasporti greca. Ma valeva la pena di farlo, senza dubbio alcuno. Vi dirò, certe volte non poter ottimizzare tempi e tragitti (ecco, questo in qualche caso è un eufemismo) costringe a rallentare, a fermarsi una notte in più, a godersi l’atmosfera e soffermare lo sguardo un po’ più a lungo.

La Grecia continentale, in fondo al mio cuore, era da sempre “la Grecia vera“. Senza nulla togliere alle isole amate da molti, me inclusa, quest’anno avevo voglia di un viaggio a più dimensioni, paesaggistiche, storiche e culturali. Ho avuto decisamente pane per i miei denti.

Non vi immaginate nulla di particolarmente eroico. Siamo stati in luoghi che, anche se non sono frequentatissimi da turisti italiani, erano dotati (qualcuno di più, qualcuno di meno) di comode strutture di medio/buon livello, per i nostri standard di viaggi. Ho trovato l’atmosfera generale molto accogliente e rilassante. Anche in luoghi dove c’era un’ampia offerta di attività e servizi, non mi sono mai sentita aggredita o raggirata in quanto turista.

I greci, in questa estate torrida (ma forse in generale), avevano molto a cuore l’idratazione del turista: nei ristoranti appena seduti arrivava una bottiglia di fresca acqua di rubinetto (buona e gratuita), in quasi tutti gli alberghi e AirBnB dove siamo stati siamo stati accolti dall’omaggio di bottiglie di acqua minerale. Il tour che abbiamo fatto alle Meteore includeva abbondante scorta d’acqua e i free Walking Tour a Salonicco avevano fontanelle, storiche ma funzionanti, tra le tappe.

Abbiamo visitato musei bellissimi e moderni nell’esposizione, usufruito di visite guidate godibili e interessanti (a proposito: questa è l’estate che ricorderò per il fatto che Meryem segue ormai tranquillamente una visita guidata in inglese).

Ma credo che mia figlia ricorderà questo viaggio soprattutto per le bellezze naturali: in prima posizione c’è il sorprendente fiume Acheronte, ma anche un mare straordinario, le rocce delle Meteore e il verde intenso del Pelio.

O forse nel suo cuore resterà soprattutto il cibo?

Eccovi, in sintesi, il nostro itinerario di tre settimane. 

  • Bari-Igoumenitsa. Trasferimento (in taxi, la domenica non ci sono autobus!) a Parga.
  • Tre giorni a Parga, uno dei quali impiegato per una giornata intera all’Acheronte (che merita un post a parte!).
  • Ioannina (con visita a Dodona e alle grotte di Perama)
  • Kalambaka e Meteore
  • Quattro giorni a Salonicco, uno dei quali impiegato per una gita a Vergìna
  • Tappa a Volos e trasferimento a Platanià (Pelion). Cinque giorni di mare, comprensivi di gita di un giorno a Skiathos.
  • Trasferimento a Atene.

 

 

 

Parliamo di musei


Scrivo questo breve post prendendo spunto da un’interessante conversazione con Meryem, che mi raccontava che secondo lei i musei non sono ancora, in media, sufficientemente interattivi per risultare interessanti (e se sapesse quanti passi avanti si sono fatti…). Il discorso è nato dall’apprezzamento positivo delle attività proposte al Museo dell’Acropoli di Atene, che hanno reso la visita molto più piacevole e istruttiva.

E’ stata sua l’idea di fare un podio ideale dei suoi musei preferiti tra quelli che ha visitato finora e io ve lo riporto qui, seguito dalla mia classifica. Attenzione: qui non si valuta quanto il museo sia ricco o importante, ovviamente. Piuttosto, la qualità dell’esperienza di visitarlo.

Meryem
1. Museo dell’Emigrazione, Bremerhaven (Germania). Ve lo raccontavo qui. Un’esperienza davvero straordinaria.

2. Museum Speelklok, Utrecht (Olanda). Un museo assai particolare, dedicato agli strumenti musicali che suonano da soli (non saprei dirlo con una parola più adatta). La visita guidata, molto simpatica, prevede ovviamente che vengano fatti suonare. Sorprendente.

3. Museo degli strumenti musicali tradizionali (MELMOKE), Atene, Grecia. Ve ne ho parlato nel post precedente.

Chiara
1. Sulla prima posizione, concordo con mia figlia.

