Le migrazioni in vacanza (reloaded)


Il tema delle migrazioni è stato uno dei fili conduttori della vacanza in Grecia, forse perché, a guardare bene, le tracce delle migrazioni sono ovunque, quando si guarda con un minimo di attenzione. Sono stati almeno tre i filoni della nostra riflessione di viaggio, in riferimento a tre diversi momenti storici.

  1. Le migrazioni antiche. Questo è stato forse il tema più inaspettato, almeno per me. Leggendo i testi delle domande fatte all’oracolo di Dodona, nel grazioso (e assai poco frequentato) museo archeologico di Ioannina, ci ha sorpreso che svariate di esse riguardassero potenziali migrazioni. “Devo trasferirmi a Crotone con la mia famiglia? I miei affari avranno successo?”. Sarà la deformazione professionale, ma per la prima volta mi sono immaginata le colonizzazioni greche in una luce molto diversa: non arditi civilizzatori di terre lontane, ma padri di famiglia alla ricerca di un futuro per sé e per i propri figli. Uomini pieni di dubbi e di paure, non sorridenti piantatori di bandierine.
  2. La diaspora degli ebrei sefarditi. Nel 1492, lo stesso anno della cosiddetta “scoperta” dell’America, iniziava l’esodo degli ebrei prima dalla penisola iberica e poi dall’Italia meridionale. Una parte importante di loro è arrivato in Grecia. A Ioannina abbiamo incontrato Allegra Matsa, discendente di una famiglia originaria di Siracusa. In una sinagoga molto grande (che non era neanche l’unica della città) ha ripercorso per noi la storia di una comunità ormai ridotta a poche decine di unità. Mi ha colpito sentire che a Ioannina si fermò la parte più povera dell’esodo sefardita: i mercanti, gli intellettuali e le élite fin da subito proseguirono per Salonicco o per Istanbul. Anche allora i rifugiati non erano tutti uguali, evidentemente. C’è stato un tempo in cui la popolazione di Ioannina era composta in parti più o meno equivalenti da ebrei, cristiani e musulmani: a questa convivenza è dedicato il piccolo ma significativo Museo Etnografico che si trova all’interno della moschea Arslan Pasa. Peraltro l’edificio in sé merita senza alcun dubbio una visita.
    Sul tragico epilogo di molte comunità ebraiche d’Europa in Germania avevamo già avuto di riflettere molto, ma in Grecia si toccano con mano le conseguenze irreversibili del genocidio nazista.
    Sulle pareti della sinagoga di Ioannina sono iscritti 1.832 nomi di ebrei deportati (la comunità contava all’epoca 2.000 persone). Era il 25 marzo 1944, mancavano solo 6 mesi alla liberazione, ma quei 6 mesi hanno cambiato per sempre la storia degli ebrei in città e in Grecia. Di tutte queste persone si sarebbe perso anche il ricordo, visto che gli archivi furono bruciati dai nazisti, se non fosse stato per lo straordinario sforzo di Michael Naoum Matsas, uno dei pochi sopravvissuti, che ricostruì la lista completa sulla sola base della sua memoria. L’edificio della sinagoga fu salvato dalla distruzione perché il vescovo e il sindaco chiesero e ottennero dai tedeschi di utilizzarlo come biblioteca.
    Un’altra visita importante per la memoria del genocidio degli ebrei è stato il Museo ebraico di Salonicco. Lì la storia fu, se possibile, ancora più amara che a Ioannina. In una calda giornata del luglio 1942 tutti gli uomini della comunità di età dai 18 ai 45 anni furono riuniti nella piazza della Libertà. Durante tutto il pomeriggio li si obbligò a compiere esercizi fisici sotto minaccia delle armi. In meno di 10 settimane il 12% di questi morirono a causa del deperimento e della malattia. La comunità tessalonicese, aiutata da quella ateniese, riuscì a raccogliere 2 miliardi della somma di 3,5 miliardi di dracme richiesta dai tedeschi per il rilascio dei lavoratori forzati. I tedeschi accettarono di liberarli, ma esigettero in controparte l’abbandono del “cimitero ebraico di Salonicco”, dove vi erano dalle 300.000 alle 500.000 tombe, memoria storica della Gerusalemme dei Balcani. Gli ebrei iniziarono il trasferimento delle tombe verso due terreni che erano stati loro concessi in periferia, ma le autorità comunali, prendendo a pretesto la lentezza delle operazioni, decisero di assumere la gestione dell’operazione. Cinquecento operai greci, pagati dal comune, effettuarono la distruzione delle tombe. Il cimitero non tardò a trasformarsi in una vasta cava, dove i greci ed i tedeschi andavano a cercare pietre da utilizzare come materiale di costruzione. In città diverse chiese e edifici sono stati edificati con quelle lapidi. Al posto dell’antico cimitero oggi sorge l’Università di Salonicco. Il monumento che ricorda la deportazione degli ebrei da Salonicco fu costruito solo nel 1997, in periferia. Gli amministratori dell’Università Aristotele hanno sempre rifiutato di erigere un qualsiasi monumento per ricordare la presenza dell’antico cimitero ebraico sotto le fondamenta degli edifici.
  3. Lo scambio delle popolazioni tra Grecia e Turchia. Ne avevo sentito vagamente parlare, per accenni e in modo piuttosto leggero, ad esempio in questo film, o in questo giallo. Ma a Salonicco per la prima volta ho cercato di saperne di più, colpita da una evidenza sorprendente e abbastanza triste: quasi ogni traccia della secolare storia ottomana della città è stata cancellata, oppure versa nel più totale abbandono. La città, pur affascinante, ancora oggi all’occhio del visitatore attento appare, in qualche misura, ferita.
    In estrema sintesi, nel 1923 i cristiani greci dell’Anatolia vennero trasferiti in Grecia, mentre i cittadini greci di fede islamica furono trasferiti in Turchia. Tale vicenda coinvolse circa due milioni di persone e fu ufficializzata con il Trattato di Losanna, sottoscritto dai governi greco e turco. Parliamo del trasferimento forzato di ben due milioni di persone le cui comunità, in molti casi, vantavano una storia plurisecolare. Parliamo soprattutto della fine traumatica di una convivenza che certamente non fu sempre e ovunque felice, ma che era parte integrante della cultura e dell’anima di quelle terre. Anche in questo caso, come altrove in Europa, si ritenne che l’ “omogeneità” della popolazione dei nuovi stati fosse una garanzia di stabilità per il futuro. Certamente fu l’inizio di grandi difficoltà da una parte e dall’altra (l’assimilazione dei nuovi arrivati non fu così indolore) e anche di un certo rafforzamento di identità contrapposte, con quella religiosa che si salda a quella nazionale, che ha portato nuovi e duraturi conflitti. Io credo, avendo imparato ad apprezzare e amare un po’ entrambi i Paesi, che questa decisione abbia impoverito e penalizzato sia la Grecia che la Turchia, prevenendo probabilmente ostilità gravi nell’immediato, ma gettando le basi per una reciproca estraneità (se non attivo odio e rancore) del tutto in contraddizione con la storia.

