Ieri guardavo questo video, realizzato per il Centro Astalli da Shhot4Change. Conosco queste tre storie benissimo, così come conosco da anni le persone che le hanno vissute.Eppure, come è logico che sia, ogni volta che si racconta qualcosa che non è solo (o del tutto) passato, emerge con prepotenza qualcosa di diverso.
Frank racconta con una lucidità estrema lo sconforto. “All’inizio di quest’anno mi sono chiesto se ce la farò”. E poi aggiunge: “Il domani non mi appartiene”. Credo che queste frasi, decise ma non astiose, abbiano una valenza che va ben oltre l’esperienza di un rifugiato.
Il mio, di domani, mi appartiene? Sarei portata a dire di no, anche se non ho mai vissuto, come Isabel, un periodo in cui “l’unica cosa che mi ha tenuto in vita era la paura”. Da ieri questa riflessione mi è rimasta, per così dire, interrotta a metà nella mente. Oggi mi si è ripresentata prepotente, quando Monsignor Feroci, alla Caritas, ha ricordato Lệ Quyên. Ho realizzato che qualcosa dentro di me è rimasto incrinato, irrisolto, da quel giorno di aprile in cui mi è arrivata in ufficio la telefonata che mi comunicava l’assurdo. Si tratta di qualcosa che ha a che fare con me, più che con Lệ Quyên, mi rendo conto. Per quanto assurdo e persino meschino possa sembrare, con quell’incidente è finito bruscamente anche un pezzetto della mia idea di futuro. Non poter più pensare con lei, dopo averlo sperimentato in alcuni occasioni, mi è parso e ancora oggi mi pare insopportabile.
Il convegno a cui ho partecipato oggi, l’ennesimo convegno di fine progetto, mi ha tuttavia lasciato alcune idee nuove, o piuttosto alcune consapevolezze. Per quanto diciamo, crediamo, sentiamo di vivere nel presente, la prospettiva futura in qualche misura è quello che ci anima. Forse prospettiva è una parola grossa. Io non ho più, se mai l’ho avuta, una prospettiva. Eppure mi pare di andare avanti abbastanza bene. Non ho una prospettiva, ma in qualche modo se guardo avanti qualcosa vedo. Non un senso, ma certamente una scintilla di curiosità per quello che il destino mi riserva. ” L’avvenire è dei curiosi di professione”, si diceva in un film per tanti versi irritante come Jules et Jim. Magari è vero.