2. Museo Ebraico, Berlino, Germania. Una visita davvero intensa e completa, da ogni punto di vista. Ve ne parlavo qui.

3. Sceglierne solo un altro era difficile, ma alla fine al terzo posto metto la Chester Beatty Library, Dublino, Irlanda.

Da notare che due dei cinque musei menzionati sono gratuiti.

E voi? Qual è il vostro podio? E quello dei vostri figli?

Un assaggio di Atene


Siamo da poco tornate dal nostro viaggio di tre settimane Matera-Atene, di cui vi racconterò presto qualcosa di più. Inizio però dall’ultima tappa, per condividere con voi qualche ispirazione, nel caso vi trovaste a visitare Atene. Premessa: nessuna città degna di questo nome si visita in tre giorni, e noi ne avevano due e mezzo. Però nulla impedisce di godersela, senza alcuna pretesa di esaustività.

Io e Meryem (10 anni) ci siamo arrivate alla fine di una vacanza che ci aveva dato modo di prendere reciprocamente le misure rispetto alle nostre preferenze e interessi in Grecia. Io: storia, archeologia q.b. (quanto basta), architettura, attualità. Lei: attività interessanti, shopping, musica. Entrambe: cibo.

Ecco dunque qualche consiglio, per argomenti.

Dormire. Abbiamo usato con soddisfazione Airbnb, preferendo un appartamento a un albergo e un host che ci ha dato ottimi consigli e, come ci è sempre capitato finora, si è dimostrato molto flessibile e pronto a venire incontro alle nostre esigenze. Eravamo in zona Victoria Square, vicino al Museo Archeologico e molto ben collegato con Monastiraki, epicentro dei luoghi di interesse turistico. [Avete mai usato Airbnb? Se volete farlo per la prima volta potete usufruire di uno sconto di 35 euro facendolo da questo link].

Musei e siti archeologici. Concordo pienamente con i suggerimenti di questo bel post di Genitori Crescono: Museo dell’Acropoli (prima della visita sul sito), Museo Archeologico Nazionale, Acropoli con l’accortezza di fare il biglietto in uno degli altri 5 siti a cui si accede con il biglietto combinato. Una precisazione: fatelo assolutamente, se siete intenzionati a visitarne almeno un altro (io ho amato molto l’Agorà romana con la Torre dei Venti, la Biblioteca di Adriano e la sua splendida Nike e il grazioso e fruibile museo nell’Agorà antico). Se cercate solo un saltafila, è bene che sabbiate che il biglietto combinato costa 30 euro e quello per la sola Acropoli 12. Poi io fossi in voi deciderei che ne vale comunque la pena, specie se si considera che i bambini entrano gratis e che la fila sotto il sole può levare qualunque entusiasmo all’appassionato più zelante, figuriamoci ai compagni di viaggio più giovani. Ma è bene che lo sappiate, ecco.
Non abbiamo avuto modo di visitare il Museo della Filosofia di cui parla Serena nel suo post, ma abbiamo amato molto il Museo degli Strumenti Musicali Tradizionali, frutto dell’appassionata e competente ricerca del musicologo Fivos Anoyanakis. E’ gratuito, molto ben allestito e si trova in uno splendido palazzo d’epoca.

Attività. Merita assolutamente una visita il nuovissimo Centro Culturale della Fondazione Stavros Niarchos, progettato da Renzo Piano. Trascorreteci qualche ora nel tardo pomeriggio, il momento migliore per godersi il parco, dove ci sono anche meravigliosi giochi per bambini e adulti (scacchiere, giochi musicali, gli intramontabili schizzi, un labirinto) e si può godere del panorama e anche dei profumi del giardino mediterraneo. Ci sono molte attività e credo che con il tempo aumenteranno. Noi abbiamo raggiunto il posto con Uber (peraltro efficientissimo a Atene), spendendo 7 euro dal centro, ma siamo tornati con la navetta gratuita che collega con piazza Syntagma.
Un’altra esperienza piacevole è godersi la vista dalla collina del Licabetto: se non fosse stato così caldo sarei scesa a piedi attraverso il bosco (a salire, taxi tutta la vita!), ma invece abbiamo optato per la funicolare, costosetta e non panoramica.