Parlando con un simpatico autista Uber delle prospettive dell’Europa, mi ha colpito il fatto che lui insistesse a dire che un tedesco o un nord europeo in genere non ha proprio gli strumenti culturali per capire un greco, un po’ per i pregiudizi (“Dicono che non lavoriamo, io lavoro 12 ore al giorno, in condizioni che nessuno di loro potrebbe sopportare”), un po’ per diversa mentalità. Questo discorso, tutt’altro che raro, dimostra in primo luogo che certamente i pregiudizi sono reciproci. Ma fa anche riflettere sul fatto che in Europa sembriamo aver perso la capacità, se mai a sprazzi l’abbiamo avuta (a me piace pensare che a tratti, in alcuni territori, ci fosse), di trarre vantaggio dalle nostre indiscutibili differenze. Eppure l’unico futuro possibile è un futuro insieme. Vale per l’Europa, vale per ciascuno dei quartieri in cui viviamo.

Viaggio in Grecia: uno sguardo d’insieme


“In Grecia senza macchina?” mi chiedevano, con minore o maggiore scetticismo quelli con cui condividevo i miei piani di viaggio. “Cioè, neanche noleggiandola? Ehm…”.

Ecco, iniziamo da qui. Un viaggio nella Grecia continentale con i mezzi pubblici si può fare, ma certamente ha delle limitazioni. Per raggiungere la meta più bella una macchina per un giorno l’abbiamo infatti affittata. In due o tre occasioni la nostra resistenza e la nostra pazienza sono state messe seriamente alla prova dalla Ktel, l’azienda di trasporti greca. Ma valeva la pena di farlo, senza dubbio alcuno. Vi dirò, certe volte non poter ottimizzare tempi e tragitti (ecco, questo in qualche caso è un eufemismo) costringe a rallentare, a fermarsi una notte in più, a godersi l’atmosfera e soffermare lo sguardo un po’ più a lungo.

La Grecia continentale, in fondo al mio cuore, era da sempre “la Grecia vera“. Senza nulla togliere alle isole amate da molti, me inclusa, quest’anno avevo voglia di un viaggio a più dimensioni, paesaggistiche, storiche e culturali. Ho avuto decisamente pane per i miei denti.

Non vi immaginate nulla di particolarmente eroico. Siamo stati in luoghi che, anche se non sono frequentatissimi da turisti italiani, erano dotati (qualcuno di più, qualcuno di meno) di comode strutture di medio/buon livello, per i nostri standard di viaggi. Ho trovato l’atmosfera generale molto accogliente e rilassante. Anche in luoghi dove c’era un’ampia offerta di attività e servizi, non mi sono mai sentita aggredita o raggirata in quanto turista.

I greci, in questa estate torrida (ma forse in generale), avevano molto a cuore l’idratazione del turista: nei ristoranti appena seduti arrivava una bottiglia di fresca acqua di rubinetto (buona e gratuita), in quasi tutti gli alberghi e AirBnB dove siamo stati siamo stati accolti dall’omaggio di bottiglie di acqua minerale. Il tour che abbiamo fatto alle Meteore includeva abbondante scorta d’acqua e i free Walking Tour a Salonicco avevano fontanelle, storiche ma funzionanti, tra le tappe.

