Ogni tanto mi illudo che l'età abbia frenato la mia naturale tendenza agli alti e bassi. E invece no. Forse anzi la accentua. A tratti mi esalto e mi butto a pesce su progetti, idee, fantasticherie e deliri di onnipotenza di varia natura. A tratti invece mi volto indietro e mi chiedo, in tutta sincerità, dove abbia portato tutto questo affannarsi frenetico. In linea del tutto teorica tra adesso e dicembre potrebbero cambiare alcune cose nella mia vita. Il realismo cerca invano di ricordarmi che tra il dire e il fare c'è di mezzo il mare. Ma un angolino della mia anima non fa che ripetersi: e se succedesse davvero? Si potrebbe dire che è quello che, pienamente e coscientemente, vuoi? O è piuttosto un miraggio dei quarant'anni che si avvicinano e di vecchi fantasmi duri a placarsi? Que sera sera. Mi piace pensare di avere una via di fuga, forse. E quando poi anche questa possibilità si consumerà, mi applicherò a cercarne un'altra? O no?
Lo so, lo so, non è il resoconto della campestre vita dell'Ogliastra che vi aspettereste ragionevolmente dopo una vacanza. Ma anche i tarli esistenziali, ogni tanto, vogliono la loro parte. Domani mi applicherò per tornare ad essere una scoppiettante raccontatrice di aneddoti (e tutto il resto).
Postilla. Forse la vera soluzione a queste pippe mentali – chiamiamole con il loro nome – sarebbe imparare a considerare il lavoro per quel che è, cioè un modo per guadagnarsi da vivere, parte di un insieme che comprende tante altre componenti. Ci, o almeno mi, hanno cresciuto come se trovare il lavoro, QUEL lavoro, dovesse necessariamente essere preceduto da sogni e fantaticherie vocazionali. Una specie di vocazione mistico religiosa, cavalleresca. "Che lavoro vuoi fare da grande?". Magari quello che mio padre ha sognato per me e che io ho imparato a sognare a mia volta, caricandolo di aspettative più o meno fantasiose. Capisco che sognare con un bambino possa essere divertente. Ma qualcuno, arrivati all'età adulta (che non si capisce perché debba allontanarsi sempre di più dai 18 anni, in fondo), non potrebbe carinamente farci capire che il sogno è una gran bella cosa, ma che prima di tutto bisogna rimboccarsi le maniche e vivere, appunto? Che più dei sospiri e dei vagheggiamenti serve intelligenza, prontezza, senso di responsabilità e spirito di adattamento? Me lo chiedo sul serio, anche come madre.
Non che non ti dia ragione, intendiamoci. Ma è difficile, cavolo!P.
va a finire che sono stata fortunata ad essere cresciuta in mezzo a liti per lavoro, così non ho mai fantasticato su "cosa mi sarebbe piaciuto fare da grande" ed ho sempre pensato al lavoro come qualcosa per portare a casa lo stipendio… e se non mi fa schifo non riesco a considerarlo lavoro…però che tristezza…
Io credo che se si e' fortunati al; punto tale da avere un sogno nel cassetto, di un lavoro ideale, bisogna fare di tutto per farlo diventare realta'.la tristezza nel mio caso e' che non avendo un lavoro ideale in mente dovrei essere capace io, di accettare che il lavoro e' per portare i soldi a casa e basta, invece che pensare di cambiare per chissa' cosa quando poi alla fine un lavoro vale l'altro.ma se il sogno c'e', ignorarlo secondo me e' peccato.
Concordo con Girasole e confermo per esperienza che la vita rincominica dopo i 40, ad averne voglia e non farsi spaventare dalle considerazioni pseudo-utili.incrocio tutto,Mammamsterdam
Grazie dei vostri punti di vista, che mi aiutano a chiarirmi le idee. Viva i sogni dei 40 anni (ma anche dei 30), che sono sogni maturi, reali, che nascono dal sintonizzare la nostra personalità con il mondo esterno. Il mio problema sono i sogni preconfezionati, quelli che di fatto ti limitano terribilmente nella tua lettura della realtà durante gli anni fondamentali della formazione. Il lavoro è una parte importante della vita e siamo un po' sciocchi quando permettiamo che una fantasia altrui, o anche nostra (ma di quando eravamo bambini) condizioni la nostra esistenza di adulti. Io a volte ho la sensazione che per me sia stato così. Che il sogno di essere un ricercatore, di studiare, fosse prima di tutto di mio padre (che questo faceva). E ti credo che sono portata a farlo: mi ha addestrato fin dall'infanzia, a botte di glagolitico (che è un alfabeto paleoslavo, per la cronaca). Ora questo fa inevitabilmente parte di me e prima o poi dovrò trovare il modo di venire a patti con questa cosa, che è stato più un handicap che un vantaggio. Nel senso che forse avrei fatto altrettanto bene tante altre cose, che magari mi sarebbero state ancor più congeniali (io ad esempio caratterialmente non sono così simile a mio padre). Questo volevo dire.
Più o meno l'avevo capito che volevi dire quello… Del resto so che hai una famiglia un po' ingombrante in quanto a lavori vissuti come missione.Le mie attuali riflessioni di 40enne mi portano a pensare che Il Lavoro Ideale è un concetto che fa prendere anche grossi abbagli e non sottovaluterei l'influsso positivo del sano pragmatismo curdo per prendere decisioni.E comunque non è detto che il sogno di tuo padre non possa essere anche il tuo: in un'altra epoca, in un'altra fase della vita, in un'altra storia. Certo i sogni, ora, devono fare i conti con tante altre cose.Buffo però, conosco sempre più gente che, intorno ai 40, trova o coglie l'occasione di rimescolare tutte le carte…