Ieri dicevo al mio amico Pietro che mi pare che sulla questione della scuola in presenza adesso non ci siano proprio le condizioni per confrontarsi. Siamo tutti troppo arrabbiati e esasperati, ciascuno per le sue ottime ragioni. Nelle conversazioni sui social si finisce per etichettarsi come caricature delle idee che ciascuno argomenta. Si esibiscono dati scientifici tanto quanto la loro mancanza per dimostrare la correttezza di tesi di cui ci siamo già convinti.
La verità è che di questa situazione nessuno ha modo di capire davvero un granché. Della pandemia, certo, ma soprattutto delle enormi implicazioni che ha sulla nostra vita e su quella delle persone che amiamo. E, a essere del tutto onesti, la situazione è spaventosa anche perché porta al pettine con grande evidenza i punti di rottura del sistema, quelle cose su cui non si sono fatti progressi da troppo tempo perché non considerate priorità.
Un esempio per tutti: non c’è modo di dimostrare che la DAD non funzioni, né che funzioni, al di là del limitato osservatorio dell’esperienza diretta nostra e dei nostri conoscenti. Ma è pur vero che, in generale, non c’è modo di valutare l’efficacia della didattica della scuola italiana, in generale. Ci sono alcuni indicatori (abbandono scolastico, registrazioni assai discutibili dei test Invalsi), ma nel complesso si è alla preistoria e non c’è stata una volontà reale di parlarne al di là degli schieramenti ideologici e dei circoli dei portatori di interesse.
La visione della serie Sanpa mi ha fatto pensare a quanto manchi, certo in Italia, ma forse un po’ in generale, un dibattito serio e critico sulle grandi trasformazioni sociali, non inquinato dalle logiche più immediate del consenso e del potere. La scuola, la genitorialità, la famiglia, la droga, la salute mentale… Di molte cose sarebbe importante parlare, molte esperienze dolorose fatte singolarmente e collettivamente restano confinate all’aneddotica, alla polemica sterile e polarizzata, senza che se ne tragga alcun vantaggio.
Al lavoro sono stata coinvolta nella redazione di una nuova rivista, Dromo, che si pone proprio come luogo di osservazione e analisi dei cambiamenti, soprattutto dal punto di vista di chi opera come professionista della “cura” (psicologi, assistenti e operatori sociali, medici, operatori della giustizia, ma anche insegnanti e secondo me genitori). Mi fa piacere di avere questa opportunità, piccola, a suo modo limitata, ma che mi restituisce un po’ di cibo per la mente e un pizzico di utopia.
Il primo numero è online qui: https://www.dromorivista.it. Mi piacerebbe sapere che ne pensate.