Abbiamo visitato musei bellissimi e moderni nell’esposizione, usufruito di visite guidate godibili e interessanti (a proposito: questa è l’estate che ricorderò per il fatto che Meryem segue ormai tranquillamente una visita guidata in inglese).

Ma credo che mia figlia ricorderà questo viaggio soprattutto per le bellezze naturali: in prima posizione c’è il sorprendente fiume Acheronte, ma anche un mare straordinario, le rocce delle Meteore e il verde intenso del Pelio.

O forse nel suo cuore resterà soprattutto il cibo?

Eccovi, in sintesi, il nostro itinerario di tre settimane. 

  • Bari-Igoumenitsa. Trasferimento (in taxi, la domenica non ci sono autobus!) a Parga.
  • Tre giorni a Parga, uno dei quali impiegato per una giornata intera all’Acheronte (che merita un post a parte!).
  • Ioannina (con visita a Dodona e alle grotte di Perama)
  • Kalambaka e Meteore
  • Quattro giorni a Salonicco, uno dei quali impiegato per una gita a Vergìna
  • Tappa a Volos e trasferimento a Platanià (Pelion). Cinque giorni di mare, comprensivi di gita di un giorno a Skiathos.
  • Trasferimento a Atene.

 

 

 

Parliamo di musei


Scrivo questo breve post prendendo spunto da un’interessante conversazione con Meryem, che mi raccontava che secondo lei i musei non sono ancora, in media, sufficientemente interattivi per risultare interessanti (e se sapesse quanti passi avanti si sono fatti…). Il discorso è nato dall’apprezzamento positivo delle attività proposte al Museo dell’Acropoli di Atene, che hanno reso la visita molto più piacevole e istruttiva.

E’ stata sua l’idea di fare un podio ideale dei suoi musei preferiti tra quelli che ha visitato finora e io ve lo riporto qui, seguito dalla mia classifica. Attenzione: qui non si valuta quanto il museo sia ricco o importante, ovviamente. Piuttosto, la qualità dell’esperienza di visitarlo.

Meryem
1. Museo dell’Emigrazione, Bremerhaven (Germania). Ve lo raccontavo qui. Un’esperienza davvero straordinaria.

2. Museum Speelklok, Utrecht (Olanda). Un museo assai particolare, dedicato agli strumenti musicali che suonano da soli (non saprei dirlo con una parola più adatta). La visita guidata, molto simpatica, prevede ovviamente che vengano fatti suonare. Sorprendente.

3. Museo degli strumenti musicali tradizionali (MELMOKE), Atene, Grecia. Ve ne ho parlato nel post precedente.

Chiara
1. Sulla prima posizione, concordo con mia figlia.

2. Museo Ebraico, Berlino, Germania. Una visita davvero intensa e completa, da ogni punto di vista. Ve ne parlavo qui.

3. Sceglierne solo un altro era difficile, ma alla fine al terzo posto metto la Chester Beatty Library, Dublino, Irlanda.

Da notare che due dei cinque musei menzionati sono gratuiti.

E voi? Qual è il vostro podio? E quello dei vostri figli?

Un assaggio di Atene


Siamo da poco tornate dal nostro viaggio di tre settimane Matera-Atene, di cui vi racconterò presto qualcosa di più. Inizio però dall’ultima tappa, per condividere con voi qualche ispirazione, nel caso vi trovaste a visitare Atene. Premessa: nessuna città degna di questo nome si visita in tre giorni, e noi ne avevano due e mezzo. Però nulla impedisce di godersela, senza alcuna pretesa di esaustività.

Io e Meryem (10 anni) ci siamo arrivate alla fine di una vacanza che ci aveva dato modo di prendere reciprocamente le misure rispetto alle nostre preferenze e interessi in Grecia. Io: storia, archeologia q.b. (quanto basta), architettura, attualità. Lei: attività interessanti, shopping, musica. Entrambe: cibo.

Ecco dunque qualche consiglio, per argomenti.

Dormire. Abbiamo usato con soddisfazione Airbnb, preferendo un appartamento a un albergo e un host che ci ha dato ottimi consigli e, come ci è sempre capitato finora, si è dimostrato molto flessibile e pronto a venire incontro alle nostre esigenze. Eravamo in zona Victoria Square, vicino al Museo Archeologico e molto ben collegato con Monastiraki, epicentro dei luoghi di interesse turistico. [Avete mai usato Airbnb? Se volete farlo per la prima volta potete usufruire di uno sconto di 35 euro facendolo da questo link].

Musei e siti archeologici. Concordo pienamente con i suggerimenti di questo bel post di Genitori Crescono: Museo dell’Acropoli (prima della visita sul sito), Museo Archeologico Nazionale, Acropoli con l’accortezza di fare il biglietto in uno degli altri 5 siti a cui si accede con il biglietto combinato. Una precisazione: fatelo assolutamente, se siete intenzionati a visitarne almeno un altro (io ho amato molto l’Agorà romana con la Torre dei Venti, la Biblioteca di Adriano e la sua splendida Nike e il grazioso e fruibile museo nell’Agorà antico). Se cercate solo un saltafila, è bene che sabbiate che il biglietto combinato costa 30 euro e quello per la sola Acropoli 12. Poi io fossi in voi deciderei che ne vale comunque la pena, specie se si considera che i bambini entrano gratis e che la fila sotto il sole può levare qualunque entusiasmo all’appassionato più zelante, figuriamoci ai compagni di viaggio più giovani. Ma è bene che lo sappiate, ecco.
Non abbiamo avuto modo di visitare il Museo della Filosofia di cui parla Serena nel suo post, ma abbiamo amato molto il Museo degli Strumenti Musicali Tradizionali, frutto dell’appassionata e competente ricerca del musicologo Fivos Anoyanakis. E’ gratuito, molto ben allestito e si trova in uno splendido palazzo d’epoca.

