Per festeggiare il suo compleanno, mia sorella Vittoria è andata a Gerusalemme. E dintorni. Mi ha proposto di andare con lei e la tentazione è stata forte. Però non potevo, quindi non sono andata. Gerusalemme, insieme a Istanbul, è stata uno dei posti emotivamente determinanti per la mia vita. Sarebbe lungo spiegare perché. E comunque non è questo l’argomento del post di stasera. Dicevo che Vittoria è tornata dalla Palestina, perché lì – più che in Israele – è andata ed era scossa, esterrefatta, indignata. Mentre raccontava cose che non ho visto (se non in minima parte), ma so benissimo, mi sono sorpresa a cercare di censurare persino il mio ascolto. Non volevo davvero sentirle, quelle cose. Mi ripetevo che sì, certo, figurati se non lo so. Ma la realtà è che cercavo di chiudere le orecchie. Non è difficile capire perché mi mettono a disagio. A denunciare, senza esitazioni, le violazioni dei diritti umani non ho in genere particolari problemi. Ma in questo caso, ecco, sono sulle spine. Ne ho parlato già qui.
Poi ho letto questo romanzo, acquistato da mia sorella d’impulso, letto e promosso a pieni voti da mia madre. Mi sono trovata di fronte, in modo estremamente efficace, quei fatti – pure noti – riflessi in chi li ha vissuti e li vive. Mi sono chiesta come ho fatto, finora, a conservare questa parvenza di equilibrio salomonico. E mi sono risposta che la rimozione costante dell’emotività a scapito dell’intelletto e del raziocinio storico o pseudostorico ha avuto una parte importante in questo. Ho pianto senza ritegno, leggendo questo romanzo. In autobus, al bar, sul divano la sera. Ho pianto come se una maschera di controllo che apparentemente mi appagava mi si fosse infranta, lanciando schegge da tutte le parti.
Non si può accettare ma, apparentemente, non si può neanche dire. Chissà quanti, per rispetto a un grande popolo che tanto ha sofferto e tanto ha dato e dà all’umanità, si comportano come me. Chissà quanti, infastiditi dalla retorica violenta e sguaiata di certi sostenitori della causa palestinese, si comportano come me. Eludendo. “Questa devastazione è al di là di ogni comprensione. Israele non può continuare a nasconderla. Il mondo alla fine saprà tutto. Le cose cambieranno”.
Leggendo questo romanzo ho pensato a Ritorno a Haifa (e poi ho scoperto che a quel racconto straordinario infatti si ispira) e anche a Jasmina Khadra. Nella quarta di copertina si sottolinea che l’autrice non cerca colpevoli, che descrive gli israeliani con pietà, rispetto e consapevolezza. Mi sento di condividere questo giudizio. Le accuse più pesanti sono altre: verso i leader cinici e spietati, verso i media che manipolano la realtà, o semplicemente la ignorano. Però non è un libro imparziale, non vuole esserlo affatto. E dopo averlo letto credo che la giustizia esiga che anche io sia un po’ meno imparziale, in futuro.
io che ne so anche meno di te ho sempre avuto la stessa barriera. Cioè, se proprio proprio lo posso dire, sarei più dalla parte dei palestinesi, ovvero comprendo le ragioni dell’ una e dell’ altra parte, solo che i coloni e la morsa dei territori non me la invento io. E si, tocca essere parziali certe volte, ma non so come fare.
Argomento al quale sono molto sensibile. E per il quale ho speso fiumi, fiumi e ancora fiumi di parole, e di azioni, non essendo mai riuscita nè ad accettarlo silenziosamente, nè a sublimarlo con la razionalità.L’altra parte di me, quasi a compensarne gli anni della militanza, nutre una viscerale e mai spiegata passione per la religiosità ebraica. Misteri della fede, veramente.
Gerusalemme è bellissima, l’aria di quei posti è calda e magica quanto basta a rapirti. Ricordo tutto di quelle zone. E se mi chiedessero cosa ricordo per primo, sì ricordo il carroarmato che viaggiava pacifico e lento e mastodontico sui viali di Haifa. Ed io che entravo in un bar a bere un succo d’arancia e a sognare di ricambiare l’amore adolescenziale di Eyal. Le ultime notizie due sue foto in divisa militare.
E. Niente. In queste tue righe c’è troppo per me, stasera.
Quello che farò, sicuramente, però, sarà di leggere quel libro.
Grazie.
Mio papà quando è andato in pensione l’ha regalato ai suoi amici con cui ha fatto cene e festeggiamenti vari, nonchè ai colleghi. In casa ne abbiamo una o due copie e l’abbiamo letto tutti. Forte, non posso che confermarlo.