La bauxite, l’ora di religione e i confini della mente

“Ma secondo lei”, mi fa un giovane californiano del gruppetto di universitari a cui ieri parlavo di rifugiati a Roma “questa storia dei confini degli Stati sempre più impenetrabili è in qualche modo collegata alle nostre mentalità sempre più ristrette e impaurite della diversità?”. Oddio, magari non l’ha detto proprio con queste parole, ma l’idea era quella. Ecco, in quel momento ho pensato che tutta la mia lezioncina, gli aneddoti scelti ormai anche con un po’ con mestiere, compreso il ricordo sempre vivo di quando da adolescenti ci parlavano dell’Europa senza frontiere (interne) e nessuno ci raccontava che razza di blindatura invece stavano mettendo in piedi su quelle esterne, qualche effetto lo aveva sortito. Io ieri proprio quello volevo dire. Che ci farà il californiano nella sua vita non lo so, ma io su questo argomento ci rimuginavo anche per tutto il can can nato dalle dichiarazioni del ministro Profumo sulla riforma dei programmi scolastici e, in particolare, dell’ora di religione.

In Italia, si sa, “ora di religione” è una di quelle cose che non si può nominare senza suscitare immediatamente una fastidiosissima ondata di polemiche (avete presente quel film in cui il protagonista ha una specie di crisi di nervi tutte le volte che sente pronunciare “donna delle pulizie”? Ecco una roba del genere). Allora mi tolgo il pensiero e dico subito le cose ovvie: quell’ora dovrebbe essere pienamente parte del programma scolastico, non facoltativa, insegnata da insegnanti reclutati con lo stesso identico sistema di tutti gli altri e senza patenti e imprimatur di autorità religiose, quali che siano. Ma cosa si dovrebbe insegnare in questa materia? Qui casca l’asino. Solitamente il fronte laici/liberi pensatori/persone evolute-moderne-civili qui risponde “storia delle religioni”. Così, di default, avrei forse risposto così anche io. Ma in questi giorni mi rendo conto che è una risposta che a sua volta non sta in piedi. Storia delle religioni? E cioè, di preciso? Il pensiero corre al mondo accademico e all’omonimo dipartimento. Siamo sicuri che è questo che serve, nelle scuole? Una disciplina che vive ancora oggi in perenne crisi di identità, persino nel chiuso ambiente della ricerca universitaria, notoriamente poco incline a considerare la propria utilità educativa? Nei migliori dei casi a me noti (e parlo per aver vissuto ancora in qualche modo il riflesso della famosa scuola romana di gloriosa e meritata fama) la storia delle religioni è un’affascinante scienza storica, tesa a sviscerare attraverso articolate ipotesi (e spesso impantanandosi in esse) uno o più aspetti della tradizione culturale delle società, specialmente antiche. Comparativisti versus fenomenologi, con le tribù esquimesi sempre dietro l’angolo perché utilissime per essere usate come raffronto (sufficientemente ignoto ai più) per suffragare qualunque teoria. Non fraintendetemi, io amo la storia delle religioni. Sono persino convinta che entro certi limiti possa essere una cosa seria. Ma onestamente non mi pare ci interessi per dare contenuti sensati a una materia scolastica.