Attività. Merita assolutamente una visita il nuovissimo Centro Culturale della Fondazione Stavros Niarchos, progettato da Renzo Piano. Trascorreteci qualche ora nel tardo pomeriggio, il momento migliore per godersi il parco, dove ci sono anche meravigliosi giochi per bambini e adulti (scacchiere, giochi musicali, gli intramontabili schizzi, un labirinto) e si può godere del panorama e anche dei profumi del giardino mediterraneo. Ci sono molte attività e credo che con il tempo aumenteranno. Noi abbiamo raggiunto il posto con Uber (peraltro efficientissimo a Atene), spendendo 7 euro dal centro, ma siamo tornati con la navetta gratuita che collega con piazza Syntagma.
Un’altra esperienza piacevole è godersi la vista dalla collina del Licabetto: se non fosse stato così caldo sarei scesa a piedi attraverso il bosco (a salire, taxi tutta la vita!), ma invece abbiamo optato per la funicolare, costosetta e non panoramica.

Shopping. Premesso che il mestiere del turista è esattamente cercare paccottiglia per mercatini e non dovreste quindi privarvi di questo divertimento, ci segnalo due negozi di shopping un po’ più ricercato dove ho lasciato il cuore (e anche un po’ di soldi). Almeno il secondo è peraltro dotato di shopping online, quindi se volete portarvi un po’ di Grecia a casa anche d’inverno, avrete modo di farlo. Il primo è Anamnesia, dove ogni articolo (tutti assai instagrammabili, guardare per credere) è corredato da simpatiche spiegazioni sull’oggetto/cibo/città/animale a cui si ispirano (anguria, insalata greca, antipasti meze, riccio…). Il secondo, più noto, è Forget Me Not : Meryem ancora mi tiene il muso per non averle comprato i sandali alati in silicone.

Mangiare. Il cibo greco è assai migliore di quello che mi ricordassi e il livello generale della ristorazione ad Atene mi è parso buono (almeno per chi è un po’ abituato a dribblare le trappolone per turisti). Condivido con voi solo due dritte che abbiamo ricevuto e che abbiamo apprezzato particolarmente. Per un pranzo dopo la visita dell’Acropoli, raccomando To Kafeneio: non dimenticate di dare un’occhiata anche all’interno, la sala è molto bella. Per la cena, il nostro preferito è Melilotos: cucina tradizionale rivisitata, sapori fantastici e personale giovane e premuroso.

Un ultimo consiglio: affacciatevi qui, se vi capita. Noi ci passavamo davanti spesso e una sera abbiamo fatto una piacevolissima chiacchierata. Mi è sembrato che avessero in cantiere molte cose interessanti, quindi ho iniziato a seguirli su Facebook!

Ci sono almeno due o tre posti dove mi rammarico di non essere potuta andare e tanti altri che non conosco ancora. Ma, come ha detto anche Meryem, in questa città torneremo certamente.

Una gita a Napoli


La prima volta di Meryem a Napoli non era stata una gran successo. La seconda, modestamente, è stata un trionfo. Alcuni fattori che hanno determinato questo splendido risultato non sono dipesi in alcun modo da me. Altri sì.

Il tempo questa volta era bellissimo. Fa molta differenza, lo ammetto. Meryem aveva tre anni di più. Per quanto l’altra volta fosse stata fantastica, ora è una compagna di viaggio a tutti gli effetti. Anche questo fa differenza. Eravamo sole io e lei. Non sempre essere una madre single mi rende felice, ma come ho detto in altre occasioni, viaggiare in due e più semplice che viaggiare in tre.

Ma veniamo alle migliorie che ho scelto di fare, a partire dalla prima: non optare per la gita in giornata. Napoli è vicina, è vero. Andare e tornare senza pernottare è fattibilissimo. Però se lo si fa ci si perde la cena e il dopocena. Se lo si fa è difficilissimo non sentirsi incalzati dal tempo. Se lo si fa non si ha un posto dove riposarsi un’oretta dopo un’immersione prolungata in una città che definirei, senza dubbio, molto densa. Se noi lo avessimo fatto, in particolare, avremmo rinunciato a un pernottamento nel cuore di Spaccanapoli, alla compagnia e alle indicazioni di due cari amici che si sono trasferiti lì da qualche mese, all’accesso alla terrazza che vedete qui sopra e alla possibilità, direi irrinunciabile, di passare la serata in abbondante e rumorosa compagnia, mangiando pizza e graffe decisamente fuori misura. Meryem non avrebbe avuto la possibilità di dormire per la prima volta in una camera tutta per lei, separata dalla mia. E poi, incidentalmente, due giorni a Napoli non bastano neanche ad assaggiare quello che meriterebbe di essere visto. Quindi sono decisamente in minimo sindacale.

