Nel maggio del 2009 scrivevo post che grondavano angoscia e amarezza (qualche esempio: questo, questo, questo). Ma anche senza il blog me li ricorderei quei giorni spaventosi. Il primo, soprattutto. Mattina, ufficio. Il collegamento internet interrotto. Quella telefonata da Malta: “Avete visto? Cosa sapete?”. Non avevamo visto, non sapevamo ancora. Per la prima volta una nave italiana intercettava in mare e riportava in Libia persone in fuga da guerre e persecuzioni, persone che credevano di essere state tratte finalmente in salvo dopo il carcere, la tortura, il deserto. Dopo la Libia, quella Libia di Gheddafi pagata da noi per trattenere, davvero a qualunque costo, chi tentava di arrivare in Europa, rifugiati o no. Maroni se ne vantò in televisione. Uno shock enorme. Una frustrazione inesprimibile (e peraltro in gran parte inespressa, anche perché non sapevamo a chi esprimerla).
In seguito un reportage fortunato di Presa Diretta ci ha mostrato con tutta l’efficacia del video cos’era successo davvero. Ci ha fatto vedere i volti di quei 13 eritrei e 11 somali, un campione piccolo delle migliaia di vittime di quella politica sconsiderata, ma con il pregio di non essere una massa indistinta, ma uomini con nome e cognome. Uomini traditi. Uomini disperati e increduli, quando hanno capito dove venivano portati. Non genericamente politiche scellerate, dunque, ma un crimine preciso (sia pure tante, troppe altre volte replicato in altra e non documentata forma) contro persone precise.
Oggi, finalmente, c’è una sentenza della Corte Europea dei Diritti Umani e una condanna per l’Italia, con relativo risarcimento da pagare a quelle specifiche persone. Non si può rimandare qualcuno dove rischia trattamenti inumani, tortura o ulteriori respingimenti in luoghi dove questi trattamenti avverrebbero. Non si può stabilire che una persona non ha diritto all’asilo senza assicurargli un ricorso effettivo (il che, su una nave della Guardia di Finanza o di chicchessia, è proprio difficile). Non si può respingere in massa gruppi di persone senza curarsi di chi sia ciascuno di loro. Sì, proprio uno per uno. Quindi, va da se, non si possono nemmeno costruire vergognosi muri dove vanno a sbattere masse anonime. Non è vero che abbiamo il diritto di difendere la nostra (presunta) sicurezza a qualunque costo.
Io ricordo benissimo quell’anno e mezzo in cui a Lampedusa non sbarcava più nessuno e si aveva anche il coraggio di rallegrarsene e di vantarsene. Erano i mesi in cui scrivevamo “Terre senza promesse”: le persone che ci raccontavano gli orrori del Corno d’Africa ci parlavano di parenti, di amici, di compagni, la cui fuga è stata tragicamente bloccata dalla nostra politica di respingimenti. “Non si può fare qualcosa?”, ci ripetevano in tutti i modi e con tutti gli accenti. Qualcuno ci ha provato, nel suo piccolo. Una manciata di persone è stata tratta in salvo. Per il resto, solo sospiri e occhi al cielo.
Onore al merito va data ai caparbi avvocati che hanno presentato questo ricorso alla Corte di Strasburgo. Non era ovvio riuscirci. I ricorsi devono essere nominativi, presentati dalle singole persone. Hanno dovuto andarci subito, a Tripoli, per intercettarli. E’ stato un lavoro coraggioso, di principio. E ora?
La sentenza di per sé è importantissima. Storica, dice l’Alto Commissariato dell’ONU per i Rifugiati. Io però ricordo benissimo l’unica manifestazione pubblica organizzata a piazza Navona per protestare a respingimenti in corso: eravamo pochissime persone, una circostanza davvero deprimente. Gli stessi organizzatori avevano un’idea molto vaga del reale significato di quei fatti. E poi, sempre, questa totale indifferenza. Lo sguardo vagamente infastidito negli occhi di chi mi sente parlare di queste “cose tecniche”. Negli anni ho imparato, in molti casi, a non provarci nemmeno a comunicarla questa indignazione. Eppure sbaglio, lo so, e allora oggi ci riprovo.