Ma no, mi direte voi: noi con storia delle religioni intendiamo la conoscenza delle varie religioni del mondo. Ah. Ma siete sicuri? A parte che spesso, in un certo qual modo qualcosa del genere durante l’ora di religione si finisce per farlo, è questo che ci serve? Studiare presentazioni pseudo oggettive del buddhismo, dell’induismo, dell’ebraismo e dell’islam? E a che pro? Qui si insinuano le voci a favore dell’ora di religione così com’è (considero solo quelle in potenziale buona fede): ma come si fa apprezzare l’arte, la letteratura la tradizione di un Paese largamente cattolico se i nostri ragazzi non sanno nulla manco di cristianesimo? Posso testimoniare per esperienza diretta che, in effetti, un mio compagno del liceo, quando gli fu chiesto dalla professoressa di storia dell’arte di descrivere il Battesimo di Cristo di Piero della Francesca si soffermò con grande afflato a precisare quanto fosse centrale nella composizione “il grosso gabbiano” sopra la testa del soggetto principale. E non era un caso isolato. Tuttavia, pur riconoscendo a questo argomento una punta di verità, non sono disposta a sostenere che l’ora di religione così com’è serva a qualcosa, tanto meno a capire meglio la Divina Commedia o i cicli pittorici dell’arte antica. Salvo lodevoli eccezioni determinate da sforzo individuale e autogestito di insegnanti particolari, durante l’ora di religione ci si dà alle varie ed eventuali, combattuti tra la necessità di astenersi dal catechismo e l’incertezza sostanziale di cosa insegnare di preciso. Io solitamente vedevo film, per dire. Oppure parlavo di educazione sessuale (avevo una giovane insegnante di religione molto aperta e entusiasta, ma un po’ ondivaga e molto poco presa sul serio da noi studenti).

Credo che, per una volta, la chiave stia nelle parole del ministro. Il discorso in effetti si riferiva in modo ampio alla riforma di programmi scolastici che ormai non sono più adeguati alla società plurale, multiculturale, multietnica in cui vivono i nostri figli. E non si tratta della stantia spruzzatina di intercultura facilona che ogni tanto riaffiora qua e là tra le proposte didattiche di questo o quel territorio. E’ proprio questione di affrontare responsabilmente un’urgenza culturale. Se leggete questo articolo, davvero notevole, di Ilvo Diamanti capirete meglio cosa intendo.

Per formulare proposte su come riformare l’ora di religione, il discorso deve partire dall’ora di geografia. Anche qui i miei ricordi scolastici sono emblematici. A parte confuse memorie appiccicaticce di nomi di catene montuose della Germania, la geografia per me si collega mentalmente alla bauxite. Compariva tra le risorse minerarie di molti paesi (addirittura a un certo punto mi pareva che non ci fosse luogo al mondo privo di un giacimento di bauxite) e, a tutt’oggi, non so come sia fatta. A cosa serva. Ora sarebbe facile, cercherei su Google. Ma quello che più mi sorprende, oggi, è che in tanti anni non me lo sono mai chiesto. Il che la dice lunga su quanto mi abbia dato la materia in termini di stimoli intellettuali. Ed ecco che il ministro Profumo nota un’ovvietà: oggi gli studenti la geografia potrebbero impararla, molto più efficacemente, dal compagno di banco. Certo, detta così è un po’ troppo facile. Ma certamente oggi l’esigenza più evidente è quella di orientarsi meglio tra luoghi, relazioni economiche e politiche, lingue. Avere le coordinate per spiccare il volo in un mondo di opportunità. Ma, prima ancora, di condividere, di incontrarsi con gli altri con la consapevolezza di dove si è, e possibilmente di chi siamo e chi stiamo diventando (o, ancor più interessante, chi potremmo diventare). Cogliere le possibilità infinite del tessere relazioni, imparare a farlo con gli strumenti più utili.

E qui veniamo all’ora di religione. Facciamo per un attimo finta di essere un Paese normale? Ci scordiamo per un momento di vescovi, concordati e radici cristiane dell’Europa (almeno nell’accezione restrittiva del termine)? Io credo che l’ora di religione potrebbe utilmente essere trasformata in qualcosa che, chissà perché, mi viene da definire in inglese: (Multi)Cultural Awareness. In soldoni? Dare agli studenti le conoscenze indispensabili per rapportarsi in modo costruttivo con la diversità. Alla base ovviamente dovrebbero esserci elementi di decostruzione del pregiudizio e di gestione del conflitto. Ma poi ci vanno, a complemento, anche molte nozioni pertinenti. Il capitolo sull’identità religiosa potrebbe essere lungo, ad esempio. Ma non importerebbe tanto fare la storia dell’espansione dell’islam o della diffusione del buddhismo in Cina. Piuttosto mi piacerebbe si affrontassero le questioni che più facilmente possono portare a fraintendimenti e incomprensioni, grandi e piccole (salta agli occhi la questione delle rappresentazioni sacre, ma anche le norme alimentari, su cui ho un gustoso aneddoto che racconterò come bonus a chi ha il coraggio di arrivare fino in fondo al post). I temi che ancora devono essere oggetto di riflessione, anche normativa, perché non del tutto metabolizzati dalla società.

