Leggerete qua e là sul web che la cala di Coccorrocci prende nome dalle numerosissime chiocciole marine chiamate, in dialetto sardo, is coccorroccius. Filologi più accorti e che, soprattutto, sono stati sul luogo formulano un'altra ipotesi: Coccorrocci deriva da un'esclamazione di disappunto indigena, traducibile con "Poffarbacco, quanti ciottoli!" o, in romano, "Mortacci, che serci!", con la ben attestata equivalenza "rocci=sassi" (cfr. l'aggettivo "roccioso"). Resi eccessivamente baldanzosi dalla nostra eroica incursione a Cala Moresca, costataci miracolosamente solo un paio di ciabatte da mare, nonché dalla spedizione esplorativa alle falde del Gennargentu, abbiamo individuato un altro accesso al mare per più che abili, come i cruciverbi di Bartezzaghi.
Per bello era bello, per carità. Ma rechiamo impresse indelebili sulle piante dei piedi le impronte dei celebri "ciottoli levigati di colori variabili dal grigio, al rosa e al verdastro". Comunque, superata la fase del "ci rompiamo una gamba e ci giochiamo la nonna" e anche quella del "ora che siamo entrati in acqua chi ci tirerà fuori di qui?", regnava una certa tranquillità. Appollaiati in sette sotto il nostro ombrellone nano, approfittavamo di un raro momento di quiete in cui persino la Guerrigliera si era stesa l'asciugamano a terra e si era sdraiata a mo' di lucertola.
Troppo per mio cognato. Il solitamente bradipico Silveri in queste circostanze freme di attività irreprimibile. Ed eccolo partire, con i tre minori, in una passeggiata di esplorazione sugli scogli. Io trattengo il core di mamma sempre in agguato e lascio che Meryem sia della partita, ignorando i mugugni dei cuginetti, che avrebbero preferito una compagnia più competitiva. Mi erano tuttavia ignote le regole del simpatico gioco di società che si stava per svolgere e che mi vedeva protagonista inconsapevole, nel ruolo di Cercatore. Eccole qui, in modo che voi possiate replicarlo per animare il vostro Ferragosto (a condizione, ovviamente, che vi troviate in luogo impervio e disagevole per camminare). La squadra parte, supera i primi scogli e quindi si divide in due. Un gruppo (in questo caso i due cuginetti) tornano indietro velocemente e,con una storia quasiasi, mettono in moto il Cercatore (nel nostro caso, raccontando che Meryem aveva sete e che quindi avevano deciso di tornare indietro; mezzora dopo Meryem e il Capobattuta ancora non erano comparsi all'orizzonte). Il Cercatore, immaginando improbabili incidenti sulle rupi, inizia a percorrere il tracciato. Dopo i primi venti minuti è autorizzato a chiedere notizie a chi incontra (per la cronaca: a Coccorrocci sono ancora in corso le ricerche del pedofilo con costume rosso sparito con una bimba dietro le rocce). Il secondo gruppo, nel frattempo, sarà tornato indietro per un altro sentiero, badando bene di nascondersi dietro i cespugli per non essere individuato dal Cercatore. Quando anche il secondo gruppo sarà arrivato al campo base, un secondo Cercatore può partire lungo la costa per individuare il primo, che nel frattempo starà tornando indietro (imprecando) lungo la strada interna. Il gioco può proseguire potenzialmente all'infinito.
Con questa ultima spedizione possiamo dire praticamente ultimata la conoscenza delle coste ogliastrine. L'esperienza di oggi ha indotto mia madre a pretendere che domani si vada al Lido di Orrì, noto anche come "Il Tinozzone", dove la sabbia è più fine che mai e l'altezza dell'acqua non supera i 35 cm. Sostiene che visto che domani deve salire su una nave non intende spaccarsi il muso con una delle nostre gite in località ignote. Mi duole, ma non posso darle torto.