La responsabilità della gioia di vivere

Ieri sera mi sono guardata questo film. Non mi ha rallegrato la serata, ma non mi è dispiaciuto affatto. Fin dalle prime scene, sono rimasta folgorata dalla capacità di rendere immediatamente uno dei temi centrali: la delicatezza di un’età in cui le protagoniste non sono più bambine e non sono ancora donne. La storia, ispirata a fatti realmente accaduti, può apparire paradossale. Ma ben realistico è, invece, il quadro desolante che ne emerge. Non tanto l’ambiente di assoluta inconsistenza di relazioni in cui queste ragazzine annaspano, sempre con una sigaretta in mano e una bottiglia di alcolici nell’altra. Ma la pochezza, l’inadeguatezza degli adulti di riferimento.

In un certo senso questo è un film di denuncia, molto amara. La scena dell’assemblea scolastica, in cui genitori e preside si rimpallano la responsabilità della situazione (“La maggior parte del tempo la passano qui”/ “Io non mi considero responsabile della vita privata delle alunne dell’istituto”), è tragicamente realistica. La riunione del collegio dei docenti, in cui questi adulti si limitano a ripetere posizioni ideologiche che nulla hanno a che vedere con le persone concrete, per il mero gusto di ascoltare la propria voce (“Un tempo essere ragazza madre era una stigma, quindi questo è un progresso”; “Ambire a essere esclusivamente madre di famiglia è una limitazione, quindi è male”; “Questo gesto è un messaggio politico”) è altrettanto desolante e trova la sua corrispondenza nella aperta ribellione delle protagoniste verso questi educatori, che tutto fanno meno che educare. Proprio quelli che pretendono di essere più impegnati sono particolarmente poco credibili (“Lei ha figli?” “Mi preoccupo abbastanza di quelli degli altri”).

E i genitori, in tutto ciò? Emergono poco. La madre di Camille però è una figura che interpella molte di noi, credo. Anche quelle che si sentono – a ragione – attente, impegnate, dialoganti. Madre sola, lavora molto, ora che ha i figli abbastanza adulti crede in buona fede di potersi concedere qualche libertà (“Ti lascio sola? Sì, ti lascio sola. Sei grande, ormai”). Ci immaginiamo la fatica di anni a crescere due bambini, che emerge in quella frase infelice che colpisce al cuore come una coltellata: “Non ho intenzione di ricominciare da capo dopo 18 anni”.

Il motore di tutta la vicenda è il legittimo rifiuto della vita rassegnata, triste, senza speranza, schiacciata dalla fatica e dalla rassegnazione che gli adulti prospettano come unica possibile. “Studiare per un futuro migliore” è l’unica formula che viene opposta contro la “vita di merda”, ma è evidente che nessuno degli adulti che la usa ci crede davvero. Il messaggio implicito è che la vita è quella e che l’unica via è l’accettazione. Però, tragicamente, l’impulso comprensibile delle ragazze non trova alcuno strumento di realizzazione concreta. Queste adolescenti sono, nella loro poetica rivoluzione, del tutto sprovvedute. Per non parlare dei loro coetanei maschi, balbettanti strumenti apparentemente privi di personalità propria.

Non credo che questi genitori, questi insegnanti, siano dipinti come dei mostri. Sono l’immagine, un po’ caricata, di noi quando siamo stanchi, sfiduciati, risucchiati dalle mille legittime incombenze quotidiane. “Deve essere difficile essere una mamma”, mi ha detto un giorno Meryem. E io ho sentito una fitta acuta al cuore. E’ giusto non mentire, è giusto non recitare. Ma dobbiamo stare molto attenti, come genitori, a non trasmettere un messaggio di disperazione. La disperazione è l’unica cosa che proprio non ci possiamo permettere. La vita non è un gioco, insegnare la responsabilità è fondamentale. Ma non dimentichiamoci di insegnare la gioia di vivere e la capacità di sognare. Nell’unico modo possibile: con l’esempio.

7 pensieri riguardo “La responsabilità della gioia di vivere”

  1. Sai che penso spesso a quando le mie figlie avranno questa età, un età per niente facile. Punto molto sull’educazione delle mie cucciole come chiave di volta per il cambiamento ma non basta a dar loro un futuro migliore e soprattutto forse non sarò in grado di realizzare ciò che vorrei. Mi piacerebbe per loro un sociale migliore, un contesto scolastico che funzione…e tanto altro.
    Se ne hai voglia ti aspetto da me per uno scambio opinioni proprio su questo argomento…

    1. Che non è difficile essere mamma (e in particolare essere sua mamma), ma che a volte è difficile essere grandi. Potevo fare di meglio, ma è l’unica che mi è venuta.

  2. Io solo una cosa non volevo che mia figlia sentisse: la tristezza di vivere che io sentivo dai miei, come sacrificio e rassegnazione. Io non mi sforzo, trovo la vita inebriante, soprattutto quando non ci si rassegna e si rischia e si va a capocciate contro il muro del sistema

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