Figlia di un povero genio

Un bel post su Genitori Crescono, scritto dalla mia amica Veronica, ma più ancora un paio di salaci commenti di due mie simili, Barbara e Silvia, mi tirano fuori da un angolino del cervello una riflessione che è più uno scrupolo. E allora credo che mi tocchi affrontarlo, questo tema della competizione, visto che alla fin fine sono stata io stessa a proporlo a Genitori Crescono (e qualcosa vorrà pur dire).

La frase – ironica – di Barbara (“Poi che c’ entra, noi siamo naturalmente una razza superiore, quindi chi se ne frega della competitività che è lo sfogo naturale di quelli che devono faticare per raggiungere la media”) mi ha illuminato. E’ esattamente così che mi hanno cresciuto. Mio padre, in particolare. Sempre ironico, eh? Sempre con il sorriso sulle labbra. Ma lui lo pensava sul serio. Spezziamo una lancia a favore di quel pover uomo. Lui era un genio davvero. E fare il genitore, per un genio, deve essere il compito più difficile della terra. Perché? Perché chi è un genio in una manciata di campi, è per forza insufficiente e goffo in molti altri. E, cosa più grave, degli altri campi in cui non eccelle spesso, in buona fede, non riesce proprio a vedere la rilevanza (se non addirittura l’esistenza).

Mio padre era la persona meno competitiva della terra. Perché in tutto ciò che valutava importante aveva già vinto e stravinto. A 30 anni aveva il lavoro della sua vita, nel posto più prestigioso a cui un ricercatore con le sue idee potesse ambire (ovviamente non dal punto di vista economico. L’insegnamento accademico, che avrebbe potuto avere a Roma con la libera docenza già conseguita, l’ha sempre rifiutato); aveva sposato la donna della sua vita, convinzione che credo non l’abbia abbandonato mai e di cui non faceva mistero (cfr. i mazzi incredibili di rose rosse, uno per ciascun anno passato dal loro fidanzamento, che inondavano casa ogni 8 dicembre); ma, soprattutto, chiunque lui ritenesse stimabile lo stimava senza riserve.  Aveva poco da competere. Aveva le sue mancanze e i suoi limiti, qualcuno lo giudicava anche rilevante. Ma onestamente era un uomo che sfuggiva a qualsiasi media.

Tutte noi figlie, ovviamente, abbiamo dovuto metabolizzare, nel bene e nel male, cotanto padre. Uno che non aveva assolutamente bisogno di essere severo: i suoi giudizi, espressi o inespressi, cascavano nelle nostre vite con la grazia di meteoriti. Nel mio caso erano (per lo più) giudizi positivi, generosi e a dirla tutta spropositati, che si trascinavano dietro, peraltro, tutta la famiglia. Ancora oggi le mie sorelle sono convinte, a dispetto dei disastri da me combinati nei più vari settori della vita pubblica e privata, della mia superiore intelligenza. La stima è qualcosa che non solo non mi è mai mancata, ma di cui ho subito una overdose. “Lo sai che ti apprezzo tanto”, mi dice di tanto in tanto qualcuno. E io, se non mi freno, parto di capoccia. Il meglio che riesco a fare è restare freddina.

Della stima non so che farmene, mi verrebbe da dire. E allora che caspita vuoi? Da liceale avrei detto che volevo essere inclusa nella vita sociale, che volevo essere più bella, che volevo essere considerata   una femmina e una persona. Oggi, con il senno del poi, mi dico che mi sarebbe piaciuto sviluppare le mie potenzialità in modo più equilibrato. Mi sarebbe piaciuto essere incoraggiata a migliorare là dove facevo più acqua (e non parlo di rendimento scolastico, evidentemente). Ho già detto che ringrazio il pattinaggio e, in particolare, la mia allenatrice per avermi insegnato a perdere un po’ meglio di prima. Ma è stato il tempo, più che altro, a darmi l’allenamento necessario. Uscita, con qualche ritrosia e molto poco spontaneamente, dal campo in cui mi ero abituata a vincere facile (e in cui, manco a dirlo, mio padre mi vedeva benissimo), mi sono trovata a fare i conti con tutto il resto, comprese le mie molte incapacità.