Il nostro Paese e, in certa misura, tutti noi siamo stati condannati per aver calpestato i diritti umani di persone che dovevano essere da noi protette. Per avere messo a rischio la loro vita e per aver contribuito alla morte di molte altre. E non si tratta solo di una triste pagina di storia contemporanea. Forse, finita la guerra in Libia, stiamo già continuando. Leggete cosa scrive l’UNHCR: “L’Alto Commissariato è inoltre preoccupato che l’Italia abbia riattivato il trattato bilaterale con l’attuale Governo libico senza rinunciare formalmente alla pratica dei respingimenti che è il risultato di tale accordo”. Io non credo che si possa dormire tranquilli, anche senza aver conosciuto personalmente tutti i vari Ali, Arif, Abdi, Michael e Mohamed che ho avuto la fortuna di incontrare io.
Omonima, mi verrebbero un sacco di domande da farti.
Prima di tutto, mi chiedo come si comportano gli altri stati che sono nelle nostre condizioni: la Grecia ha alzato il costoso muro, e la Spagna come reagisce agli sbarchi? Mi sembra di ricordare che tempo fa abbiano sparato, a Ceuta, ma non ricordo se il problema specifico fosse questo.
Secondo: l’Europa come aiuta i paesi più soggetti agli sbarchi? Mi sembra di capire che molti rifugiati non abbiano intenzione di fermarsi in Italia, ma sono costretti. L’Italia sta facendo da filtro per i paesi europei? Lo sta facendo gratis o no?
Probabilmente sono enormemente ignorante e in cattiva fede, ma ho l’impressione che l’Europa condanni l’Italia ma tragga vantaggio dal nostro crimine (nella misura in cui “vantaggio” significa non doversi far carico dei rifugiati e dei clandestini). Dimmi se e dove sbaglio.
Quante altre domande ci sarebbero, acuta omonima… Iniziamo dalle tue, come posso. Come si comportano gli altri Stati. La Grecia fa i muri, mette mine, fa accedere alla procedura d’asilo meno dell’1% di chi ne avrebbe diritto, imprigiona gli altri in carceri indescrivibili… non continuo, per pudore. La Spagna pure fa, eccome. Ma non se ne vanta in tv. Agiscono efficacemente con gli accordi con i Paesi terzi (Marocco in primis), respingeranno in mare anche loro, all’occorrenza sparano (ricordi bene).
L’Europa come aiuta? Non è esattamente nello spirito di aiutare granché. Un po’ di rifugiati da Malta vengono reinsediati in altri Paesi europei con i fondi comunitari. Qualche misura di cooperazione. Ma nella sostanza l’Italia e gli altri Paesi (specialmente quelli di più recente ingresso) fanno da filtro eccome. Per questo Maroni era così sicuro, e a ragione, di non essere condannato politicamente dall’Unione Europea. Non lo è stato. In quei giorni, a parte l’UNHCR e le ONG, nessuna voce ha condannato quella che era una violazione palese del diritto nazionale e internazionale. La Corte di Strasburgo è un’altra cosa.
Mi verrebbe però da aggiungere: guardiamo ai numeri, per favore, anche quando parliamo di oneri economici. Nel 2011, senza respingimenti, le richieste d’asilo sono state circa 30mila. I permessi concessi meno del 40%. Parliamo davvero di un numero basso, bassissimo di persone. Ad oggi si contano molti più rifugiati nel solo Kenya che nei 27 Stati membri dell’Unione Europea. A volte le proporzioni sfuggono.
Mi viene in mente, dopo la lettura di questo post, quante discussioni vi furono sulle radici cristiane dell’Europa , all’atto di redazione della costituzione europea. Ora, io non sono particolarmente devota, ma le mettessero in pratica, piuttosto che scriverle!!
In effetti… E’ che sulla pratica dei valori cristiani si trovano molto meno consensi, in genere. Ho sentito con le mie orecchie che la frase “Chi ha due tuniche ne dia una a chi non ne ha” va intesa, ovviamente, in senso figurato.
da FB OGGI SU CATERPILLAR
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Ecco l’abbondante puntata di oggi @CaterpillarRAI
– A San Francisco l’Innovation day: orgoglìo italiano
– A Legnago l’ospedale poliglotta
– In France adieu alla mademoiselle
– l’Italia condannata per i respingimenti verso la Libia
– L’anti-pirateria dall’Oceano Indiano
– Bloccati da tre giorni sull’Etna per neve
– Colpo di coda: Fateci sentire il vecchio suono del flipper
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30.000 persone sono poco più degli iscritti alla mia università, in una cittadina di provincia. Certo, 30.000 ventenni con le tasche piene fanno più gola di 30.000 poveracci. Ma si tratta di un impatto veramente minimo sull’intera Italia.