La seconda lesson learned dalla scorsa volta riguardava appunto l’itinerario della visita e la sua preparazione. In sintesi, ci ho rinunciato in partenza. Ho deciso consapevolmente che mi sarei data l’obiettivo di due mete storico-artistiche, una per giorno. Avevo un desiderio preciso per una, la Cappella Sansevero, ma ho lasciato la scelta della seconda alle circostanze e ai consigli che avremmo ricevuto. Per il resto l’idea era passeggiare, godersi l’atmosfera, eventualmente comprare qualche statuina per il presepe. Niente stress da performance turistica, dunque. Alla fine abbiamo passato il primo giorno a Spaccanapoli, tra S. Gregorio Armeno e la Cappella di Sansevero, appunto, immerse in una calca difficilmente descrivibile (era l’8 dicembre!) che però, in qualche modo, siamo riuscite anche a goderci, fermandoci a sentire performance dal vivo a San Domenico Maggiore e svicolando qua e là quando ci andava di respirare. Dopo una splendida serata, terminata con rapido giro in macchina by night fino a Scampia, abbiamo dedicato il secondo giorno alla Certosa di san Martino, che abbiamo raggiunto in funicolare dopo una passeggiata attraverso il mercato di Pignasecca. Tutte e tre le scelte si sono rivelate godibili, interessanti e adattissime sia a me che a Meryem. La Certosa è in splendida posizione panoramica, ha una collezione ricca ma varia e non soffocante (dai quadri ai presepi, passando per carrozze e modellini di navi), offre anche la possibilità di passeggiare nei giardini e di godere una Napoli ariosa e tranquilla, diametralmente opposta a quella del giorno prima. Dopo di che, pranzo a base di fritti al Vomero e metropolitana per tornare in centro.

Meryem si è innamorata di un aspetto di Napoli che forse è difficile descrivere pienamente: la sua teatralità, la musica che non è performance individuale ma dimensione collettiva e travolgente. Alla stazione centrale, intorno a uno dei pianoforti che si vedono ormai abbastanza spesso nei luoghi pubblici in Italia e in Europa, si era formato un capannello di anziani, ragazzi, disabili (forse un gruppo di un pellegrinaggio? chissà) che suonavano, cantavano e ballavano canzoni napoletane della tradizione con una convinzione rara. Decine e decine di persone hanno passato quasi un’ora lì con loro. A un certo punto, dopo un’interpretazione di Torna a Surriento particolarmente intensa, uno degli spettatori si è avvicinato al capo coro e, con le lacrime agli occhi, gli ha dato 50 euro. “Mi avete commosso”, ha cercato di spiegare. Ma i soldi gli sono stati ridati con decisione e persino una certa indignazione. Era chiaro che, a differenza dei gruppi (bravissimi, alcuni) che si avvicendano sul palco naturale di S. Domenico, quel gruppo di persone fosse lì davvero solo per diletto, per passare il tempo, per il piacere di cantare e ballare insieme. Anche se il risultato era decisamente straordinario, da diversi punti di vista.

“E’ il mondo alla rovescia”, cercava di spiegarmi sinteticamente il mio amico gesuita. Per non affogarci dentro, da straniero, bisogna dimostrare enorme flessibilità fisica e mentale. Mi spiegavano, ad esempio, che a Scampia il fatto che un negoziante rilasci lo scontrino non è necessariamente indizio di maggiore onestà. Anzi. Che il metro con cui si giudica facilmente risulta inadeguato. Che per un non napoletano vivere a Napoli richiede un continuo esercizio di verifica e di verità, al di là delle apparenze. Ma questo discorso ci porterebbe ben oltre i limiti di una gitarella di due giorni. Per approfondire questi tarli e queste riflessioni bisognerà tornare, molte volte.

E quindi, alla fin fine, per Napoli consiglio lo stesso approccio che raccomando per visitare Roma (o Istanbul). Non pensate di imbrigliarla in una successione di tappe, di riassumerla, di fare una classifica dei must e di mettere bandierine su una mappa: inchinatevi con umiltà alla metropoli, tornateci spesso e lasciatevi stupire ogni singola volta.

 

Le migrazioni in vacanza


Con il lavoro che faccio e con la gente che frequento (incluso suo padre!), mia figlia sente parlare di migranti e di rifugiati da quando ha memoria (e anche prima, in effetti). Non la ha dunque sorpresa affatto la mia scelta di andare a Bremerhaven, città portuale nella Germania del Nord, con il preciso scopo di visitare il museo delle Migrazioni, la Deutsches Auswanderer Haus. L’ha invece molto stupita quello che ha trovato. “Non sembra affatto un museo!”, ha continuato ad esclamare entusiasta, anche in seguito. In effetti tutta la visita è un’esperienza, intensa, coinvolgente e sorprendente.

