Come l’erba sono i giorni dell’uomo, come il fiore del campo, così egli fiorisce. Lo investe il vento e più non esiste e il suo posto non lo riconosce (Salmo 102:15-16)
Ieri sera Nizam mi raccontava che un signore egiziano, titolare di un negozio di kebab, l’altra sera è morto in un incidente. 48 anni. Tornava a casa in motorino con la moglie. E la sua vita è finita così, senza appello. E’ il secondo tragico incidente di cui ho notizia, questa settimana. Cercavamo su internet la notizia e abbiamo realizzato, in quelle righe e righe del motore di ricerca, quante persone perdono la vita così, in un momento, ogni giorno. Quante persone si lasciano dietro. Quanti progetti, piani, programmi restano appesi lì, senza più senso.
In questi giorni sto leggendo un giallo, uno di una serie che mi affascina oltre misura. Si tratta dei libri di Maurizio De Giovanni, ambientati nella Napoli fascista. Il protagonista, il commissario Ricciardi, ha una strana peculiarità. Vede i morti e, più precisamente, i morti di morte violenta. Ma non ci può conversare, come Bruce Willis ne Il sesto senso. Sarebbe troppo facile, visto il suo mestiere. Li vede fermi nel momento in cui sono morti e riesce a sentire l’ultimo pensiero che hanno formulato. Solo quello. Tipo lo scaricatore di porto travolto dalla cassa che pensa “Ancora una e poi vado a casa”. Trovo incredibilmente azzeccata questa trovata letteraria. Coglie pienamente quello che io e Nizam ci siamo detti ieri: è incredibile a volte pensare quanto siamo e restiamo fragili, precari, facili da falciare via. Indipendentemente dalle sicurezze che pensiamo (o meno) di esserci costruiti.
Sarebbe bello proporre ai tuoi lettori di immaginare il proprio ultimo possibile pensiero. A caldo mi viene: “sono stata davvero felice e anche terribilmente infelice. Ma rivivrei tutto”.
Non augurerei però ai miei lettori di morire di morte violenta… 🙂
ahahaha, no di certo! Mi riferivo ad un ultimo possibile pensiero di prima di morire di qualunque morte…
Si, siamo fragili e quasi mai ci godiamo la vita al massimo, giorno per giorno, pensando che potrebbe essere l’ultimo.
E’ il mio pensiero fisso di questi giorni, avendo vissuto da “vicino” l’altro incidente di cui accennavi.
Una coppia innamoratssima fin dai tempi della scuola. Una coppia serena che (come spesso mi dicevano) non avevano mai litigato. Due figli meravigliosi e piccoli, troppo piccoli.
Uno alle 8 di mattina ece di casa come sempre, per lavoro, ti da un bacio e poi niente più.
In pochi secondi una vita spazzata via, una moglie e una madre che deve re-inventarsi una vita da capo, due bambini che mai più rivedranno il padre che (tra l’altro) adoravano. Una famiglia dilaniata!
Siamo fragili, fragilissimi. Ma ieri questa donna ha avuto la forza di parlare al microfono al funerale del marito (e cognato) dicendo quanto fosse stata fortunata a conoscere e a vivere con quell’uomo e che ora lei vorrà, DOVRA’ fare proprie e insegnare ai figli tutta la forza, l’amore, il rispetto che suo marito ha sempre avuto verso di lei e verso il mondo!
Il che ci dovrebbe permettere di relativizzare tante cose per le quali ci facciamo venire mal di pancia e mal di cuore…
Ouch, probabilmente il mio ultimo pensiero, se morissi di morte violenta, sarebbe “Ecchecc…”.
Interessante la tua recensione, appena ho finito la mia scorta prenoto questi gialli in biblioteca.
Quest’estate mia zia e noi con lei abbiamo imparato, o meglio abbiamo dovuto imparare, come sia fragile e spesso insensato fare programmi, sentirsi sicuri di poter fare tutto, guardare al domani con leggerezza e serenità. Basta poco e tutto, letteralmente, crolla. Ma sono anche quei programmi e quell’aver vissuto fino all’ultimo senza nemmeno immaginare che poteva finire così, mettendoci ogni momento tanta tanta energia, che adesso le e ci permettono di andare avanti; per rispetto a chi ha vissuto in quel modo, per rispetto ai programmi e ai sogni di chi non c’è più e che nel possibile ci sentiamo in dovere di onorare noi.
ecco, la wish list si allunga: dovrò necessariamente chiedere a babbo natale.
L’umanità è recisa come canne in un canneto.
Sia il giovane nobile, come la giovane nobile
sono preda della morte.
Eppure nessuno vede la morte,
nessuno vede la faccia della morte,
nessuno sente la voce della morte.
La morte malefica recide l’umanità.
Noi possiamo costruire una casa,
possiamo costruire un nido,
i fratelli possono dividersi l’eredità,
vi può essere guerra nel paese,
possono i fiumi ingrossarsi e portare inondazione:
(il tutto assomiglia alle) libellule che sorvolano il fiume
il loro sguardo si rivolge al sole,
e subito non c’è più nulla.
Il prigioniero e il morto come si assomigliano l’un l’altro!
Epopea Classica di Gilgamesh, tav. X, 303-318.
trad. G. Pettinato
Il mio ultimo pensiero prima di morire? “e ora? ci sarà mamma?”
P.