Un post sull’argomento “scuola di Meryem il prossimo anno” potrebbe avere molti registri. Io sarei tentata da quello tragico/sconfortato, del tipo: “l’unica scuola che potrei realisticamente permettermi è un parcheggio in istituto di suore senza accenno di progetto educativo, o comunque progetto diverso da quello di portare in cassa i soldi della retta”. Più che tragedia, questa èuna descrizione realistica. Potrei lanciarmi sul politico, citando Nizam che non riesce a capacitarsi di come la scuola dei bambini non sia affare esclusivo della Stato (“il che la dice lunga sul futuro del vostro Paese”). In Turchia, con altri mezzi, ben altro numero di bambinie non pochi problemi interni, l’educazione è una priorità. Punto.
Mi si chiede però di optare per il registro comico e ce la metterò tutta. Ieri pomeriggio sono andata alla riunione di presentazione della “scuola dei miei sogni”. Contro ogni ragionevolezza e teoria economica, sono fortemente propensa a mandarci mia figlia e pertanto ho staccato un congruo assegno di pre-iscrizione. Che gli vuoi dire? Casale appena ristrutturato (o meglio, in corso di ristrutturazione) in 2000 mq di parco dentro Villa Pamphili. Impostazione montessoriana ben temperata. Orto biologico, laboratori all’aperto, profusione di personale, una sola classe da 20 in due gruppetti da 10. Idee a profusione, esposte in apposito Power Point. Se non fosse per il prezzo, che ha levato il respiro a una buona percentuale dei presenti, sarebbe quasi un miraggio.
La riunione ha preso subito una piega originale. Meryem, dopo un primo giretto da timida nel luogo dove eravamo (che in realtà è un altro nido, gestito dalla stessa persona che gestirà la scuola delle meraviglie), si è lanciata con i suoi due compagni di nido presenti a fare chissà cosa nelle montessoriane stanzette, lontano dalla nostra vista. In lontananza, urla belluine e tonfi sospetti. Io sorridevo disinvolta, facendo finta di non essere parte in causa. Nizam si è accasciato su un divano, mentre ci veniva esposta la teoria. Gli altri genitori, con disinvoltura, si affacciavano di tanto in tanto per verificare che i locali fossero ancora in piedi.
Il clima si è scaldato con le domande. E non intendo le mie, timide e pietose, volte solo a precisare i confini precisi della botta al conto in banca. Era presente in sala la nonna di una potenziale frequentante. La signora è praticamente la reincarnazione di Maria Montessori, come l’immaginario ce la tramanda: crocchia candida, vestito scuro accollato, movenze aggraziate ma decise, piglio da generale d’armata. Non per niente, faceva la maestra montessoriana. Un passaggio merita di essere riportato integralmente. Nonnina (a trabocchetto): “Ma con tutte questa attività all’aperto… Se d’inverno magari non piove, ma fa anche molto freddo… fuori li mandate lo stesso?”. La direttrice schiva abilmente: “Ma certo. Avremo impermeabili, stivaloni e tutto il necessario. Del resto – aggiunge incauta – una delle attività è la cura dell’orto biologico, quindi dovranno essere i bambini ad occuparsene”. Nonnina: “Cosa intendete per ‘biologico’? Io me ne intendo, sa, e sono molto molto scettica su questa definizione!”. Replica, un po’ esitante: “Beh, sarà senza concimi… cioè senza concimi chimici e cose così”. Nonnina: “Quindi letame e lombrichi?”. Direttrice (in un sussurro): “Sì…”. La nonnina sembra moderatamente soddisfatta. Le altre madri, forse, avrebbero preferito non scendere così nel dettaglio. Nonnina: “Ma quando lei parla di metodo montessoriano… intende che tutte le educatrici sono state formate in una scuola montessoriana?”. “Beh, no”, ribatte la direttrice, “a dire il vero ne sono rimaste pochissime (tipo lei, cara signora?). Ma hanno tutte una specifica formazione…”.
Morale della favola. Non si può non riconoscersi in molti dei principi enunciati ieri, credo. Specialmente nell’impietoso confronto con il nulla che la mia zona offre. Ciò non toglie che qualche dubbio in testa mi è rimasto, insieme a un turbinare di problemi pratici non da poco che dovrò superare (dove lascio Meryem per il mese intero che separa la fine delle mie ferie dall’apertura della struttura – e relativo inserimento? Come organizzarsi con gli orari? Come affrontare quest’altro salasso, dopo tre anni di nido?). Credo che ce la manderò, in qualche modo. Della qualità non dubito. Resta sempre la perplessità di come ci sentiremo, come famiglia, in una comunità di famiglie per cui la flessibilità di orario consiste esclusivamente nel poter entrare più tardi delle otto (fino alle dieci) e non prima. Per cui la scelta dirimente è se verrà o meno fatto l’accordo con la fornitura di cibo biologico. Tutte cose belle, per carità. Ma un po’ lontane, necessariamente, dal nostro quotidiano. No, alla fine non è venuto molto comico. Pardon, devo ancora metabolizzare…
Dico solo una cosa: non fosse per la lingua (e quell'altro migliaio di problemi contingenti), andrei a vivere in Turchia.È vergognoso che a Roma (e non ho detto la periferia degradata del comune più povero d'Italia) l'unica possibilità per un'istruzione decente sia mandare i figli alla scuola privata. Restando in apnea perché so bene che cosa significa pagare una retta di 500 euro (+spese varie) per 4 anni, figurati dover continuare.
Concordo. C’e’ di buono pero’ che di solito sono molto piu’ flessibili sugli orari