In biglietteria ciascun visitatore riceve una carta magnetica abbinata alla storia di due persone: un cittadino europeo emigrato dal molo di Bremerhaven verso l’America e una persona immigrata in Germania a partire dal dopoguerra. Il percorso infatti è diviso in due parti: una racconta vividamente la storia delle migrazione europea e una seconda invece è dedicata alla storia delle migrazioni verso la Germania. In molti punti del percorso, avvicinando la propria carta alle apposite postazioni, è possibile ascoltare particolari della storia della persona che stiamo imparando a conoscere, oltre a diverse integrazioni audio del percorso espositivo. Il tutto è in tedesco o in inglese e ho notato che in biglietteria hanno avuto l’attenzione di assegnare a me e a Meryem personaggi in cui potessimo meglio identificarci, per età.

La prima parte è certamente la più scenografica. La ricostruzione del molo, con gli audio degli addii in tutte le lingue parlate dai migranti e poi la salita sulla passerella della nave sono un inizio di forte impatto. Un altro aspetto interessantissimo è la ricostruzione degli interni delle varie navi, inclusi rumori e odori. A tratto geniali le soluzioni ideate per i pannelli espositivi: particolarmente notevoli quelli consultabili solo sedendosi sulla latrina del piroscafo o girando i rubinetti dei lavabi dei bagni. Notevole anche la ricostruzione dell’arrivo a Ellis Island, con le panchine per l’attesa e il questionario a cui sottoporsi. Nonostante l’ostacolo della lingua, Meryem è rimasta incantata da tutta l’esperienza, potenzialmente ricchissima per quantità di biografie, informazioni, storie di vita (noi ci siamo limitate ai “nostri” personaggi, per non appesantire troppo i tempi della visita).

La seconda parte è concepita come una piccola caccia al tesoro, in cui si devono rintracciare negli stand appositi gli oggetti attraverso i quali si raccontano le storie di migrazioni in Germania: album di foto di famiglia, oggetti personali, documenti. Meryem qui ha avuto da ridire sul fatto che i finti Levis’ cuciti dalla “sua” immigrata vietnamita fossero in mostra altrove, rimpiazzati da una borsa jeans, ma per il resto il tempo è volato e siamo uscite dalle sale appagate e affamate.

E qui il museo ci ha sorpreso ancora, con una caffetteria in assoluta continuità con il percorso espositivo. Su ogni tavolo veniva infatti illustrato un piatto portato dai migranti in Europa e oggi entrato nelle nostre abitudini: la pizza, la paella, il gulasch e, ovviamente, il kebab (che poi era abbinato al tavolo dove ci eravamo sedute prima di notare il tutto!). Abbiamo quindi concluso la visita con cibo buono, prezzi ragionevoli e servizio molto cortese.  La fama di questo museo è, per quanto abbiamo potuto sperimentare noi, assolutamente meritata!

 

La guerra in vacanza


Un po’ me lo aspettavo, ma forse non ero comunque preparata: viaggiando per la Germania (e anche un po’ in Olanda!) la memoria della Seconda Guerra Mondiale è presente ovunque. Avevo scelto di non includere nel nostro itinerario visite a campi di concentramento, per questa prima volta. Ma comunque io e Meryem abbiamo avuto modo di parlare di guerra in più di un’occasione e la cosa l’ha colpita abbastanza. Credo che l’età fosse adeguata e quindi l’esperienza è stata importante. Mi ha fatto piacere poi che legasse la memoria della guerra in Europa a quello che sa della guerra in Siria.

I momenti più significativi della nostra vacanza da questo punto di vista sono stati il Memoriale di St. Nikolai ad Amburgo e, ovviamente, il Museo Ebraico di Berlino. Il primo è stato per Meryem estremamente interessante: siamo entrate nella cripta della chiesa distrutta un po’ scettiche, ma poi le foto e la documentazione ci hanno consentito davvero di fare un tuffo nella storia. Una delle cose che più ha colpito Meryem sono stati i volantini con la lista di cose che ogni famiglia doveva portare con sé al momento di trovare riparo nei rifugi in caso di bombardamento. Questo aspetto così concreto e quotidiano l’ha fatta pensare a cosa faremmo noi in una circostanza analoga. In qualche modo la documentazione del bombardamento della città in tutta la sua crudezza (poi richiamato, in altre tappe, da diversi altri memoriali meno monumentali, soprattutto le campane del duomo di Lubecca lasciate lì dove sono precipitate all’epoca) ci ha aiutato a uscire del tutto dallo raccontino “buoni contro cattivi” in cui si corre sempre il rischio di cadere. Anche i volantini con l’invito ad arrendersi lanciati dagli alleati hanno colpito molto Meryem, così come gli spartiti delle canzoni di propaganda in cui il bombardamento di Londra era motivo di gioia e marcette.

A un certo punto si è chiesta se sia stato più grave quello che ha fatto la Germania (iniziare la guerra e tentare di sterminare del tutto gli ebrei) o quello che hanno fatto gli Stati Uniti (lanciare la bomba atomica). Abbiamo poi convenuto che in guerra tutti arrivano a fare cose spaventose e abbiamo parlato di quanto sia difficile, anche molto dopo la fine di un conflitto, costruire una vera riconciliazione. Questa conversazione, avvenuta ad Amburgo in due tranche (complice una targa appesa a St. Pauli le avevo anche raccontato sommariamente la vicenda della nave Exodus, così abbiamo gettato le basi per parlare di Israele e Palestina…), è stata una delle più significative e intense che ci sia capitato di fare.

