Potrei scrivere molte cose in questi giorni. Di quanto uno creda, in buona fede, di aver superato bene la morte del proprio padre e poi si trova a fare i conti con il fatto che quel dolore se ne sta lì solo accucciato, ma alla prima occasione riemerge graffiando e facendo un male cane. Delle teorie pedagogiche del padre curdo, che osserva che io sono troppo interventista quando Meryem piange e non davvero per il bene della bambina, ma per placare una mia ansia e insicurezza (ha ragione, ha santamente ragione. Potrei scrivere un trattato su come mi sento quando mia figlia piange e qualcuno mi guarda). Dell’efficacia delle teorie stesse, e della loro applicazione pratica (ma ne ho parlato un po’ nel post precedente).
Però sono un po’ stanca. Non mi sento di sviluppare come meriterebbe uno di questi temi. Prendiamolo come un post di appunti per il futuro. E chiudiamolo con il ricordo di Mozia, paradiso delle zanzare tra cielo e mare. Mozia dei miei pensieri.
Guarda, la morte di un qualsiasi genitore già è dura di suo da superare. Poi le figlie con il padre, credo diventi complicato. Per me da un lato è stato liberatorio, non gli dovevo più dimostrare nulla. Dall’altro, 13 anni dopo, certe volte ancora ci discuto o litigo, nella mia testa. Sapendo che è una cosa ridicola.
Se ti consola quello dell’accorrere correndo a ogni pianto perché non lo reggiamo noi, secondo me quando cominci a farci caso e ti prendi un po’ di tempo per guardarlo in faccia, poi si risolve (un secondo figlio te lo risolve senz’altro, quando comicniano a piangere in tandem e umanamente non ce la fai ad andare da entrambi contemporaneamente, e ne abbracci uno e consoli a voce l’altro. Ma questo per ora non è un capitoo tuo :-)).
Dai, che siete un trio fantastico.