Su ispirazione di un'amica, di impulso, ho aderito alla No Cash Week. Premetto che, dato lo stato attuale delle mie finanze, forse avrei fatto meglio ad aderire alla Settimana del Baratto o alla Settimana per l'Usufrutto di Donazioni di Generosi Benefattori. Ma, seguendo il principio del "lontano dagli occhi, lontano dal cuore", non posso negare di preferire il pagamento con il bancomat a quello che prevede la visulaizzazione impietosa dell'esatto importo che mi sta salutando per sempre, magari per pagare una bolletta (che non ti dà neanche la soddisfazione di toccare con mano l'acquisto).
Se devo pensare a come è cambiata la mia vita da quando ho iniziato a usufruire dei pagamenti no cash, mi vengono in mente i viaggi di quando ero ragazza. Alzi la mano chi non ha provato l'ebbrezza di fissarsi con una spilla da balia una bustina di stoffa all'interno dei pantaloni. Mia madre le confezionava apposta le bustine del tesoro, utilizzando i vecchi fazzoletti di stoffa di mio padre (altro articolo in via di estinzione). E poi il brivido del cambio all'estero (penso soprattutto a prima dell'avvento degli euro): li cambio? li cambio tutti? ne cambio un pochino?
Vogliamo parlare dei travel cheques? Io personalmente non li ho mai utilizzati, ma ho in mente indelebile il ricordo di un amico di famiglia che, munito di questa comodissima forma di trasporto di valuta, si diresse fiducioso all'ufficio postale di Mljet, deliziosa isola selvaggia che oggi è in Croazia e, all'epoca dei fatti, in Yugoslavia. Tornò con svariate buste di plastica di dinari, che peraltro nessuno gradiva come pagamento per l'impressionante rapidità con cui si svalutavano ("accettiamo solo marchi, grazie").
La prima volta che ho usato, con un certo timore, il bancomat all'estero mi trovavo a Istanbul, sponda asiatica. Mi sembrava impossibile che potesse essere così semplice. E invece sì, lo era. Niente bustina, niente calcoli sul quadernetto di viaggio. Tocca solo ricordarsi il pin. Ci pareva complicato. Ce lo scrivevamo ovunque, ci allenavamo a ripeterlo a intervalli regolari, certi che ci sarebbe sfuggito al momento cruciale. Ma ora i pin fanno parte della nostra vita: hanno preso felicemente il posto prima occupato dai numeri di telefono che sapevamo a memoria.
P.S. Se vi va, votatemi nel contest!
Uh le borsine portasoldi!
Mia mamma me le faceva nascondere nel reggiseno….alla Sophia Loren! 🙂
Bei tempi…
Io invece mi portavo borse di studio in contanti nel taschino della camicia chiuso col bottone e il maglione sopra. Si capische che visitavo soprattutto paesi freddi, vero?
Mammamsterdam
pS ma dove sei nel contest che non ti trovo?)
Barbara, se clicchi sul link si apre. E' quello con la moneta fenicia…
io praticamente vivo senza cash, a parte l'euro per il caffè…da un lato va anche bene perchè avevo l'abitudine bizzarra di perdere i soldi; dall'altro è un po' un pacco perchè non ho ben chiari i movimenti del mio conto corrente e striscio la carta con estrema facilità. Poi mi scordo spesso il pin, oltretutto. Però sta cosa del no cash mi piace, vado a vedere! Ho giusto un paio di episodi anch'io da raccontare 🙂
polly