Roma sotto Nerone

“Ho patito meno caldo a Bangkok”, boccheggiava ieri sera il collega irlandese, cercando di rianimarsi con una birra artigianale chiamata, adeguatamente al luogo, “‘na biretta“. Come dargli torto? Ieri, uscita dall’ufficio, mi sono trovata davanti un Centro Storico di Roma con un vago sapore apocalittico. Politici e politicanti in giacca e cravatta, dal colorito pericolosamente paonazzo (e non solo per effetto dei weekend in catamarano). Turisti più o meno sfranti, mezzi nudi a prescindere da età e dimensioni – in sfregio alle più elementari norme civiche e di buon gusto – che si trascinavano eroicamente verso le piazze storiche dove anche i cavalli delle “botticelle” ormai stramazzano.

E qui è  d’obbligo una parentesi sugli eroici animalisti che, in seguito a ciò, si sono incautamente messi a polemizzare, armati di termometro, con i veraci vetturini romani. “Mi ha ripetutamente minacciato di morte”, affermava concitato un ventenne dal commovente accento settentrionale al telegiornale l’altra sera, riferendosi al nerboruto conducente a cui tentava di illustrare i limiti di temperatura previsti dalla normativa. “Diceva: ‘ti stacco la testa’”. Probabilmente gli avrà anche detto ‘te sego le recchie’, eppure nessuna mutilazione permanente è stata operata. Solo una ben poco gloriosa scazzottata, roba che i turisti giapponesi ci saranno rimasti secchi dallo sgomento. Dove non ha potuto Nerone, arriva lo shock culturale.

Nella mia oretta di perlustrazione nella versione capitolina del deserto del Sahara, sono incappata in due lussureggianti oasi. La prima, che disperavo di trovare, è stata la libreria Feltrinelli di via del Babuino. Quando ero giovane avevo la ferrea convinzione che quella libreria fosse dotata di uno strano potere sovrannaturale: si spostava. Ogni volta che la cercavi, la trovavi – spesso dopo un paio di giri a vuoto – in un punto della via molto distante da quello dove avresti giurato che fosse. Non avevo mai osato rivelare a nessuno questa mia percezione un po’ balzana, quando una volta in un film ambientato a Roma (ora mi sfugge quale) il protagonista si riferiva tranquillo al luogo come “la Feltrinelli del Babuino, quella che si sposta”. Improvvisamente quindi mi è stato chiaro che non succedeva solo a me. Ieri l’ho trovata assai diversa, comunque. Intanto una bandierina rossa visibile dalla distanza ha di molto attenuato la capacità mimetica del negozio; poi, all’interno, ho trovato una cassiera (dallo spiccato accento settentrionale, anche lei: sarà mica parente dell’animalista?) di una cortesia così squisita da risultare assolutamente esotica. Mi sono goduta un bel giro per gli ambienti ampi e arredati con un certo gusto, nonché l’aria condizionata della giusta temperatura.

Non paga, sono passata da Feltrinelli Red. Altra sensazione acuta di trovarmi altrove. Ragazze mediamente sofisticate armate di i-Pad, immerse in silenziose ricerche sui tavoli. Uomini sobriamente vestiti che sfogliavano quotidiani sulle poltrone. Una tavolata che non ho saputo identificare (un seminario? un collettivo politico? un corso di cucina? una riunione di condominio?) che discuteva animatamente, ma compostamente, nell’area ristorazione. Mi sono rifornita di una copia molto bio della gassosa al caffè calabrese della mia infanzia e ho salutato il pianeta delle persone civili e non sudate. Poi, senza rimpianti, mi sono lanciata nuovamente per via del Corso, facendomi largo tra ragazzine dedite allo struscio, nonostante la temperatura, e gli irriducibili artisti di strada, fattucchieri e mendicanti di sempre. Seguendo la loro immutabile disposizione, come Pollicino i suoi sassolini, ho riguadagnato il tram verso casa.

1 commento su “Roma sotto Nerone”

  1. Io quest’anno in Francia mi sono persa di Roma: la neve e la successione di Caronte Nerone e compagnia cantando. Un po’ di rimpianto per la prima e nessun rimpianto per tutta la mitologia meteorologica. La Feltrinelli faceva lo stesso effetto anche a me ma lo imputavo al mio senso d’orientamento pari a quello di un cavallo a dondolo.

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