La colonna sonora che mi merito

Quello che vorrei raccontarvi oggi passa attraverso una serie di negazioni: non capisco nulla di musica, non so ballare, non sono ebrea. Come spesso nella mia vita, alle cose più mie sono arrivata per puro caso. E poi uno si racconta delle storie, a volte anche suggestive, per cercare qualche motivazione poetica, o dei frammenti di destino. Perché la cultura ebraica mi appassiona? Perché la musica che amo forse più profondamente si intreccia a quella cultura? Perché gli unici balli che non mi sono vergognata di ballare erano danze israeliane?

Nelle storie immaginate si può andare solo per immagini. La prima mi vede nell’estate successiva alla maturità. Una ragazza sostanzialmente sola, con quindici giorni da impiegare a Londra, in libertà assoluta. Per fortuna, avevo potuto sprecare appena poche ore per incrociare il ragazzo di cui ero perdutamente e infelicemente invaghita (ma l’avrò incrociato davvero, poi? Ho una memoria assolutamente confusa di quell’incontro, focalizzato principalmente sul mio paio di Nike Wimbledon con i lacci rossi. Sarà forse che mi guardavo i piedi. Ma sto divagando). Alcune suggestioni di quelle passeggiate bizzarre mi avrebbero accompagnato a lungo: la casa di Marx (e i figli bambini morti di stenti in nome di un ideale), i rilievi assiri con leonesse ferite di abbagliante bellezza e la sinagoga sefardita. Di lì a pochi mesi, stavo studiando l’arte assira e l’ebraico (Marx no, e forse non è un caso).

Un’altra immagine. Gerusalemme, estate. Un anfiteatro che dà sul deserto più deserto che io abbia mai visto, la strada che scende a Gerico (quella del buon samaritano, per chi frequenta i vangeli) che a un certo punto, dopo un cartello con cui i turisti si fanno fotografare, scende sotto il livello del mare. Io, in jeans e camicia bianca, cantavo. Perché avessi deciso di far parte del coro dell’Ulpan, il corso estivo di lingua ebraica, ancora oggi mi è misterioso. Le canzoni le ricordo ancora, così come ricordo un paio di sere molto diverse dalle altre e un attentato, in cui hanno perso la vita anche alcuni studenti come me. Ricordo anche le canzoni di una cassetta accompagnata da un libricino: poesie di Leah Goldberg e di Rachel, interpretate da Achinoam Nini, aka Noa.

Sfoglio ancora l’album. Questa volta sono a Piazza di Spagna. Indosso sempre una camicia bianca, ampia. E ballo al sole di Roma, nella grande festa della Maratona. Klezmer, debka e melodie yemenite. Groviglio inestricabile, filoni diversi che non ho più smesso di seguire con la mente e con le orecchie. Qualche volta in folta compagnia, come i solari concerti di Noa. Più spesso in gruppi molto più sparuti. Un ricordo per tutti: notte d’estate al teatro romano di Ostia Antica, la voce piena, travolgente, tradizionale e ribelle di Evelina Meghnagi. E ancora la sua voce, al teatro Palladium, che interpreta una traduzione ebraica del Testamento di Tito. Le mie fantasie musicali, partite da ricordi adolescenziali stupidi e poi rimpolpate di pensieri, letture, memorie, hanno spesso trovato imprevisti e imprevedibili connubi.

Cosa ci trovi? Mi è stato a volte chiesto di spiegarlo. E allora mi perdo. Inizio da un capo: il Cantico dei Cantici, il dibbuk, il golem, il microcosmo, Pico della Mirandola, il ladino…. Ma trascuro una parte essenziale, che tiene insieme il tutto. Me. La me che ero a 18 anni, quella che ero a 22. Quella che sono diventata, in decine di estati e di inverni. Le fantasie reali e quelle più evanescenti. Quei passaggi complicati dalla solitudine alle relazioni e ritorno. Decine di volti, di alcuni dei quali ricordo a stento i contorni. La mia colonna sonora più vera e irrazionale. Sì, mi piacerebbe che la mia colonna sonora fosse Bruce Springsteen. Trumps like us, babe we were born to run. Ma quella vera è questa bizzarra accozzaglia di melodie che non hanno molto a che vedere l’una con l’altra, ma che si portano dietro, a mo’ di strascico, una lunga catena di assonanze, associazioni di idee, sapori e odori. E, sotto sotto, Gerusalemme.

 

P.S. Non ce l’avete fatta? L’avete spenta dopo 30 secondi? Peccato, la mia preferita è la seconda canzone. Magari se un giorno avete tempo e pazienza ci tornate.

5 pensieri riguardo “La colonna sonora che mi merito”

  1. Ah, ma io non faccio testo: da quando danzo, ascolto un sacco di musica ebraica in tutte le salse. E non trovo che ci sia qualcosa da spiegare a riguardo: è bella, punto. Così come la cultura ebraica, che purtroppo mi trovo a conoscere “da lontano” perché a Pavia gli ebrei sono stati cacciati nel Medioevo e non resta alcuna traccia del loro passaggio.
    Sarà che trovo eccezionale l’umorismo di fondo che pervade quasi tutte le loro produzioni. Non a caso sono quella che ai suoi figli legge volentieri Il gatto del rabbino…

  2. siamo un groviglio di sensazioni di colori di musica, vorremmo tanto avere una spiegazione razionale per tutto,ma non c’è o non riusciamo a vederla (magari qualcuno vicino a noi vede qualcosa su di noi che noi non abbiamo notato, immersi come siamo nel nostro groviglio di emozioni colori profumi),cmq pure io per anni ho dato l’8permille alla comunità ebraica…perchè? boh non sono ebrea, non ho amici intimi ebrei, non sono mai andata in Palestina o a Gerusalemme….boh

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