Liberiamo tre ricette! Anzi, quattro!

Oggi la mia cucina, anche se piccola, ospiterà ben due amiche. L’occasione è di quelle che non si dimenticano e che ti fanno sentire fiera di navigare la rete in così ricca e bella compagnia.

Liberiamo una ricetta: farfalline di Sirkeci

Io mi cimenterò in una ricetta consona al titolo esotico di questo blog. Molto semplice, ovviamente, ma con un tocco a sorpresa. L’ho presa in un libro che vorrei aver usato di più e che ho comprato molti anni fa a Istanbul. Per fortuna è bilingue (turco e inglese) e raccoglie le ricette raccontate dagli anziani ebrei ospiti di una casa di riposo. Sono ricette dai fascinosi nomi spagnoli, eredità degli ebrei di Spagna che, nel 1492, sono stati dispersi nel Mediterraneo orientale e in Nord Africa dai cattolicissimi sovrani che li volevano tutti convertiti, morti o in esilio.

I biscotti che cucinerò per voi si chiamano in realtà Boyikos de asukar kon pimienta (Biscotti con zucchero e pepe), ma io li ribattezzerò per voi Farfalline di Sirkeci (si legge Sirkegì). Avvertenze: non si tratta di ricetta light. Masticandole sprigionano calore. Non contengono UOVA, è vero, ma hanno un retrogusto a dir poco sorprendente.

La preparazione è semplicissima. In una ciotola mischiare 6 cucchiai di olio di semi, 6 cucchiai di burro fuso (la ricetta originale prevede margarina), 6 cucchiai di acqua, una tazza da tè scarsa di zucchero, ma soprattutto il gesto di coraggio: un cucchiaino di pepe nero. Aggiungere tutta la farina che serve per formare un impasto soffice. Poi si stende sulla piastra su un foglio di carta da forno unto (non sia mai ci manchino calorie!), si ricavano i biscotti. Poi si cuociono in forno, ed è tutto ciò che la ricetta originaria dice. Io ho optato per forno caldo e una ventina di minuti a 180°. Più o meno ha funzionato.

Si mangiano accompagnate da tè turco nero, oppure da qualche robusto alcolico, per un dopocena corroborante. Fortemente consigliata una colonna sonora adatta, ovvero qualche bella ballata sefardita di quelle giocose, spiritose e, a modo loro, romantiche. Io mi sono ispirata a una canzone specifica, di cui vi accludo anche un video

Le storie sono per chi le ascolta, le ricette per chi le mangia.
Questa ricetta la regalo a un’amica.
Non è di mia proprietà, è solo parte della mia quotidianità: per questo la lascio liberamente andare per il web

Mentre sgranocchio con Meryem le nostre farfalline (lei mi obietta che pizzicano un po’ la gola, ma le mangia lo stesso), cedo i fornelli a Silvia (la conoscete vero? è la metà di http://www.genitoricrescono.com). Eccola che arriva!

Liberiamo una ricetta: il polpettone di Bud Spencer

Oggi sono ospite della mia amica Yeni Belqis. Ecco, a volte mi manca non avere un blog personale…
La ringrazio per avermi accolto e permesso di lanciare da qui, come un aeroplanino di carta, la mia ricetta da liberare.
E’ un piatto semplice, di quelli che fai un po’ di corsa, sia in estate che in inverno, quando il tempo è poco, ma proprio non ti va di scongelare il solito hamburger. Una roba un po’ arrangiata, che cambia faccia ogni volta che la fai, perchè puoi sempre modificarla secondo l’offerta del tuo frigo e l’ispirazione del momento. Una cosetta da dilettanti, che riesce un po’ a tutti, senza fronzoli.
Il nome è dovuto al fatto che i due ingredienti principali sono tonno e fagioli. E a me i piatti a base di fagioli in scatola fanno sempre venire in mente i film di Bud Spencer e Terence Hill, che riscaldano fagioli nel pentolino sul falò mezzo alla prateria, che poi erano le dune di Sabaudia. Insomma, è un piatto un po’ rozzo, ma va su tutto.

Ingredienti:
– 250 gr. di tonno sgocciolato (corrisponde a un vasetto di filetti di tonno, quelli buoni, nel vetro, ma va bene qualsiasi tonno)
– 1 barattolo di fagioli (a me col tonno piacciono i bianchi di spagna, che sono belli compatti, ma borlotti e cannellini vanno ugualmente bene)
– 2 UOVA
– 1 cucchiaio di capperi
– 50 gr. di pangrattato
– un buon frullatore

ingredienti facoltativi:
olive nere
cipollina fresca
idee?