Il Museo Ebraico di Berlino è un’esperienza molto ricca e con aspetti diversi. La parte architettonica è incredibile ed evocativa. La parte storica davvero ricca e piena di spunti per coinvolgere i bambini. In una sala si possono scrivere dei desideri su bigliettini e poi attaccarli su un albero di melograno. Meryem ha scritto: “Vorrei che non ci fosse più la guerra”. Lo stesso desiderio lo ha appeso anche su una croce di legno nel duomo di Lubecca su cui i visitatori erano invitati a appendere le loro intenzioni di preghiera.

Tornati in Italia ha deciso di leggere Le valige di Auschwiz di Daniela Palumbo. Lo ha quasi finito e le sta piacendo molto. Mi ha detto che la sta aiutando a capire meglio alcune delle cose di cui abbiamo parlato durante il viaggio.

 

 

 

Un’estate in interrail


E anche questa volta, chiuso con qualche difficoltà l’Invicta Ranger ormai provato dal tempo e dall’uso, siamo tornate. Tre settimane di Eurosurfing sono davvero volate, molto più in fretta di quanto mi aspettassi. Credo che, potendo, ci saremmo fatte serenamente un’altra decina di giorni…

Fedeli agli intenti iniziali, abbiamo scorrazzato un pochino per Germania e Olanda, senza alcuna pretesa di visita esaustiva di alcuno dei luoghi raggiunti. Diciamo che siamo andate un po’ a orecchio e un po’ a casaccio, lasciandoci guidare dalle persone che abbiamo incontrato e dai suggerimenti di chi ci seguiva a distanza. In molti luoghi siamo state coccolate ospiti. Dove non avevamo un appoggio, abbiamo usato con soddisfazione Airbnb. Questa soluzione era molto adatta al nostro viaggio itinerante sia perché pagata in anticipo (fa sempre comodo), sia perché i nostri padroni di casa sono stati davvero gentili, amichevoli e prodighi di informazioni e di consigli. Credo che lo userò ancora e se voleste farlo anche voi, sentitevi liberi di usufruire del mio codice (se è il vostro primo utilizzo, avrete uno sconto di 30 euro).

L’interrail di per sé ci si addice moltissimo. Meryem ha amato molto l’avventura del treno di notte (nonostante la seccatura dei due controlli di frontiera con relativi bruschi risvegli… mi hanno fatto rimpiangere i tempi in cui si lasciava il passaporto al cuccettista!) e in generale ha apprezzato anche gli altri. Io mi sono innamorata della tratta Mainz-Bremen, che costeggia tutto il Reno con scorci davvero suggestivi. La tentazione era di scendere a ogni stazione, ma alla fine non ci siamo pentite della divisione del tempo che avevamo pianificato, se non per il fatto che ci sarebbe piaciuto averne molto di più.

Spero di raccontarvi, in almeno un post dedicato, gli highlight del nostro viaggio, da quelli in qualche misura attesi (il Museo delle Migrazioni di Bermerhaven) a quelli assolutamente inaspettati (la Badschiff Arena di Berlino). Per ora vi lascio con la descrizione sintetica dell’itinerario fatto e vi rimando al mio profilo Istagram per una carrellata di immagini (#interrail #inviaggioconmeryem).

Giorno 1: Roma-Monaco (viaggio di notte)
Giorno 2: Monaco (Museo della scienza e della tecnica, passeggiata in centro, birreria Hofbräuhaus, Englischer Garten)
Giorno 3: Monaco (Englischer Garten bis, pranzo bavarese) Stuttgart

Giorno 4: Stuttgart (municipio, torre della televisione, biblioteca nazionale, terme)
Giorno 5: Stuttgart (zoo Wilhelma)Mainz

Giorno 6: Mainz (Museo della stampa, cattedrale, vetrate di Chagall, museo delle navi romane, giro in macchina e gelato)
Giorno 7 : MainzBrema (giro per centro storico)
Giorno 8: Gita a Bremerhaven (Museo delle migrazioni, giro in barca nel porto), ritorno a Brema (con visita a zio curdo)
Giorno 9: Brema (essendo domenica, rappresentazione dei Musicanti di Brema sulla piazza della cattedrale; giro per il centro)Osnabruck (pizza, lavatrice e pernottamento)
Giorno 10: OsnabruckUtrecht (arrivo, sistemazione e spiaccicamento)
Giorno 11: Utrecht (centro, torre della cattedrale, giro per il centro)
Giorno 12: Utrecht (gita in bicicletta, campagne e mulini; museo dei treni, cena al ristorante Syr)
Giorno 13: UtrechtSchiermonnikoog

Giorno 14: Schiermonnikoog (giornata in bicicletta in giro per l’isola, spettacolo del Circus Salto)
Giorno 15: SchiermonnikoogAmburgo via Gottinga (il giorno di viaggio più lungo!), giro al centro di Amburgo, tunnel sotto l’Elba e cena portoghese
Giorno 16: Amburgo (a
 spasso, parco Planten un Blomen, ruota panoramica, battello sul fiume)

Giorno 17: Gita a Lüneburg
Giorno 18: Gita a Lubecca
Giorno 19: Amburgo- Berlino (Eastside Gallery, gelato, cena da amici)
Giorno 20: Berlino (Neues Museum, giro sull’autobus 100, Kudamm e dintorni, gelateria Erste Sahne-Otivm)
Giorno 21: Berlino (fattoria urbana, piscina nel fiume, pranzo giapponese, Museo ebraico)
Giorno 22: Berlino (colazione coi pancake e – ahimè – volo per) Roma.

