“Ci vado o non ci vado?”. È la seconda volta in pochi mesi che mi trovo a farmi questa domanda, in merito a ben due giornate in memoria del mio maestro Giovanni Garbini. In entrambe le circostanze ho deciso di andare. Non per obbligo o per necessità, non per condividere (i percorsi che si interrompono portano solitudine), ma semplicemente per abitare con coerenza una decisione presa parecchi anni fa, ben prima dell’ultimo concorso che ha segnato la conclusione ufficiale e formale della mia mai iniziata carriera accademica. La decisione era stata quella di andare oltre. Di mettere da una parte un grosso non detto, che potenzialmente poteva esimermi per sempre dal considerarmi allieva di Garbini e di continuare ad essere fedele a me stessa e a quanto di importante ho vissuto con lui. Fatta quella scelta, a suo tempo, nulla di quanto è successo dopo, per quanto sgradevole, può modificare sostanzialmente le cose.
In autobus, sul 75 che prendevo allora, leggevo un libro vagamente psicoanalitico sulla figura del padre. E questa è, la storia: un intreccio di due padri, ancora aggrovigliato ben bene.
Nella sala gelida ho sentito i miei professori di un tempo evocare la stagione effervescente di quando loro erano discepoli. Un’epoca in cui succedeva di dirigere una missione archeologica a 23 anni, di avere una cattedra a 28 e di diventare rettore di università a meno di 40. Non potevo fare a meno di chiedermi se qualche volta queste persone a cui sono sinceramente affezionata si chiedano come mai oggi, su quelle sedie, mancassero varie generazioni successive. O, piuttosto, se abbiano fatto il possibile per andare avanti, verso il futuro. Perché il passato delle vecchie foto è bello non per il suo romanticismo in sé, ma per le energie che lo pervadevano.
La memoria è una cosa strana. Non è oggettiva, lo spiegavo anche ieri a Meryem. La mia memoria di Garbini è ormai soltanto mia e in qualche modo non ha un’esistenza. È per giunta una memoria femminile in un mondo di discepoli uomini (con qualche apparente eccezione).
Mi concedo solo un tocco. Tanti hanno parlato oggi dell’allegria di Garbini. Io ricordo piuttosto la sua malinconia struggente, l’angoscia che a tratti non conteneva, la rabbia per il tempo che fuggiva e per la vita che scivolava via. Giorno dopo giorno, di ipotesi in ipotesi, di lezione in lezione. E lo struggimento per un mondo che già allora era finito e lasciava strascichi di rimpianto per la giovinezza conclusa. La teneva viva nel lavorio della ricerca, nei giudizi esplosivi e temerari, mettendosi alla pari con gli allievi in scambi intensi e appaganti. Ma cronologicamente era già un altro secolo.
Didascalia della foto: https://yenibelqis.com/2017/01/02/garbini/
Bellissimo.
Un abbraccio, ti ho pensata molto
Bianca