Nel frullatore si mettono insieme tonno (sgocciolato), fagioli, UOVA, capperi e pangrattato e si dà motore, fin quando non si ha un composto bello liscio.
Per una variante si possono aggiungere al composto le olive nere a pezzettoni o la cipollina fresca a rondelline.
Poi ci si oliano leggermente le mani (volendo) e si dà la forma di polpettone. Si avvolge nella carta forno bagnata e strizzata per bene e si chiudono le estremità a caramella. E poi via in cottura a bagnomaria per una mezz’ora.
Se avete da cuocere al vapore, meglio ancora e anche se si lessa direttamente in acqua va bene lo stesso.
Una volta freddo, si affetta. Si mangia freddo, si porta comodamente in ufficio o in gita, si mangia anche il giorno dopo.

Per goderlo al meglio, ci sta bene qualche salsina:
– maionese
– patè di olive nere
– un pesto veloce fatto con: 100 gr. di rucola, 50 gr di formaggio duro (parmigiano, grana, pecorino o quello che c’è), 30 gr di mandorle e olio q.b. (buono anche per la pasta)
– una salsina allo yogurt tipo quella che si mette nel kebab

Per contorno mi ci piacciono i pomodori in insalata con sale, olio e origano, semplici, semplici.
Ah, dimenticavo: lo mangiano volentieri anche i bambini e, con una fetta di pane, fa anche da piatto unico.
(nella foto è con pane alle olive e pesto di rucola)

Le storie sono per chi le ascolta, le ricette per chi le mangia.
Questa ricetta la regalo a un’amica.
Non è di mia proprietà, è solo parte della mia quotidianità: per questo la lascio liberamente andare per il web

Rassettiamo rapidamente la cucina e lasciamo spazio alla prossima amica blogger, Patrizia!

Liberiamo una ricetta: il Vov

Che io me lo ricordo ancora il sapore del mio primo Vov. Si era poco più che bambini quando si cercava quel sapore dolce nel fondo delle tazzine dei nostri genitori, che poco più che grandi, si beavano allegramente della loro gioventù e si dimenticavano di noi per qualche minuto importante.
Eppoi quel colore, quel giallo del sole, dell’energia, della vitalità. Che se penso a noi bambini mi viene in mente quel colore lì.

Chissà a chi pensava il Sig. Pezziol, tra un torrone e l’altro, quando gli venne in mente di usare quei tuorli avanzati, che gli faceva peccato buttarli.
Chissà cosa pensavano i mille e più soldati a cui fu offerto un goccettino di VAV2(vino alimento vigoroso!), fortificante e corroborante, per l’uomo che non deve chiedere mai!

Noi si era da poco diventati mamma e papà e tra un pianto, una nottataccia e un molare in più, il nostro pensiero al Vov ci è andato da solo. Te lo ricordi quando si stava accoccolati ad ascoltare il mare…essì che me lo ricordo. Lontano, lontano, nel  tempo.

E così una sera, non troppo lontano, nel tempo, complice un piccolo sonnacchioso, ci siamo riscoperti insieme a girare latte e assaggiare il secco del marsala.

Eccoli gli ingredienti di quella serata. L’amore si sa, ora dovete mettercelo voi:

Per 1 litro di Vov:
mezzo litro di latte
4 tuorli
1 bustina vanillina
100 ml marsala secco
100 ml di alcool
400 gr di zucchero

Mettete a bollire il latte con lo zucchero. Lasciate che si raffreddi bene bene.
Nel frattempo sbattete i tuorli e aggiungete il latte(quello raffreddato, sì!). Unire la bustina di vanillina, il marsala, l’alcool; il tutto mentre sbattete energicamente, io mi aiuto con la frusta elettrica. Se volete farne almeno 2 litri, che insomma, 1 finisce presto, raddoppiate tutte le dosi, tranne per lo zucchero, ne bastano 600gr.
Imbottigliate il tutto.
Riponetelo in frigorifero e ogni mattina per almeno 8 giorni agitate bene la bottiglia per mescolare gli ingredienti, cercando di resistire alla tentazione di assaggiarlo.
Al 9°giorno, cin cin!

Le storie sono per chi le ascolta, le ricette per chi le mangia.
Questa ricetta la regalo a un’amica.
Non è di mia proprietà, è solo parte della mia quotidianità: per questo la lascio liberamente andare per il web.

E con questo, un caro saluto a tutti i compagni di avventura e… buon appetito!

Post scriptum

Mentre aspettavamo che il Vov fosse pronto, ci  ha raggiunto un’altra cara amica, Caterina. A lei i fornelli!

Liberiamo una ricetta: una ricetta infallibile per la torta di mele

Ingredienti: 250 grammi di farina, 125 grammi di zucchero, 125 grammi di burro, 2 uova, un pizzico di sale, cannella, vaniglina (o scorza di limone grattugiata), un bicchiere scarso di latte, lievito artificiale per torte (meno di una bustina), qualche mela (tre in genere bastano).