Shopping. Premesso che il mestiere del turista è esattamente cercare paccottiglia per mercatini e non dovreste quindi privarvi di questo divertimento, ci segnalo due negozi di shopping un po’ più ricercato dove ho lasciato il cuore (e anche un po’ di soldi). Almeno il secondo è peraltro dotato di shopping online, quindi se volete portarvi un po’ di Grecia a casa anche d’inverno, avrete modo di farlo. Il primo è Anamnesia, dove ogni articolo (tutti assai instagrammabili, guardare per credere) è corredato da simpatiche spiegazioni sull’oggetto/cibo/città/animale a cui si ispirano (anguria, insalata greca, antipasti meze, riccio…). Il secondo, più noto, è Forget Me Not : Meryem ancora mi tiene il muso per non averle comprato i sandali alati in silicone.

Mangiare. Il cibo greco è assai migliore di quello che mi ricordassi e il livello generale della ristorazione ad Atene mi è parso buono (almeno per chi è un po’ abituato a dribblare le trappolone per turisti). Condivido con voi solo due dritte che abbiamo ricevuto e che abbiamo apprezzato particolarmente. Per un pranzo dopo la visita dell’Acropoli, raccomando To Kafeneio: non dimenticate di dare un’occhiata anche all’interno, la sala è molto bella. Per la cena, il nostro preferito è Melilotos: cucina tradizionale rivisitata, sapori fantastici e personale giovane e premuroso.

Un ultimo consiglio: affacciatevi qui, se vi capita. Noi ci passavamo davanti spesso e una sera abbiamo fatto una piacevolissima chiacchierata. Mi è sembrato che avessero in cantiere molte cose interessanti, quindi ho iniziato a seguirli su Facebook!

Ci sono almeno due o tre posti dove mi rammarico di non essere potuta andare e tanti altri che non conosco ancora. Ma, come ha detto anche Meryem, in questa città torneremo certamente.

Com’è Rimini?


Questa estate è un po’ fuori fuoco. Non saprei come dirlo meglio. Non è che i programmi saltino del tutto, ma certo hanno una tendenza a deformarsi, storcersi, perdere l’asse immaginato per prendere tutt’altra piega. Il tutto per dire che alla fine ho rinunciato a replicare la fortunata settimana a Ventotene dello scorso anno e, presa da un subitaneo impulso, sono andata a Rimini.

La cosa ha suscitato un certo stupore in chi mi frequenta. “Ma come ci siete finite voi due sulla riviera romagnola?”, hanno chiesto alcuni. Mah, ci siamo finite più o meno come siamo finite in Kurdistan o in giro per la Germania: senza pensarci troppo.

Com’è Rimini? Per me è stato il luogo geografico in cui la prospettiva di Meryem si è bruscamente divaricata dalla mia, intanto. Per una combinazione fatale tra mie esitazioni e sue ribellioni, ho finito per rinunciare alla gita a Ravenna (con molto dispiacere). Non ho rinunciato alla visita al Tempio Malatestiano e alla passeggiata per il borgo, grazioso davvero, tuttavia l’atmosfera anche in quel caso è stata un po’ guastata da un velo di mugugno.

Per il resto, Rimini è come me la descrivono: carina, accogliente, fantasiosa. La gentilezza verso il turista regna sovrana. E non con quel vago retrogusto di presa per il culo che a Roma non manca mai nei rapporti tra cliente e avventore, anche quando sono felici. Proprio gentilezza, lineare e aperta, misurata ma non asettica. Mi è piaciuta.

L’affollamento, che temevo (Rimini per la mia famiglia era addotto come simbolo del carnaio in spiaggia da evitare a ogni costo), era reso relativo dall’immensità delle spiagge. O forse anche da un calo di presenze? Non so dire. In stabilimento siamo andate due volte, una a San Giuliano e una a Rimini centro (bagni 24). Un’esperienza interessante, più costosa di quello che mi aspettavo nel primo caso e assai meno costosa di quanto mi aspettassi nel secondo. In futuro non la eviterei necessariamente, ma neanche insisterei per rifarla.

Concludo dicendo, con il cuore in mano, che una terra così ospitale e accogliente si meriterebbe un mare degno di questo nome. Va bene l’atmosfera, la suggestione, le attività, la comodità, i servizi, il cibo (sublime)… ma andare al mare nonostante il mare continua a parermi un po’ bizzarro. Non credo mi ci abituerei.