“I rifugiati veri sono una percentuale piccolissima”, tuonano i nuovi esperti di diritto internazionale. “Ammettiamolo, sono tutti migranti economici”. A sentir loro l’Italia e il mondo (le due cose praticamente coincidono, visto che queste persone sostengono anche che “vengono tutti da noi”) sono pieni di gente che ci prova, di furbacchioni scrocconi o, nella migliore delle ipotesi, di gente ingenuotta che ha visto sculettare una ballerina in TV e pensa che qui i soldi crescano sugli alberi (il nesso tra le due cose un po’ mi sfugge, ma tant’è).
Domani è la Giornata Mondiale del Rifugiato ed è uscito l’annuale rapporto UNHCR (Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati, non una losca ONG pagata da Soros), che vi invito a leggere. Siccome vi invito davvero a farlo, non riporto qui tutti i dati inequivocabili che vi troverete, illustrati anche da comode infografiche. Mi soffermo solo su qualcuno.
Il numero di persone costrette a lasciare le loro case a causa di guerre, violenze, persecuzioni ha segnato un nuovo record: 68,5 milioni. Di questi, hanno chiesto protezione in un Paese industrializzato appena il 15%. Più di due terzi dei rifugiati del mondo provengono da Siria, Afghanistan, Sud Sudan e Myanmar, dove la persecuzione dei Rohingya ha costretto alla fuga nel vicino Bangladesh dalla fine di agosto 655.500 persone in 100 giorni.
Rileggete un attimo l’ultima frase. Cercate di immaginare 655.500 persone (per più della metà bambini) che arrivano in 100 giorni in uno degli Stati più densamente popolati del mondo: in un’area di circa 144mila chilometri quadrati vivono ben 150 milioni di abitanti. Come se nella sola Italia settentrionale più la Toscana abitassero tutti gli italiani, i francesi e gli spagnoli. Un Paese in cui il 36% della popolazione vive in condizione di povertà estrema. A titolo di confronto vi ricordo che quando 856.723 persone arrivarono in Grecia in un anno l’intera Unione Europea definì la crisi ingestibile e ancora oggi, a tre anni di distanza, ne sopportiamo tutti le conseguenze.
Alla fine del 2017 13,4 milioni di persone vivevano in esilio da più di 5 anni, senza aver avuto la possibilità di diventare cittadini né di rientrare nel proprio Paese. Ben 3 milioni si trova in questa condizione da più di 38 anni. 38 anni. Rileggete un attimo anche questo numero e immaginatelo tradotto in vita vera, vostra e della vostra famiglia.
E a chi dice che si blinda il Mediterraneo e si armano le frontiere per salvare la vita alle persone che altrimenti si imbarcano in viaggi eccessivamente pericolosi mi sentirei di far notare che il numero di persone che hanno usufruito nel 2017 dei programmi di reinsediamento (arrivo legale di rifugiati programmato dai governi in collaborazione con UNHCR) è diminuito del 54% rispetto al 2017: appena 102.800 complessivamente. Avete capito bene: 102.800 in un anno. In tutto il mondo. Chi vogliamo prendere in giro?
Eh, ma noi siamo invasi. E’ proprio che non c’è più posto. Vi invito a guardare i numeri: in questi primi 6 mesi sono sbarcate in Italia 15.610 persone. In un Paese di 60,5 milioni di abitanti, con il settimo PIL al mondo. Davvero una questione di vita o di morte, che autorizza a commettere omissioni di soccorso e/o omicidi. Che vergogna.
Cara Chiara, quanto hai ragione. Grazie per le tue parole. Queste cifre andrebbero spiegate ovunque, a scuola, al bar, sui giornali, nei posti di lavoro. E bisognerebbe anche far capire quanto poco serva per accogliere queste persone, quanto ogni piccolo gesto possa aiutare. Grazie ancora per il tuo impegno.