Tornando a me, come persona e come genitore: mi sento superiore? Non saprei. Mi sorprendo ancora a incutere inavvertitamente soggezione. Probabilmente un certo atteggiamento spocchioso lungamente praticato all’Università e dintorni, mi è rimasto nel repertorio. Non a caso, mi sono scelta un compagno che sulla mia presunta intelligenza superiore nutre molti (e fondati) dubbi. Per il resto, mi arrangio come posso. Mi consolo pensando che, non essendo un genio come mio padre, forse mia figlia mi troverà meno ingombrante. Ma spero che non mi ami meno per questo.

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11 pensieri riguardo “Figlia di un povero genio”

  1. Visto che mi ci tiri dentro: io ho la grande fortuna di essere riuscita a fare un mestiere (vabbè, tanti mestieri, ma i soldi li porto come traduttrice ed interprete, sia chiaro) che mi piace e da soddisfazioni, anche se vorrei poter avere più lavoro e più clienti, ultimamente, perché mi manca. Di essere circondata di gente che ha sempre creduto nelle mie potenzialità, anche se io ci credevo un po’ meno se me lo dicevano gli altri – riconosci questa? – ma dentro di me, nel mio modo saltellante e confuso evidentemente ho sempre saputo dove non andare, anche se chiedermi dove voglio andare, non lo so, ma tanto poi ci arrivo uguale. Ho sposato un uomo talmente intelligente che ci ho messo del tempo a capirlo consapevolmente e che tira fuori da me il meglio (e pure il peggio alcuni volte, se proprio dobbiamo dirla tutta). Idem per i figli.

    Vorrei solo potermi convincere che devo smetterla di darmi martellate negli alluci e farlo anche, smettere intendo. Sono una madre ingombrante per i miei figli? Bo, io credo che tutti i genitori lo siano. Ma credo che tu, anche con il genio in casa, non avresti voluto, con il senno di poi, perderti nessuno degli stimoli che ti sono arrivati da casa, se penso al racconto del dizionario slavo avrei voluto esserci.

    Ecco, lo so che i genitori stimolanti sono faticosi, che magari ti danno direzioni in cui credono loro e devi fare più fatica a capire e realizzare quelle che piacciono a te. Ma ti dirò, anche per mio fratello è stata una gran frustrazione avere il confronto continuo con me, anche perché è pigro e fa prima a credersi la pecora nera della famiglia e rassegnarsi a non smuovere il culo che darsi da fare per far valere le proprie possibilità.,

    E nella vita preferisco aver a che fare con persone intelligenti, anche se lo sappiamo tutti quali sono i limiti dell’ intelligenza, che con persone stupide, perché quelle proprio non riesco a capire cosa le motivi e mi fregano sempre.

    Sarebbe tanto bello poter essere solo moderatamente intelligenti, ma quando sei intelligente con le macchie, nel senso che passi da aree in cui sfiori il divino ad altre in cui ti ci vorrebbe la balia a portarti per mano, meglio rassegnarsi e tirarne fuori il meglio.

    Grazie comunque per questo post perché sto lottando da mesi con concetti del genere.