Ma ovviamente la religione è solo un aspetto di questa materia di supporto per la gestione della pluralità. In questa ora troverebbero ottimamente spazio approfondimenti a prevenzione di tutte le più comuni forme di discriminazione: un lavoro sulle questioni di genere, a partire dallo smontare criticamente gli stereotipi sulle donne; un approfondimento sulle identità sessuali e su tutte le questioni connesse alle libertà fondamentali; un percorso documentato sull’antiziganismo in Europa (così magari la piantiamo di essere convinti tutti che le zingare rubano i bambini)…. Vi pare che ci sia abbastanza carne al fuoco? Direi di sì. La bella domanda, evidentemente, è dove pescare insegnanti di una materia che non c’è (oltre che come fare eventualmente inghiottire Oltretevere il rospo multi-identitario). Non vi preoccupate troppo. Ora potete riaprire gli occhi. Siete in Italia, ricordate? Il problema (ahimè) probabilmente non si porrà mai.

P.S. Ah, l’aneddoto esemplificativo che vi avevo promesso, ma che se lo infilavo prima mi faceva perdere il filo dell’argomentazione. Dunque, mi trovavo a fare una lezione sull’ebraismo a una classe di un istituto superiore di un paese dei Castelli Romani. Si parlava di norme alimentari e, in particolare, del divieto di mischiare in un pasto derivati da carne con derivati da latte, da cui consegue la divisione piuttosto frequente nei piccoli ristoranti e locali tra quelli che servono cibi a base di carne e quelli (solitamente bar e pasticcerie) che servono latticini. Qui una ragazza ha un’illuminazione: “Ah, ma allora era per questo!”. E mi racconta che alcune settimane prima lei e la sua famiglia erano capitati a mangiare in un ristorante kasher (“molto buono, tra l’altro!”), ma che a un certo punto il fratello piccolo aveva iniziato un capriccio per avere un gelato. Appurato che nel locale non se ne vendevano, il padre si era alzato e aveva comprato un cono alla vicina gelateria. A quel punto però i proprietari del locale li avevano pregati con garbo di non sedersi nuovamente a tavola con il gelato, ma di consumarlo su una panchina di fronte. La richiesta, motivata da banali regole tecniche (a partire dal necessario rispetto dell’osservanza degli altri clienti, a garanzia della quale il rabbinato certifica peraltro l’idoneità o meno dei locali), era apparsa alla famiglia digiuna di ebraismo assolutamente incomprensibile e persino sgradevole. “Abbiamo pensato che fosse per ripicca per il fatto che non lo avevamo comprato da loro. E dire che avevamo mangiato in cinque, quindi ci pareva proprio una meschinità”. Da qui all’ebreo avaro (con naso adunco) voi capite che il passo è breve. Eppure basterebbe fornire un po’ di banali informazioni quantomeno per decifrarsi gli uni con gli altri (il che, ovviamente, lascia chiunque libero di pensare che le norme alimentari e le religioni in genere siano enormi fesserie: ma almeno sgombra il campo da infondate ipotesi interpretative, che hanno peraltro la ben attestata tendenza a estendersi a macchia d’olio a popolazioni intere).

14 pensieri riguardo “La bauxite, l’ora di religione e i confini della mente”

  1. Grazie Chiara per tutti gli interessanti spunti di riflessione. Non per portare acqua al mio mulino, ma credo che forse qualche Antropologo a spasso potrebbe volentieri cimentarsi in quella che chiami (Multi)Cultural Awareness. Ma temo che il problema non siano le competenze, come hai detto tu: “sveglia, siamo in Italia!”.

