Ci siamo andate anche noi a vedere il Piccolo Principe al cinema, convinte dalle molte recensioni entusiastiche dei miei amici sui social. “Non vorrai essere una fondamentalista saintexuperiana anche tu”, mi sono detta. Restava una perplessità di fondo: io mica c’ero riuscita ad appassionare Meryem al libretto che ho stretto al cuore in almeno quattro lingue diverse (incluso ebraico e turco) e che ha fatto da contrappunto più alla mia adolescenza e giovinezza che alla mia infanzia. E in effetti, a pensarci bene, mi ero pure già data una spiegazione: i miei sospiri sull’addomesticamento della volpe, sulle separazioni, sul tempo speso per la tua rosa che ha reso la tua rosa così importante sono stati per me legati a sospiri di amori possibili e soprattutto impossibili, a una malinconia consapevole che in una parabola così lieve trovava una forma poetica e le opportune tinte pastello acquerellate che la rendevano meno lagnosa. Nulla di strano dunque che non riuscissi a comunicare questo al solido orizzonte di concretezza di una bambina di 6-7 anni. All’epoca, dunque, desistetti.
Ieri dunque siamo andati al cinema e ho scoperto un’altra interpretazione, tra le mille possibili, del libro. Il Piccolo Principe come ode all’infanzia perduta, schiacciata dalla programmazione compulsiva e dalla vita eccessivamente frenetica dei genitori di oggi (redimibili, almeno in parte, sul finale). Peccato che per rimpolpare la narrazione, un po’ troppo evanescente e allusiva per i ritmi cinematografici odierni, sia stata aggiunta tutta un’altra vicenda, che sottraeva del tutto il bambino diafano e biondo all’atmosfera sognante e rarefatta del libro per farlo protagonista di un’avventura come un’altra, con i dovuti colpi di scena e lo scioglimento finale.
La cosa mi ha lasciato interdetta. Non scandalizzata, ci mancherebbe. Ma interdetta sì. Il risultato finale non ha impressionato molto Meryem (però magari è stata condizionata dalla reazione tiepida mia e di suo padre) e tutto sommato mi ha lasciato un’idea di compromesso mal riuscito.
Peccato, perché la grafica delle parti evocative delle illustrazioni del libro era effettivamente stupenda e a suo modo poetica di per sé. Però non ci ho ritrovato nulla del libro che ho amato, se non discretissimi accenni qua e là (e anch’essi a tratti appesantiti di interpretazioni). Forse era l’unico modo per realizzare un lungometraggio da una parabola tutto sommato assai breve, senza trasformarla in una specie di odissea intergalattica (come fa invece il cartone animato, che pure non ho amato affatto). Ma tutto sommato forse l’avrei lasciata lì, la piccola parabola. A parlare con il suo linguaggio, con i suoi tempi e i suoi ritmi, senza popcorn e senza merchandising.
Noi siamo andati ieri, due mamme con un paio di ragazzini di dodici anni. Dell’altro ragazzino non so, è stato abbastanza chiacchierino tutto il tempo e non abbiamo capito se per nascondere l’emozione (l’età è quella) o semplicemente perché annoiato. Noi due mamme ci siamo commosse (dicendoci che forse è un momento in cui ci commuoviamo troppo per un sacco di cose), Mio figlio lo ha adorato. E’ tornato a casa e ha abbracciato suo padre dicendo “credevo che fosse noioso e invece è una storia bellissima!!!” (con tutti e tre i punti esclamativi e forse qualcuno in più).
Io credo in effetti che fosse l’unico modo per rendere uno dei possibili significati del libro (io l’avevo interpretato così, come la preservazione della nostra parte bambina), e per rispettarlo, citandolo senza modificarlo ma usandolo per raccontare una storia che vi si ispirasse. Sono comunque contenta che mio figlio abbia potuto in questo modo avvicinarsi a un libro a cui neanch’io ero mai riuscita ad appassionarlo. chissà, forse ha solo bisogno dei suoi tempi… diversi per ogni bambino.
Ne approfitto per gli auguri 🙂
Auguri, cara! E grazie per il tuo punto di vista, che certamente tempera il mio.
al mio dodicenne è piaciuto molto forse perchè è proprio nel periodo in cui cerca in tutti i modi di rimanere bambino mentre tutti intorno gli chiedono -e spesso (come a scuola) pretendono – che invece si comporti da grande. ed è straziante perchè l’essere bambino non tornerà mai più e potrai solo conservarne le tracce (sempre che tu riesca e troppi adulti non riescono). la vedrei così: è una bella storia ispirata al piccolo principe.
l’altro figlio – 8 anni – non so cos’abbia capito, ma la storia dell’adulto che deve ogni tanto ritornare bambino ha colpito anche lui.
ciao!!!