Tempesta

Quest’anno la primavera pareva arrivata e poi, improvvisamente, le temperature sono calate. Ha nevicato, persino. Non ha solo piovuto: ha grandinato, con chicchi enormi e violenti. Ottime metafore atmosferiche, mi sono sorpresa a pensare, del mio ultimo weekend con la mia adolescente preferita.

Va così, dunque. Di colpo mi sono trovata per l’ennesima volta spiazzata. Perché il punto è che non capisco proprio mia figlia, non capisco le sue comunicazioni, le sue reazioni e dunque mi pare di essere sempre fuori tempo e fuori luogo.

Ricordo quando era piccola che avevo registrato che in alcune circostanze i bambini bisogna contenerli. Ma come si contiene la tempesta emotiva di una quattordicenne? Mi sono sentita come se stessi tentando di arginare con un dito una diga che crolla. E quindi l’ondata della piena ha investito e travolto anche me.

Però io in questa circostanza non devo essere Chiara, o almeno non prioritariamente. Serve che sia sua madre, prima di tutto. E allora mentre aspettavo che quella specie di tromba d’aria passasse da sola (e non certo per merito mio), ho fatto una fatica bestiale per non lasciare spazio ai sentimenti che comunque sentivo. Il senso di perdita, in primo luogo. L’impotenza. I dubbi, che non mi lasciano mai.

Ma onestamente capisco che la cosa più dura non è stato tanto vederla soffrire, o immaginare che potrebbe soffrire di nuovo: piuttosto è stato il dover rinunciare a un’immagine che mi piaceva, a un racconto che mi ero costruita e in cui in cuor mio avevo persino un piccolo ruolo. E invece no, trovandomi sbattuta fuori all’improvviso, ho realizzato che quel ruolo era solo nella mia testa.

Adesso sono di nuovo qui sul solito divano dilaniato dal gatto, dove quando riesco trattengo il fiato e cerco di non sbagliare troppo. Ma un po’ di fantasticherie, anche adesso, non me le nego. Dico a me stessa quello che provo a dire anche a lei: cerca di non farti troppo male.

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