Qualche giorno fa, in occasione dello Yom Kippur, un post su Facebook mi ha fatto mettere a fuoco con grande chiarezza che se c’è un personaggio che mi ha accompagnato fin dall’infanzia, trasversale ai diversi piani della mia vita, quello è Giona. Ieri ho conosciuto una splendida ragazza, piena di talento, e con una certa sorpresa ho scoperto che a lei quel nome non diceva assolutamente nulla. Avrei voluto spiegarle meglio cosa significa per me, ma non c’era tempo.
Giona, per essere un profeta, è singolarmente poco docile. Non solo parla direttamente con Yahwè, talora ribattendo e contraddicendolo, ma per tutta la prima parte del libro biblico che racconta la sua storia tenta in tutti i modi di sfuggirgli, persino fisicamente. Tu mi mandi a Ninive? Io mi imbarco per Tarsis. Tu decidi di risparmiare i niniviti? E io protesto, mi pare che sia un’ingiustizia bella e buona, specialmente dopo che mi hai mandato qui a profetizzare la distruzione della città. Io non volevo manco venirci e tu ti commuovi per un digiuno? Mi meritavo almeno un terremoto, una pioggia di fuoco. Così che figura mi fai fare?
Il libro di Giona è l’unico libro della Bibbia che finisce con una domanda. La fa Dio e Giona non trova nulla da controbattere. Quindi, più precisamente, finisce con un silenzio. Magari un po’ stizzito, ma possiamo immaginare che finalmente il nostro inizi a capire il punto.
Giona mi ricorda tanto quella testa dura di S.Pietro, che crede pure di fare bene, ma colleziona scivoloni su scivoloni. Non ne imbrocca una, specialmente nei momenti cruciali. Come si fa a non avere simpatia per personaggi così? Sono la vera realistica descrizione della condizione umana.
In Giona la cosa affascinante è che Dio sceglie proprio uno così per portarlo oltre i limiti dell’ordinario. Lo manda a Ninive, di cui lui ha sincero orrore. Lo butta persino negli inferi e lo fa inghiottire da un mostro marino (non è un pesce, fidatevi).
Giona per tre giorni se ne sta nella profondità dell’abisso e poi viene vomitato. È l’immagine di resurrezione meno gloriosa della storia. Ma diciamo la verità: quando a noi uomini toccano queste rinascite, non è che compaiano angeli vestiti di bianco. Quelle sono cose da divinità. A noi tocca venire fuori come riusciamo, ammaccati e puzzolenti. Ringraziando pure per la buona sorte e per la nostra resistenza. E poi, come per Giona, ci tocca di riprendere a camminare.
Ma parliamo del mostro marino. Senza mostro non c’è nessuna rinascita. Nessun capovolgimento di prospettiva. Per quanto terrificante, il mostro è la salvezza di Giona. Chissà, se glielo avessero chiesto a bruciapelo, magari Giona non credeva nemmeno nell’esistenza di quel mostro prima di essere ingoiato e vomitato. Probabilmente non rientrava nei suoi schemi. Eppure…
Quando a Gesù chiedevano un segno per credere in quello che diceva, lui – piuttosto scocciato – avrebbe risposto: “Nessun segno sarà dato a questa generazione perversa se non il segno di Giona profeta” (Mt 12, 39). Come dire, secondo me: finché non ci sbattete il naso tanto non capite. E pure dopo non è detto. Anche nel caso di Giona, hanno capito prima le mucche di Ninive di lui.
Chiara, questo post è meraviglioso. Si gusta come un bicchiere di vino buono a cena con un amico
Il merito è tutto dell’anonimo autore del libro di Giona. Un genio vero.