Non è uguale

Giornata del Rifugiato amarissima, quest’anno. Per le stragi continue che non impressionano più nessuno al punto che abbiamo fatto lutto nazionale per una persona ignorando la morte di centinaia di innocenti. Per l’accordo europeo che ufficializza il prezzo irrisorio di quelle vite, quantificando gli euro necessari a essere dispensati dal salvarle. Per un ministro dell’interno che può andare a qualche centinaia di metri da cadaveri di bambini e dire che lui no, non potrebbe mai essere un rifugiato perché gli hanno insegnato a chiedersi cosa fare per cambiare in meglio il suo Paese. Per i giovani dirigenti statali che la settimana scorsa ho sentito parlare di riparti, stalli e altre incombenze certamente penose, che però coinvolgono centinaia di persone sofferenti e neppure una parola di quei discorsi lo faceva trasparire.

Oggi penso a quelli che hanno preso e prendono, ciascuno per la propria responsabilità, le decisioni che compongono quelle “politiche sull’immigrazione” che decidono della vita di tanti. Alcune, in questi 25 anni, le ho conosciute. E mi rendo conto di aver smesso di sperare che almeno uno di loro, magari a livelli più bassi, faccia entrare la giustizia e l’umanità in quelle decisioni.

Stamattina, ascoltando su Spotify in Cd Shahida, realizzato da Claudio Zonta per il centro Astalli, grazie alla generosità di tanti artisti, sento il bisogno di ricordare a me stessa che non devo, non dobbiamo arrenderci al cinismo che dilaga. Fosse solo non smettendo di chiamare le cose con il loro nome, ostinatamente. Resistendo, insomma.

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