Nel giro di poche ore, senza che ce ne rendessimo del tutto conto, ci siamo trovate chiuse in casa. Io e Meryem, che da quando è nata abbiamo vissuto il nostro rapporto madre figlia all’insegna dell’andare in giro, dal friendsurfing a tutti i viaggi estivi, più tutti i percorsi sui mezzi pubblici di Roma in lungo e in largo.
Quante volte sono stata accusata di sballottarla troppo, quando era piccola. Ma io quando la vedevo dormire ogni sera in un letto diverso, senza provare il minimo disagio, ero fierissima di lei. Per me la vacanza itinerante, diametralmente opposta rispetto al mese al mare dei miei genitori, era il massimo della felicità, che avevo pienamente vissuto solo a 18 anni, in una strampalata vacanza last minute in Gran Bretagna. Che Meryem potesse avere questo sempre mi faceva sentire come se le dessi le pastarelle dopo ogni pasto e non solo la domenica. Magari è troppo. Poi si stufa. Diventerà una che si spalma sulla spiaggia un mese per riposarsi. Ma ancora se la gode.
E ora? Ironico contrappasso. Noi, “zingare” di natura, chiuse tra quattro mura. Io vacillo, più di lei. Ogni tanto scoppiano litigi furibondi, brevi e violenti, che ci lasciano spossate e costernate. Poi niente, si ricomincia. Abbiamo ben chiaro che siamo una la forza dell’altra.
Lei ha fatto una lista di attività che deve fare, le ha numerate e ogni tanto ne estrae a sorte una. Mi è parso un modo ingegnoso di mantenere un pizzico di inaspettato in questo abisso grigio. Oggi abbiamo fatto un’altra lista, quelle di attività piacevoli da fare insieme. Abbiamo estratto la prima, la n. 13. Yoga. Ho messo il video di Claudia Porta su Youtube e abbiamo ripensato a quando siamo andate da lei in Provenza, tanti anni fa, e abbiamo passato giornate intere in piscina. I ricordi nessuno ce li toglie.
Questo isolamento è impietoso, ci lascia con quello che abbiamo davvero. Non si può barare. Davanti agli occhi si staglia tutto quello che non ho. Chi manca, soprattutto.
Poi però, come nel silenzio si sentono più chiaramente gli uccelli cantare, così riesco più chiaramente a cogliere i dolori degli altri. In una telefonata, in un whatsapp, in uno stato di Facebook. Non solo degli amici stretti, ma anche di tanti altri. Allora penso a quanti pesi tutti siamo abituati a portare in giro con disinvoltura, ben nascosti dietro tutto quello che c’è da fare e da pensare. Ora sembra emergere tutto, lentamente e inesorabilmente. È così per me, è così un po’ per tutti.
Per ora cerco di darmi disciplina, orari, obiettivi. Unità di misura per delimitare questo caos di indefinitezza, senza veri termini temporali. Ma forse ha ragione Barbara Damiano: il punto in realtà è imparare a cambiare passo. Imparare a cambiare anche noi. Ancora una volta, tutti insieme, ciascuno nella sua solitudine.
“Questo isolamento è impietoso, ci lascia con quello che abbiamo davvero. Non si può barare. Davanti agli occhi si staglia tutto quello che non ho. Chi manca, soprattutto.” Avrei sottolineato a matita il monitor.
L’unica cosa che può aiutarci è pensare che non siamo soli. Cioè si, siamo soli ma insieme a tutto il mondo.