“Non conviene ammettere che la maggioranza di quelli che sbarcano in Italia sono migranti economici?”. In questa specie di incubo in cui mi sembra di vivere da qualche giorno, in cui falsità e approssimazione imperano ovunque (e non più solo nei talk show televisivi, ma in tutte le sedi istituzionali senza eccezione), persino tra “quelli come me” (leggi: gli sfigati che non solo si mangiano il fegato a sentire esternare tante pericolose idiozie, ma sono persino nuovamente additati come sospetti agenti di malaffare o nel migliore dei casi buonisti) sento esprimere questa posizione “di buon senso”.
No, l’ho già spiegato altre volte. Io non ammetto (come peraltro se stessi confessando una bugia detta in precedenza…) quello che credo sia falso. Neppure se può sembrare conveniente – e in questo caso non credo davvero che lo sia.
Premettendo che la migrazione tutta per me dovrebbe essere valorizzata e gestita come uno dei principali motori di civiltà del nostro mondo, pur non essendo mai priva di sfide, dolori, lacerazioni e conflitti, e quindi non sarò certo io quella che criminalizza chi si trasferisce per qualsivoglia ragione da uno Stato all’altro, per me c’è una differenza innegabile tra un italiano che cerca migliori opportunità lavorative all’estero (tipico esempio di migrante economico, peraltro numericamente in crescita) e chi lascia il suo Paese per cercare accesso ai diritti fondamentali. Per me vale la definizione di rifugiato della Costituzione italiana: “Lo straniero, al quale sia impedito nel suo paese l’effettivo esercizio delle libertà democratiche garantite dalla Costituzione italiana, ha diritto d’asilo”. Alla luce di questa definizione io credo di poter serenamente affermare di non aver mai incontrato “rifugiati finti”.
E a chi mi ha chiesto se penso che sia più efficace una battaglia per far considerare rifugiato chi rientra in tale definizione (ossia il circa cento per cento delle persone che sbarcano) oppure lottare perché coloro che si definirebbero allo stato attuale migranti economici possano entrare e restare legalmente, io ho risposto e rispondo anche qui che non vedo le due battaglie come alternative. In questo clima politico ma soprattutto culturale che mi atterrisce e mi fa orrore, io intendo lottare per un pieno rispetto del diritto d’asilo nello spirito della convenzione di Ginevra, della Costituzione Italiana e possibilmente aggiornato alla luce della realtà contemporanea e per una politica migratoria equa e lungimirante che preveda canali di ingresso esistenti, legali e accessibili e misure che rendano possibile un soggiorno sicuro e dignitoso per i migranti economici.
Per inciso, se le due cose andassero di pari passo tutto sarebbe molto più gestibile, economicamente conveniente e utile al progresso dell’Italia e dell’Europa da ogni punto di vista. E va da sé che se ci fossero canali legali molti, pur potendo accedere alla protezione internazionale, sceglierebbero quelli. Esattamente come succedeva prima di Schengen, quando quasi la totalità dei richiedenti asilo viaggiava ed entrava legalmente.