  2. Mi piace! Mi piace proprio.
    L’ora di religione è fatta troppo spesso male. Quindi meglio una buona catechesi per i cattolici piuttosto che un’ora di religione fatta male a scuola.
    E un po’ di conoscenza delle altre religioni sarebbe utile proprio per capirsi meglio nel senso più ampio del termine: capire gli altri e capire anche sè stessi aumentando la consapevolezza delle radici dei nostri gesti e delle nostre tradizioni.
    Sì, mi piace.

  3. Ecco, io sono di quelli che storce il naso quando tutti si scagliano contro l’ora di religione e non sanno nemmeno cosa vorrebbero, solitamente -appunto- voglio la “storia delle religioni”. E non imposta cosa sia.
    Con questo non difendo l’ora di religione così com’è. L’impressione è proprio che chi sta dietro la cattedre non sappia bene cosa e come insegnare. Tutto è nelle mani, e nelle capacità dell’insegnante: buon per i pochi fortunati, “ritenta sarai più fortunato” per gli altri.
    Ma alla fine è sempre più facile criticare con slogan e frasi fatte, senza contribuire con idee concrete come invece hai fatto tu.
    Condivido tutto quello che hai scritto, decostruzione degli stereotipi, principi di comunicazione interculturale, gestione creativa dei conflitti, riflessione sulle identità ecc. e sappiamo quanto ne abbiano bisogno studenti e -mi permetto di aggiungere- insegnanti di ogni ordine e grado.
    Grazie Chiara, come sempre.

  4. Infatti il punto è questo, mi riallaccio ai commenti sopra: una famiglia che davvero abbia il senso della propria religione e ci tenga a farlo insegnare ai figli in forma comunitaria dovrebbe assolutamente opporsi all’ ora di religione a scuola e provvedere a far fare catechismo ai figli in casa e nella comunità religiosa a cui appartengono. Se vedi in Italia chi fa davvero così (chiesa evangelica, testimoni di Geova ecc.) ti rendi conto che si rafforza anche il senso di appartenenza. E la competenza/coscienza multiculturale che dici tu sarebbe la cosa migliore da farsi. E perché non una Storia dei miti fondanti dell’ umanità?

    Detto ciò, lo sapevo dal titolo che questo sarebbe stato un post densissimo, ma è anche (sorpresa) straordinariamente leggibile e chiarissimo, complimenti, io non so se riuscirei ad essere divulgativa a questo modo. Però la mia conclusione è che non solo devi continuare a scrivere così (quando ho letto bauxite nel titolo chissà perché mi sono immaginata una materia prima essenziale per la quale si sono consumate guerre, colonizzazioni, sfruttamento e invasioni. Adesso controllo su gugo), ma che è veramente ora che ti si assegni la famosa rubrica di fashion & style.

  5. Io nella mia carriera scolastica non ho mai fatto religione e l’ora che rimaneva libera è stata di volta in volta impiegata (bene o male dipende) altrimenti. Posso però raccontare che nella scuola pubblica degli anni 80 (ho iniziato le elementari nel 1988, per capirci) nella mia classe l’ora di religione, per chi non voleva, era sostituita dall’ora di ecologia. Quando ancora di ecologia e rispetto dell’ambiente non si parlava nei termini e con la frequenza cui siamo abituati noi oggi, a me parlavano di raccolta differenziata, fonti rinnovabili, rispetto dell’ambiente ecc
    Erano tempi diversi, il multiculturalismo non era d’attualità quanto ora e un’ora di multiculturalismo o di (Multi)Cultural Awareness sarebbe stata quantomeno prematura, ma ho sempre pensato che la nostra maestra, allora c’era ancora il maestro unico, ci ha visto lungo, trovando nell’ecologia il tema giusto da anticipare a tre alunne dai 6 anni in poi.

