Frammenti e ammissioni

Sentivo parlare di questo film fin da quando lo stavano girando e questo poteva essere un buon motivo per non andare a vederlo. Se devo essere del tutto onesta, avevo avuto anche modo di farmi alcune idee sull’opera in sé che ancor di più potevano portarmi a risparmiarmelo. La ciliegina sulla torta ce l’hanno messa i social: da quando è uscito, me lo riproponevano in forma di post sponsorizzato letteralmente in tutte le salse. Avete presente quando camerieri troppo zelanti insistono per farti sedere ai tavolini di un ristorante dove magari senza tutta quell’insistenza ti saresti pure seduto? Ecco, da quando l’algoritmo ha stabilito che questo film corrispondeva ai miei interessi, avevo ancora meno voglia di vederlo.

Ma per fortuna odio essere condizionata e in un angolo della mia mente ho continuato ad ammettere a me stessa che l’idea alla base di questo film/documentario era indubbiamente buona, anzi unica. Quindi ieri sono andata alla Sala Troisi, da sola, in uno scampolo di una giornata forse non storta, ma certamente anomala.

Ripensandoci ora, mi chiedo se in fondo non mi augurassi di trovare un motivo intelligente per confermare i miei pregiudizi negativi. Forse. Comunque non l’ho trovato. Mi è piaciuto moltissimo. A tratti mi ha persino commosso. Perché è vero quello che dicono le critiche: è talmente individuale, talmente spudoratamente messo a fuoco su una singola persona, da avere un guizzo di universalità. È come se l’autoreferenzialità fosse spinta talmente oltre da traboccare nel suo opposto.

Rimuginare sull’amore e sulla memoria, sulla nostalgia e sulle conseguenze delle scelte, fatte e subite, ha un fascino a cui è difficile resistere. E chi non ha mai fantasticato di chiedere a chi abbiamo amato e a chi ci ha amato quella terribile e potente domanda evangelica: “Voi, chi dite che io sia?”. Ecco, la regista lo ha fatto. Anzi, lo ha fatto fare da altri, filmandolo, trasformando la cosa da una specie di esercizio retorico individuale in una indagine spietata e a tratti degna dell’Edipo Re.

Stamattina ne ho parlato a mia figlia, che ha 16 anni. Spero di averla incuriosita abbastanza da vederlo anche lei. Lei che comincia solo ora a archiviare in scatole colorate i primi passati amori. E che ha detto che quello che ha fatto Chloé Barreau è geniale e un giorno vorrebbe farlo anche lei. “Riconoscendole il merito di averci pensato per prima, ovviamente”.

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