“I rifugiati sono rifiuti umani, senza nessuna funzione utile da svolgere nella terra del loro arrivo e soggiorno temporaneo e nessuna intenzione o prospettiva realistica di assimilazione e inserimento nel nuovo corpo sociale”. Oltretutto, poiché non è fisicamente possibile rimuovere tutti i rifiuti – oppure non è possibile tenerli lontani in modo che noi non li vediamo -, ecco che si fa in modo che vengano sigillati in “contenitori a tenuta stagna”: campi profughi o ghetti che, da provvisori, diventano definitivi cosicché chi li popola non potrà mai più accedere al diritto di piena cittadinanza.
Cito da una recensione on line di questo libro, una delle letture più dolorose di questi anni. Ora che ci penso, dovrei rileggerlo. Non mi sono mai riuscita a togliere dalla testa questo parallelo ferocissimo tra migranti e spazzatura, tra discariche e campi profughi. “Il bene primario della società dei consumatori sono i consumatori; i consumatori difettosi sono il suo passivo più irritante e costoso”. Il parallelismo tra smaltimento dei rifiuti e migrazioni regge, eccome se regge.
Forse è anche per questo che quando Marichia, una donna appassionata, determinata, ma anche poetica mi ha parlato di questa fondazione e della sua intenzione di coinvolgere di un gruppo di rifugiati a Roma per realizzarlo anche qui, sono rimasta così colpita. Oggi, a meno di un mese dall’avvio delle attività, grazie a un patchwork di collaborazioni cucito in tempo reale in un paio di giorni alla fine di luglio, questa idea bellissima si è già tradotta in bicchieri, borse, collane, cartoline. Soprattutto, cosa ancora più insperabile, il gruppo di rifugiati esiste. Sono motivati, competenti e agguerriti. Il bigliettino su tutti i prodotti recita: “Questi oggetti artigianali, fatti con materiali di scarto, sono il risultato della creatività di rifugiati coraggiosi che spostandosi per mari e terre alla ricerca di protezione, vogliono contribuire al bene comune, ripulendo l’ambiente e utilizzando rifiuti per trasformarli in doni preziosi. Refugee ScArt è un dono che torna: aiuta chi l’ha creato e aiuta anche te a vivere in un ambiente più pulito”.
Ora che il primo passo è fatto, bisogna immaginare gli altri. Sarà necessario riuscire a dare concretezza e sostenibilità a questa idea. Intanto voi date pure una sbirciatina ai lavori in corso.
grazie. begli spunti. bella incazzatura
😀
Incazzatura? E io che pensavo che questo fosse un post ottimista… Incazzato è il post successivo!
questo E' un post ottimista (e quello dopo E' incazzato, in effetti)
avete ragione, ma considerando come vanno le cose le storie che vanno bene mi sollevano un'incazzatura totale di ribellione e rivolta per stravolgere le cose in maniera positiva.
quello dopo è un post triste!! o reale e forte. sa di vita vera.
adesso devo pensare come usare tutte queste energie che mi stai rimettendo in moto!!!
una silvietta piena di pensieri
Io ti ammiro, e medito spesso su questi frammenti del tuo lavoro che lasci in rete, trovo che siano molto importanti. Cerco di imparare qualcosa.
Ho visto quei lavori e ho pensato che era una bella cosa.
Poi, chiedo aiuto ma non so come dirlo, ho immaginato di essere lontana dalla mia casa, in un paese che non so se mi vuole, tra gente che in gran parte mi ignora e prova fastidio o rabbia quando mi incontra. Senza nulla. E mi sono chiesta come mi sentirei a fare collane e borse con materiale di scarto, come una qualunque massaia con tempo da perdere. Io sarei impazzita di dolore. A noi, che siamo in qualche modo dall'altra parte, cosa serve di più? La rappresentazione della disperazione o dello sforzo di volontà?
Sono molto confusa.
Sono contenta che questi racconti possano essere occasione per riflettere. Come mi sentirei? In questi 11 anni me lo sono chiesta spesso e devo accettare il fatto che non lo so. E poi, evidentemente, anche persone messe in situazioni analoghe non reagiscono allo stesso modo. Come si sentono questi nove ragazzi che hanno accettato la proposta bisognerebbe chiederlo a loro. Altri non hanno accettato. Però loro, quando li ho incontrati mi sono sembrati fieri di loro stessi e soddisfatti. Si sentono utili. Vedono in questa attività da massaia forse una portata maggiore di quella che ha, perché ne colgono il valore simbolico. Contribuiscono a migliorare l'ambiente in cui vivono creando cose belle. Hanno impiegato in modo interessante un tempo che sarebbe stato tremendamente vuoto, reso più pesantedal digiuno di Ramadan che tutti loro, musulmani, hanno osservato. Si sono conosciuti e hanno condiviso qualcosa. Tutte queste cose non sono sufficienti, certo.
Continuerò a leggerti, cercando di capire qualcosa 🙂