Inutile fare l’elenco delle molte, moltissime cose che non abbiamo visto e non abbiamo fatto. Ma guardando indietro mi sento di dire che questo itinerario era un buon compromesso tra le esigenze mie e di Meryem, ci ha divertito e ci ha fatto pensare. Riuscire a incrociare persone diverse e anche bambini in alcuni giorni del viaggio è stato un valore aggiunto considerevole, che ci ha permesso di assaporare meglio i momenti a due. Mia figlia, nell’estate dei nove anni, si conferma una compagna di viaggio spettacolare. E’ curiosa, adattabile, mai lagnosa: queste doti compensano ampiamente quel certo non-so-che di adolescenza che comincia ad affacciarsi all’orizzonte… 🙂

Per ora è tutto. Grazie ancora a tutti i co-protagonisti, volontari e involontari, del nostro Eurosurfing 2016!

 

Eurosurfing: si parte!


Ancora una volta io e Meryem ci apprestiamo a una vacanza itinerante. Dopo la parentesi del viaggio in Turchia-Kurdistan dello scorso agosto, con compagnia quasi fissa, torniamo all’esperienza del friendsurfing, anche se un po’ riveduta e corretta.

La novità principale è che Meryem è cresciuta molto dalla prima edizione, tre anni fa. Oggi, salendo sul nostro treno notturno per Monaco, porterà anche lei uno zainetto e, in generale, il bagaglio sulle mie spalle si è un po’ alleggerito, in senso letterale e metaforico. Il mio zaino Invicta Ranger però è sempre quello, anche se ormai un po’ malridotto: lo stesso da quando sono adolescente, ancora non ho avuto cuore di sostituirlo.

L’altra novità è che l’itinerario si svolgerà praticamente tutto all’estero, in Germania e in Olanda. Cercheremo però di mantenere lo stesso spirito di visita non completamente turistica e anche questa volta l’itinerario (sia pur con qualche integrazione) è stato costruito a partire da alcuni incontri con amici che si trovano lì per lavoro, studio, scelta di vita.

Sentivo il bisogno di bere una sorsata di Europa, dopo quest’anno difficile, in cui il sogno Schengen che ha accompagnato tanta parte parte della mia giovinezza ha vacillato così fortemente. Ho voglia di guardare qualche piccolo particolare di bellezza, di capire meglio, di passeggiare verso nord.

E Meryem? Per lei sarà il primo interrail. Spero che se lo goda tutto e che apprezzi questa ulteriore opportunità di cogliere la varietà e la ricchezza di questo nostro vecchio continente, un mosaico di minoranze di cui non dovremmo mai dimenticare la magia.

P.S.: Come sempre saremo su Facebook, Instagram e Twitter. L’hashtag di riferimento è #inviaggioconmeryem

Cose che ora so di Brescia


Una rapida trasferta, con la testa un po’ affollata di pensieri, preoccupazioni, cose sospese. Confesso che alla fine io Brescia, nel vuoto grigio dello studio scolastico della geografia, non la collocavo neanche tanto. Tre anni fa il primo friendsurfing  mi aveva almeno consentito di ancorarla in qualche modo a Salò e questo mi ha risparmiato ieri alcune pessime figure, che avrebbero dimostrato inequivocabilmente la mia ignoranza storica oltre a quella geografica.

Riassumendo prima di stramazzare, mi annoto le cose apprese:

  1. Brescia ha un centro storico bellissimo, ma proprio bello bello, di quelli che ti riconcilia con l’Italia monumentale. Ideale per passeggiarci con un’amica incontrata finalmente vis-à-vis.
  2. A Brescia e dintorni l’inquinamento è una cosa seria: http://www.ambientebrescia.it/CaffaroRepubblica.pdf
  3. Le valli vicino a Brescia sono posti assai particolari, per vita sociale e folklore, dove si lavora molto, si guadagna (ancora) tanto, si producono alcuni prodotti che si vendono bene un po’ ovunque e sempre (anche posate, ma soprattutto armi).
  4. Tutto questo però si concilia in qualche modo anche con l’indefessa attività di alcuni altrettanto alacri sognatori: c’è chi sogna un  museo bellissimo (e raccontandotelo anche solo per cenni riesce a farti venir voglia di visitarlo, quando ci sarà), c’è chi sogna la pace e un mondo più giusto.
  5. A Brescia c’è almeno un posto dove si mangia da Dio, curati e coccolati da un vero cuoco (che spesso e volentieri cucina per una vecchia gloria del calcio che, contrariamente a ciò che credevo ingenuamente io, non solo non è vegetariano ma si diletta a procacciarsi da sé la non-verdura di cui è ghiotto).

Una trasferta che valeva la pena di fare, pur nei tempi risicati. Grazie a chi l’ha provocata!

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