Il figlio dell’altra

In questo periodo natalizio si recupera: il sonno (mai quanto servirebbe), le letture (spero, prima o poi), le visioni di film. Questo qui aspettava da più di un anno, ma meglio tardi che mai.

Nei giorni che sono trascorsi dalla visione gli ho trovato, qua e là, qualche debolezza. Ma il fatto stesso che mi sia tornato in mente più volte la dice lunga, specie nel confronto rispetto a tante pellicole inconsistenti, viste una volta e poi dimenticate per sempre. La mia prima impressione comunque è stata del tutto positiva: non è il solito film di identità scambiate. In primo luogo credo che, nella sua sobrietà, dia una visione abbastanza equa della tragedia palestinese, pur conservando un punto di vista onestamente israeliano. Questo fa sì che non si scivoli in irritanti caricature e/o santini.

Ma quello che soprattutto mi ha colpito è il fatto che non parla solo del conflitto in Israele/Palestina. E’ prima ancora e forse soprattutto un film sull’adolescenza. Ha una portata, in qualche misura, universale. Chi sono? Che rapporto ho con la storia della mia famiglia? Come mi pongo rispetto alle contraddizioni apparentemente insanabili in cui sono immerso e, prima di me, i miei genitori? L’estate dei diciotto anni segna in misura forte il passaggio dalla visione della propria famiglia semplificata e in qualche misura monodimensionale dell’infanzia a quella a tutto tondo, del rapporto tra adulti

Oso aggiungere che, sia pure in un modo piuttosto sui generis, è anche un film su quelle che su Genitori Crescono chiamano “famiglie scomposte“. Scomposte e ricomposte, in nuovi equilibri che possono sembrare irragionevoli, ma la cui autenticità in fin dei conti è data solo dall’onestà intellettuale ed emotiva dei componenti.

Una bella storia per tutti, insomma.

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