Si lascia ammorbidire il burro fuori dal frigo e lo si mescola con lo zucchero fino a ottenere una crema soffice (si può usare una frusta, a mano o elettrica). Si uniscono le uova intere, una per volta, amalgamando bene, poi si unisce la farina a cucchiaiate, il sale, la cannella, la vaniglina o scorza di limone. Lavorando col cucchiaio si otterrà una pasta piuttosto consistente. A questo punto si sbucciano e si fanno a fette le mele (se un volontario non lo ha fatto nel frattempo), si unge e infarina una tortiera di 25 cm di diametro circa, si accende il forno a temperatura moderata. Si fa un vuoto nella pasta col cucchiaio, si mette il lievito in polvere e si unisce il latte, un po’ per volta, fino a ottenere una pasta lavorabile ma sempre un po’ più consistente di una torta “comune”. Si stende sulla tortiera e si mettono sopra le mele, spolverando se si vuole di zucchero e cannella. Si cuoce per una quarantina di minuti (dipende dal forno, con quello a gas ci vuole anche meno). Prima di servire si spolvera di zucchero a velo. Ci si possono aggiungere anche delle uvette, magari prima delle mele così non si bruciacchiano. Si possono far macerare le fettine di mela in un po’ di liquore o vino dolce, e unire la marinatura alla pasta (al posto del latte).

Una nota sul lievito artificiale: io lo odio, o meglio, ne odio il sapore. So benissimo che la media delle casalinghe ne metterebbe una bustina intera, ottenendo così torte sofficissime, che però allappano e lasciano in bocca un retrogusto orribile. Sulle bustine c’è scritto grosso così: dose per mezzo chilo di farina, e le stesse casalinghe su mezzo chilo di farina (dose doppia, per una torta di mele da offrire a una vasta comunità) ne mettono due senza rimorsi. La virtù sta nel mezzo, come sempre: io metto una bustina a partire da 300-400 gr. di farina, e una bustina e qualcosa per mezzo chilo.

Una nota sul burro: è ovvio che le torte si possono fare anche con la margarina o l’olio di semi o anche di oliva (a patto che sia di quelli che non sanno assolutamente di niente). Ma il sapore è tutto un altro, specie in ricette come questa che derivano, in ultima analisi, da quella della pastafrolla. Se si ha a che fare con bambini allergici ai derivati del latte il grasso vegetale diviene necessario, e il latte si può sostituire con succo di frutta (magari di mela o pera, o una pera matura grattata) o spremuta d’arancia.

Le storie sono per chi le ascolta, le ricette per chi le mangia.
Questa ricetta la regalo a un’amica.
Non è di mia proprietà, è solo parte della mia quotidianità: per questo la lascio liberamente andare per il web.

Buon appetito a tutti! Chiara, Silvia, Patrizia e Caterina

26 pensieri riguardo “Liberiamo tre ricette! Anzi, quattro!”

  1. bellissime (e torno a constatare che con la tropea ci sono molti riferimenti culturali in comune). Peace and love.

  2. “Aggiungere tutta la farina che serve per formare un impasto soffice” questa frase mi spaventa…come quanto nelle ricette dicono “q.b. quanto basta” quanto basta per chi? per cosa? ohi ohi ohi, però la ricetta è carina e io adoro fare i biscotti!
    —–
    il polpettone di Bud Spencer: molto carino, io sapevo la variante con le patate lesse al posto dei fagioli…secondo voi si può fare con lo sgombro? oramai è un anno che non si mangia tonno in scatola a casa mia (dopo aver visto una trasmissione illuminante su Report sullo sfruttamento dei tonni (che vengono pescati piccoli piccoli prima ancora che raggiungano la maturità sessuale e quindi non riescono a figliare e stanno lentamente spopolando i nostri mari) e sia sullo sfruttamento delle donne africane che vengono “deportate” non mi ricordo più se alle isole Azzorre o di Capo Verde per lavorare con salari da fame nel togliere le lische al tonno e inscatolarlo: con contratti capestro (non possono tornare a casa se non dopo tot anni) e vivono in specie di lager, senza un minimo di privacy)….scusate ma ogni tanto ci ricasco con la predica, a casa, per quanto possibile cerchiamo di essere consumatori responsabili (acquisti a km zero, niente acqua in bottiglia ecc ecc mi fermo per non tediarvi)

  3. Che esperienza fantastica. Collaborazione, condivisione… Un intreccio di amicizie reali e virtuali….Ricette da provare (il mio ricettario moleskine sta lucidando le pagine per accogliere le nuove ricette che da domani inizierò a trascrivere!!)…. Il vov mi è particolarmente caro… Mia mamma lo preparava spesso e quasi mai mi era consentito metterci il becco…
    Bravissime!!

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