  2. OK, no, elaboriamo. Io son contenta di molte cose che ho fatto, metti putacaso che pure come ricerca divento bravina, come mi dovrei comportare coi bambini? Il post sottintende una certa difficolta’ di relazionamento (giusto? o comunque una sottile vena di rimprovero per tuo padre), quindi che dovrebbe fare il genitore modello in quel caso? Non parlare del proprio lavoro, che senno’ i pargoli si demotivano? Parlarne ma minimizzarlo? Dire, ma non e’ merito mio, so’ stato culo? No cioe’ spiegatemi. O il problema era che ti diceva “brava” troppo spesso (su quello concordo)?

    sono superconfusa da sto post, si capisce? 😦

  3. Azzz… eccolo lì, uno dei miei problemi. Quello grosso con Amelia e boh con Ettore. Io non sono un genio e non sono neanche riuscita a fare tutto quello che volevo nella vita. Ma, a parte nel campo lavorativo (e per ora, chissà che cosa succederà nei 30 e rotti anni in cui ancora lavorerò), ho avuto facilmente tutto quello che volevo: laureata a 23 anni col massimo dei voti, master, il successo lavorativo fino al punto di rottura (per dire: ogni tanto qualche ex collega di 10 anni fa mi cerca ancora nella speranza di trovarmi libera di lavorare per lui, e son soddisfazioni), la felice vita da single, la felice vita con Luca, i figli presto e bene, sotto un certo punto di vista anche il posto fisso. Guardacaso neanch’io sono minimamente competitiva, se non con me stessa.
    Ad un certo punto, sentendo che non potevo capire i processi con cui Amelia apprende, ho delegato certi compiti a suo padre: si capiscono meglio, hanno ritmi più simili. Io forse sarò più adatta a seguire Ettore.
    Certo che i miei figli avranno sempre sulle spalle la carogna di una madre come me: intelligente e forte, dominante per natura. Chi non si sentirà di confrontarsi sullo stesso terreno sceglierà saggiamente di addentrarsi in campi che non frequento: per esempio, la manualità mi è proprio estranea. Chi invece si sentirà affine a me farà scelte simili alle mie. E io penso che starò a guardarlo/a con il cuore in gola, nella speranza che abbia più successo di me.

  4. Ok, seriamente, sottoscrivo tutto, ma proprio tutto quello che dici tu sul periodo da liceale, aggiungici che per insegnarmi a faticare ed apprendere un metodo di studio i miei mi hanno iscritta allo scientifico che era un po’ l’ opposto di tutto quello che sarebbe stato logico e normale, quindi mi avrà fatto l’ effetto pattinaggio, ma nel modo sbagliato, nel senso che mi ha insegnato a NON vincere e manco me lo aspettavo.

  5. @supermambanana confusa: tranquilla cara, rileggendolo mi sono resa conto che questo post gronda non detti come se piovesse. Forse per questo ognuna ci legge un po’ del suo e tutte ci sentiamo deliziosamente accomunate. Preciso, però, che, fatto salvo il santo e eterno principio che il genitore come fa sbaglia, non direi che a mio padre rimprovero qualcosa. Era esattamente com’era, straordinario. Essere amata e anche (indegnamente?) stimata da lui mi ha riempito d’orgoglio per tutta la vita, che la metà bastava. Mi ha fatto divertire da matti, siamo stati complici quasi sempre e mi ha regalato ricordi impagabili, che non hanno nulla a che vedere con l’intelletto e i suoi derivati. Come è ovvio, dava alle cose la rilevanza che credeva che avessero. Non ci ha voluto forgiare a sua immagine, tanto che noi cinque figlie siamo molto diverse (l’aneddoto narra che questo lo considerava il suo/loro più grande successo). Ma su di noi pesava e pesa, questo è inevitabile. Dal titolo volevo suggerire questo: mica gli si può imputare la colpa di essere l’uomo (e il genio) che era. Qui mi interessava piuttosto che conseguenze possa avere avuto su di me la prospettiva in cui mi sono trovata. E anche soffermarmi su spunti gettati da Barbara tempo fa, sui pro e sui contro dell’intelligenza (o dovrei dire degli squilibri tra diverse intelligenze?) e su come gestirla/li.

  6. attenta Mammamsterdam, stai tirando dentro una che vi abbasserebbe la media di QI- ma no, no, ci sono finita per caso in questo delizioso blog: sono una derelitta senza arte nè parte, ma mi piace molto leggervi 🙂

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