Se gioventù sapesse

Ieri passeggiavo per Testaccio con un gruppo composto prevalentemente da architetti e ho sentito che parlavano fra loro degli anni universitari e delle aspettative che alcuni docenti avevano creato in loro. Considerando che praticamente nessuno del loro gruppo di amici aveva poi fatto carriera nell’ambito dell’architettura, l’argomento portante del discorso era: i nostri professori non avrebbero dovuto lasciarci intendere che avremmo cambiato il mondo, che avremmo lavorato a progetti avveniristici capaci di ridisegnare le nostre città. Avrebbero più onestamente dovuto prepararci a un lavoro al catasto, alle occupazioni più modeste che realisticamente i nostri studi oggi, qui, potevano aprirci.

Immaginerete quanto familiare mi sia suonato questo discorso. Anche noi, all’università, volevano cambiare il mondo. Certo, più modestamente ci saremmo limitati ai libri di storia e al sistema accademico italiano, ma era pur sempre un cambiamento che si è rivelato molto al di là della nostra portata. Mi sono chiesta allora, ieri mattina, se mi sentivo di condividere quell’argomentazione, che a mio tempo ho sostenuto io stessa decine e decine di volte, identica.

Consapevole di semplificare molto la questione che semplice non è (ma questo è un blog, quindi io lo scrivo e voi lo leggete per puro amore di discussione, pour parler), direi che no, non la condivido questa argomentazione. Io credo che a vent’anni si deve essere convinti di poter cambiare il mondo e se i ventenni non ne sono già convinti di loro, sta a chi li educa portarceli. Ma questo non prepara alle professioni, direte voi (e tante volte ho detto anch’io). Questo crea generazioni di giovani immaturi troppo ambiziosi ed arroganti, restii ad assumersi le loro responsabilità e irrimediabilmente choosy. E qui, quando io stesso l’ho detto, mi sbagliavo. La maturità, l’assunzione di responsabilità, la propensione al sacrificio in vista di qualcosa di cui vale la pena davvero, non si insegna abbassando l’orizzonte e trasmettendo cinismo e limitatezza. Per tutte quelle cose conta solo l’esempio e magari è rispetto a questo, e non per i discorsi ideali, che i docenti universitari (ma non solo loro) troppo spesso zoppicano gravemente.

Il mondo non bisognerebbe mai smettere di volerlo cambiare. Chi investirebbe tutta la propria anima e tutta la propria mente per essere un competente impiegato? L’unico modo realistico per rialzarsi dopo ogni batosta è guardare alto, in generale. Poi, nel rialzarsi da terra, confido che si impari anche ad essere competenti impiegati, ma possibilmente anche cittadini curiosi, aperti, entusiasti e disposti a rischiare qualcosa di proprio per un bene più grande.

4 pensieri riguardo “Se gioventù sapesse”

  1. Questo mi ispira, anche nei miei anni quaranta, di seguire credendo che io, non in un senso donchisciottesco ma attraverso mezzi compassionevoli, posso cambiare il mondo. Grazie. ~Camilla

  2. Secondo me anche da impiegato del catasto puoi cambiare il mondo. Magari non tutto il pianeta, ma tutto dipende dalla passione con cui fai le cose, dall’attenzione e l’energia che ci metti, dall’impegno, e dall’esempio che dai. Io mi immaginavo diplomatica e sono diventata tutt’altro, sono soddisfatta e orgogliosa del mio lavoro e ho imparato che a volte basta un sorriso, un gesto o una parola per *cambiare il mondo* 🙂

  3. Senza sogni non si va da nessuna parte!!! Penso che il grande male della nostra società sia proprio la sfiducia nella nostra capacità di cambiare il mondo. Un mondo, forse, piccolo, vicino, ma pur sempre un mondo. Il nostro mondo. Non arrendiamoci, a nessuna età. Grazie per la condivisione e buona serata.

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