Una volta mi è stato fatto notare che ho la tendenza a saltare i passaggi nel raccontare e a dare per scontato che chi mi ascolta sappia di cosa parlo. In effetti è vero, ma nel mio ufficio sono in ottima compagnia. Tre di noi lavorano gomito a gomito da nove anni (più o meno). Praticamente ci leggiamo nel pensiero. Quindi, ogni volta che c'è un nuovo arrivo nel team (in questo caso una sostituzione per maternità), noi ci sforziamo di essere didascalici o almeno intellegibili. Ma non sempre ci si riesce. L'aggravante è che, più che usare termini tecnici (che pure ci sono, per carità), noi tendiamo a usare definizioni scherzose, allusioni a aneddoti improbabili, riferimenti a situazioni surreali, vere o di fantasia, soprattutto con lo scopo di alleggerire un clima che a tratti rischierebbe di diventare un po' tetro (non ci occupiamo di storie particolarmente allegre). L'effetto collaterale è che i nuovi arrivati ben presto si convincono che qualunque assurdità abbia un senso, che prima o poi sarà decifrato, e che dunque la strategia migliore è ostentare indifferenza e cercare di calarsi nel clima. Ormai dunque non battono ciglio sentendo frasi tipo "Prendimi una copia del rapporto nella Batcaverna" o "se chiama la Principessa avvertimi".
Un aggravante è il livello di inquinamento acustico del nostro ufficio, in cui abbiamo tutti un po' la tendenza a urlare al telefono, rendendo i colleghi delle stanzeadiacenti partecipi di conversazioni rese ancor più esilaranti dal fatto che non si colgono le risposte dell'interlocutore. Un esempio? "No, l'aquila non va bene. No, l'aquila no. Ti serve il cammello. CAM-ME-LLO! Sì passa alle tre. No, IO mi raccomando" (trascrizione fedele di una delle ultime che ho sentito). Siamo dunque tutti un po' sordi, ma allo stesso tempo abituati a captare, commentare e eventualmente partecipare (solitamente a sproposito) alle conversazioni altrui.
Oggi era una di quelle giornate in cui non si può che prenderla a ridere. Dopo una serie di contrattempi difficilmente descrivibili, iniziamo con un'ora e passa di ritardo una riunione rimandata da giorni e non più rimandabile. Dopo qualche minuto, sebbene avessimo pregato di non passarci telefonate, arriva l'urlo: "Chiara, ti cercano da Londra". Io farfuglio tra me qualcosa tipo "è tre giorni che chiamano, meglio che capisco chi è" e faccio un salto a rispondere, inciampando in due sedie e sparendo nel mio ufficio accompagnata da una serie di rumori sinistri degni di un fumetto di Supergulp (Sbang! Clang! Thump" Tlin!). Qualche minuto dopo torno al tavolo. "La bambina sta bene?", mi chiede una collega. Io, un po' sorpresa: "Sì, che io sappia. Perché?". "Ah, credevo ti chiamassero dal nido". Ora: soprassedendo sul fatto che mia figlia non va più al nido, ma cosa poteva farle pensare che ogni mattina io la portassi a Londra? Non voglio divagare troppo dall'argomento della riunione, ma non resisto. Glielo chiedo. "Londra? Aaaahaaa. Avevo capito 'La Ronda'". La Ronda? E che razza di nome sarebbe per un asilo nido? Vabbè che io sono strana, ma francamente… Incrocio lo sguardo implorante del mio capo e non approfondisco.
Mi sono spanciata… aahahahaha!!!!!
Comunque se non avessi la certezza che siamo lontane, direi che lavoriamo nello stesso posto 😀
Ti capisco benissimo!
Io e la mia collega, che per di più è anche mia cugina, lavoriamo assieme da 15 anni (ommamma così tanto???) e ormai usiamo messagi in codice, ci capiamo al volo, stile che una finisce le frasi dell'altra.
Quando ci scambiamo le mail o gli sms il maritino impazzisce!!
Roba che se dovessero intercettarci non ne ricaverebbero nulla!
Sarà che ho uno studio, sarà che per caso mi occupo di "inquinamento acustico", sarà che i protagonisti di questa storia, rodati negli anni sembrano i miei colleghi e la sottoscritta, ma io me la sono risa per un bel po'…
Ciao!