Ieri alla prima riunione della nuova scuola di mia figlia è successo un episodio un po’ sgradevole, che mi ha fatto riflettere. Non vi parlo dell’episodio in sé, ma vorrei condividere invece qualche riflessione che ne è nata.
Ogni genitore consapevole sa benissimo che l’uso del telefono, e dei social in modo particolare, è un banco di prova rilevante rispetto all’educazione dei nostri figli. E secondo me non soltanto per la potenziale pericolosità per sé e per gli altri, ma per le sfide che pone – anche a un adulto – avere costantemente a portata di mano un apparecchio simile: gestione del tempo, dell’attenzione, in qualche caso anche del budget, ma soprattutto delle relazioni.
E qui viene il mio punto. Io temo che l’uso dei social abbia in qualche modo cambiato non tanto e non solo le nuove generazioni, ma noi genitori. Discutere su Facebook e su Whatsapp ha forse privato alcuni di noi del saggio principio di pensare prima di parlare, di rapportarsi in modo differente se ci rivolgiamo a un’amica di infanzia o a una persona che incontriamo per la prima volta, ma anche in base alla gravità dell’argomento, al contesto, all’età dell’interlocutore e via discorrendo. Sui social un commento vale l’altro, una voce vale l’altra e l’identità è ridotta a una minuscola immagine di profilo. Questo evidentemente non autorizza, anche nei social, a dimenticarsene. Ma in qualche modo il fluire delle conversazione tende a prescindere dagli interlocutori.
Porsi nel modo più adeguato nei diversi contesti e avere sempre rispetto del proprio interlocutore, nella forma più pertinente (scelta del linguaggio, tono di voce, persino silenzio se è il caso) è esattamente il centro di quello che sto cercando di insegnare a mia figlia in questa fase. Così come la cura delle relazioni, che è il vero cuore della sua crescita in questo momento. Perciò sono contenta che lei si confronti con me per parlare di discussioni, litigi, incomprensioni con gli amici. Parliamo ovviamente anche del linguaggio e del peso che ha.
Ma considererei un grande fallimento se mia figlia, pur convinta di essere nel giusto, apostrofasse un gruppo di persone appena conosciute con i toni con cui io e altri genitori siamo stati apostrofati ieri (no, non da una docente, grazie a Dio). Perché fare delle accuse alla cieca, anche in buon italiano e senza parolacce, significa mettersi su un piedistallo e non avere alcun rispetto del proprio interlocutore.