  6. Bellissimo post. Scardina molti (pre)giudizi ma la geografia, la filosofia, persino la matematica sarebbero in grado di farci capire ed apprezzare le differenze in maniera altrettanto precisa. L’ora di religione, va bene. Ma perché non l’ora di sogni nascosti nel cassetto, quella di salti nel buio della mente, il tema di vorrei ma non posso. Bellissimo post. Svolto in maniera superlativa, come dice mammasterdam. P.s.: a me la geografia è sempre (e tuttora) piaciuta tantissimo, mi si srotolavano davanti agli occhi carte geografiche come fossero campi di giochi. La fantasia galoppava via, verso nuove avventure. 🙂
    È la prima volta che ti leggo: grazie davvero!

  7. Grazie a voi tutti, mi fa davvero piacere che apprezziate. E’ un tema che mi sta molto a cuore. @Barbara: ti ringrazio, ma mica riesco sempre a essere comprensibile! E sul fashion mi avvalgo della facoltà di non rispondere….

  8. Secondo me tutto si riassume nel tuo “Siamo in Italia”. E, almeno stavolta, non si tratta solo dell’ombra del vaticano che incombe… ma, a mio modestissimo parere, è proprio che la maggior parte della gente non ce la fa, non ci arriva proprio. E passi per i nostri genitori, ma purtroppo questa immaturità culturale colpisce anche tanti nostri coetanei (sopra ma anche sotto il t
    Tevere). Spero davvero, spero nei bambini di oggi e nell’impegno di chi, come te, cerca di divulgare l’educazione alla diversità come ricchezza…. Ma un momento…. Le zingare non rubano più i bambini?? Ma come? Ma da quando?!?! No, il pregiudizio puntello della mia infanzia, me l’hai scardinato così… 😀 😀 😀

  9. Ciao Chiara,
    il tuo vecchio maestro vorrebbe ppresentare la propria esperienza. C’erano forse temi più “allegri” sui quali intervenire: le peripezie turistiche dei miei cinque diavoletti alle prese con aerei o con il dialetto latgaliano “lettone orientale” per organizzare una partita di Uno con gli indigeni locali o gestire il tappeto elastico o ancora il nostro comune rabbino di Tokio che secondo me nei suoi racconti batte perfino Etgar Keret. Invece mi trovo a commentare le tue riflessioni (e quelle del Ministro) sulla cosiddetta Ora di Religione. Come sai, da dodici anni insegno religione nelle medie (timbrato e bollato dalla Pontificia Università Gregoriana), ormai nei quartieri ai confini della periferia della città. Parlo per me stesso, poiché le generalizzazioni (vedi Moretti, Bianca, sulla mia generazione…) poco mi piacciono. Non essendo facoltà statali di teologia (o è un ricordo o una ctazione apocrifa di Garbini: per grazia di Dio) il reclutamento di insegnanti presentano i problemi che hai detto, ma a mia conoscenza la “manodopera” è sempre più qualificata e motivata (rispetto al mio passato di studente..). Da quello che scriverò di seguito, credo che offriamo ai ragazzi, tenendo presente l’età e tutte le altre dinamiche, una finestra sul mondo e sullo spirito. In un triennio, su un gruppo del 90 % di alunni, non ho fatto mai quello che qualcuno chiama catechismo (ed è la prima cosa che dico). A San Lorenzo un non battezzato era il primo di una classe in cui tutti i dolori del mondo si erano dati appuntamento. Insegno a tipi che entrano bambinetti e che escano “grandi”, spesso in preda alle loro tempeste ormonali e personali In prima: la preistoria, le religioni dell’Antichità, Ebraismo e Cristianesimo. Con il libro e i lavori di gruppo, soprattutto sull’ebraismo, in coincidenza coin la giornata della memoria, si riesce a parlare anche di alfabeto, leggi alimentari, etc. etc., a leggere testi e così via. In seconda: c’è tutta la storia della Chiesa: anche qui, con lo stesso metodo o con audiovisivi (il monachesimo visto con il documentario dalla Certosa di Serra san Bruno), pellegrinaggi, Chiesa Ortodossa e Riforma (con studio dei protestantesimo in italia). In terza: ciò che il ministro dice lo faccio da dodici anni: religioni di tutto l’orbe – anche quelle orientali che rammemorano tanto il vecchio corridoio) – libertà e responsabilità, ecologia e diritti (partendo dalla Genesi) e tutti gli anni genocidi e Shoah. L’anno scorso una classe ha realizzato un immenso cartellone nel quale ogni albero conteneva la biografia di un giusto fra le nazioni. Ma un anno un mamma armena ci parlò del genocidio armeno. Taccio di esperimenti filmici iraniani oppure di altri film come La Rosa Bianca che invece catturano l’attenzione e fanno sorgere domande. Anche scomode, alla quali cerco di dare una possibile risposta secondo la fede, la ragione e la mia esperienza di vita. Avrò annoiato molti, ma forse la mia testimonianza dall’interno potrà aiutare a capire qualcosa in più Non credo che “fossi nato” per questo. Ma nella ma vita, citando il poeta, provvide la storia ai dovuti mutamenti. Lo studioso ed esegeta mi accompagna in classe e poi c’è un’altra storia. un ultimo appunto: gli studenti dimenticano, se dovessi fare l’elenco degli sfondoni grammaticali, storici, geografici ascoltati dalle mie classi, il povero gabbiano sarebbe ben poca cosa. Poerò ogni tanto qualcuno ti stupisce. Ciao francesco

