Era tanto che non leggevo un libro di poesie. Questo è un libro particolare per varie ragioni. Intanto perché è inframezzato di commenti e considerazioni dell’autore, che a volte spiega le circostanza in cui ha scritto un particolare testo o aggiunge note autobiografiche. Il secondo motivo è il linguaggio: semplice, molto semplice. Poi la mia personale soddisfazione: riesco a seguire agevolmente l’originale a fronte, in ebraico. L’ho cercato perché Evelina Meghnagi cita spesso una poesia di questa raccolta, intitolata “Metà della gente del mondo”. Molte altre mi hanno colpito altrettanto, per certi versi di più. Ho apprezzato i riferimenti biblici quasi impercettibili, filtrati come sono dal quotidiano e, in qualche modo, dall’universale esperienza di uomo, di figlio e di genitore.
Ho trovato particolarmente azzeccata la frase che dà il titolo a un’altra poesia e a questo post. Mi ha fatto pensare alle mamme che ho conosciuto in questi anni, a quello che ci accomuna e a quello che ci distingue. Ho pensato a come noi vediamo le nostre, di mamme, e a come anche io sono e sarò vista da Meryem attraverso una lente personalissima, chissà quanto deformante.
Vi trascrivo tutto il breve componimento, pieno di immagini che sento molto mie.
Mia madre cuoceva nel forno il mondo intero per me
in dolci torte.
La mia amata riempiva la mia finestra
con uva passa di stelle.
E le nostalgie sono racchiuse in me come bolle d’aria
nel pane.
Esternamente sono liscio, silenzioso e bruno.
Il mondo mi ama.
Ma i miei capelli sono tristi come i giunchi nello stagno
che va prosciugandosi.
Tutti i rari uccelli dalle belle piume
fuggono via da me.
Yehuda Amichai
anch’io ogni tanto penso a come stiamo quotidianamente costruendo i ricordi dei nostri figli (e cerco di essere migliore)
🙂