Ci siamo quasi. Tra meno di un mese lascio il mio lavoro al Centro Astalli. Se guardo indietro, specialmente all’ultimo anno, vedo una bella scarpinata. In salita, a tratti. Ma sono soddisfatta di averla fatta. Sono arrivata alla prima tappa, quella da cui parte la strada che non mi aspetto e che non ho programmato.
In tanti mi hanno chiesto in questi giorni cosa mi ha spinto. La risposta è banale, naturalmente. Avevo voglia di stare meglio e di smettere di dire “ormai”. Con una straordinaria ragazza di 11 anni a casa e che vive con gli occhi ben puntati su di me, mi sento la grande responsabilità di dimostrarle, con l’esempio, che la vita è bella e significativa (ne parlavo qui).
Questo è il mese dei saluti, dei ricordi, dei momenti di puro terrore. Anche delle delusioni e delle amarezze, perché per quanto mi sforzi mi spuntano aspettative da tutte le parti. E le aspettative sono la trappola più grande, una specie di garanzia di infelicità. Lo so benissimo, eppure continuo a immaginarmi cose. Sono fatta così.
Però è anche il mese in cui inaspettatamente mi arrivano messaggi commoventi, complimenti, manifestazioni di affetto. Cerco di godermi tutto. La bellezza mi piove intorno ovunque, anche nei giorni in cui l’anima è nuvolosa.
E si avvicina anche la Pasqua. Quale momento più propizio per i passaggi? Penso a una domenica di Pasqua in cui ho immerso gli occhi nell’affresco della Resurrezione a San Salvatore in Chora. A una notte di Pasqua passata a malincuore sotto la doccia in una stanza di albergo a Baghdad, lavando via la delusione sotto un getto bollente. Alla liturgia bizantina e a tutto quello che significa per me, da Giona alle porte degli Inferi. Un paio di settimane fa, a Firenze, ho visto un bellissimo particolare di un affresco del Beato Angelico, con un diavolo spiaccicato sotto quelle porte, tipo Wile Coyote. I cambiamenti non sono del tutto indolori. Una parte di noi fatalmente resta spiaccicata. Ma nel quadro generale vale la pena.
“Avevo voglia di stare meglio e di smettere di dire “ormai”. hai detto una frase enorme. Grazie.
Non ci sentiamo spesso ma ti sento molto vicina, specie negli ultimi mesi. Abitiamo lontane, abbiamo un background culturale e sociale diverso, lavori molto diversi, forse anche interessi diversi. Però sento che condividiamo la grandezza ma anche il peso della nostra forza. Il coraggio di uscire dal guscio e le porte sbattute in faccia anche quando non ce lo meritiamo, perché così è la vita. E credo anche che al di là della fatica, non siano molte le persone che possono guardarsi indietro (e di fronte) e dire: “Cacchio, che grande romanzo!”. Noi sì, fanculo.
Tutto ciò che è grande è nella tempesta.
Baci.
Vale, non sai quanto mi andrebbe di vederti. E non è detto che mi faccia prendere la botta di matto e me ne scappi a Rimini a stropicciarti un po’ e a berci su con te.
Per quel che si può capire da un blog di qualcuno che praticamente non si conosce, credo di aver vissuto una cosa simile alla tua meno di due anni fa, mi permetti di dirti che ti vorrei abbracciare? E ringraziare, perché su questo blog ho letto alcune delle cose più interessanti e lucide sui tempi che stiamo vivendo, alcune cose che mi accompagnano nel mio lavoro attuale non so se sarebbero state “con me” senza i tuoi post. E da lettrice, sono positivamente curiosa della tua “next thing”, qualunque cosa sia per qualche motivo credo sinceramente che te ne occuperai in maniera eccellente. In bocca al lupo!
È vero bisognerebbe vivere senza grandi aspettative, per non restare deluse. Ma sono aspettative o speranze?