    1. Caro Francesco, intanto grazie del tuo racconto. Quello che scrivi non mi stupisce, perché so per averne fatto esperienza diretta che insegnante sei. Nella scuola italiana la differenza la fa sempre la persona. Tu, per tua competenza e attitudine, sei in grado evidentemente di interpretare in modo utile e sensato un esperienza di insegnamento che però per molti non lo è altrettanto. In questi anni per lavoro ho collaborato con molti insegnanti di religione. Trovo molta buona volontà, a volte competenza, ma spesso una profonda incertezza sulla didattica e sul proprio ruolo (raramente anche qualcuno che fa un uso improprio dell’ora stessa). Per questo sono convinta che una riforma dei programmi sia necessaria. Sul reclutamento poi un cambiamento mi pare una necessaria esigenza di equità e di dignità per tutti gli insegnanti. Nessuno dovrebbe essere soggetto a “bolli” che riguardano qualcosa di diverso dalla sua competenza. E una materia scolastica che può essere facoltativa è un’ambiguità non accettabile.

  10. Cara Chiara,
    il mio vecchio professore di filosofia, interpellato su come capire, Kant, rispose: “Ci si nasce!”. Dopo decenni di prova da una parte e dall’altra, in tutte le materie, vedo che c’è un’attitudine più o meno innata,aiutata dall’esperienza, a presentare contenuti, a guidare il branco,etc. Quanto a me, forse l’impronta del vecchio grammatico mi da questa strutturazione didattica e di vita. Garantisco per me stesso e per fortuna la responsabilità è personale, come diceva il buon Ezechiele. Credo però che il ministro (!) non si sia granché informato né suoi programmi né sui contenuti. Quanto al resto mi sembra alta e bassa politica. Cose che parafrasando Amichai, ci passano sulla testa. francesco

  11. Commento in ritardo, questo bellissimo post me l’ero perso.
    E taglio la testa al toro (porelli, i miei tori mi guarderanno male d’ora in poi): e se quell’ora venisse riassorbita nel programma e basta? C’è bisogno dell’ora di religione a partire dalla scuola dell’infanzia, soprattutto considerando che gli oratori e le istituzioni religiose possono contare anche sulle ore del catechismo?
    Quello che tu scrivi sarebbe meraviglioso, ma, ahimè, lo dici anche tu: in Italia non si farà mai. A questo punto, meglio fare pulizia, secondo me.

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