Tu non cambi mai

Fine di una giornata di lavoro, particolarmente noiosa e deprimente. La mia soddisfazione professionale è ai minimi storici. Esco dalla cripta, mi avvio verso il tram (dopo una piccola sosta al supermercato per comprare dei crackers di riso al chili). Sto ancora ruminando assorta, leccandomi le dita di tanto in tanto, quando arrivo in vista del capolinea del tram. Ed ecco, ti vedo tra la folla. Tu vedi me. In decenni di reciproca conoscenza, il più delle volte finisce che ci si scambia un fugace segno di saluto (tu spesso sei al cellulare, in superiori questioni assorto). Eppure c’è stato un tempo strano in cui ci siamo assiduamente frequentati, in cui nel tuo salotto spettacolarmente tappezzato di libri si parlava di Alessandro Magno, di labirinti, del tempio di Gerusalemme e chissà quali altre diavolerie. Ci sei stato a un memorabile festeggiamento di conclusione del mio dottorato di ricerca e un caro amico non vedente che ti presentavo per la prima volta ti ha riconosciuto dalla voce, perché ti sentiva alla radio. Proprio pochi giorni fa mi è cascato l’occhio sulla borsa di stoffa (“Too many books, too little time”) che mi hai regalato in quell’occasione.

Poi è venuto meno il nostro tramite, l’amico comune che ci teneva insieme. E ora non so mai se devo scambiare con te qualche parola o no, se deve essere di circostanza o no. Non faccio in tempo a farli, questi pensieri, né ce ne sarebbe bisogno perché tanto li so a memoria e non è più utile farli.

Ti fermi, parli. Convenevoli. Che fai qui? Torno a casa, lavoro qui. Che lavoro fai? Buffo, non  lo sai neanche. Magari non casualmente, tu i dati poco interessanti non li trattieni. Esaurito lo scambio parli tu, tu che stai andando a un incontro con un uomo potente, che forse avrai un incarico più stimolante e più prestigioso che ti consentirà di lasciare quello che hai (che molti considererebbero l’inarrivabile apice di una carriera). Tu che sabato consegnerai l’introduzione di un altro libro (Pessoa?). Tu, tu, tu. Non so perché, cerco di inserirmi di forza nel monologo. Mi stupisco, non è da me. Mentre parlo mi rendo conto che tutto ciò è abbastanza patetico. Mi levi di imbarazzo, soffocando di banalità qualunque spunto: quanti anni ha tua figlia, loro crescono, noi invecchiamo. Tento ancora una volta di dirti qualcosa, ma ormai sto parlando da sola anche io. Nel farlo mi rendo conto che ti ho liberato a mia volta dall’imbarazzo di giustificarmi un mancato appuntamento che mi avevi ventilato, per mail, un mesetto fa. Avevi iniziato a dire qualcosa, ma ti interrompi e lì finisce. Sei già oltre. Ti stai chiedendo perché ti sei fermato. Guardo il tram. Prosegui, proseguo.

Che tristezza, questo incontro. Nei tuoi occhi distratti rivedo sempre, cristallizzato e immutabile, il giudizio un po’ stantio di quelli che pensano di me: “che peccato, eppure era così promettente”. Ma forse mi sopravvaluto. Probabilmente non hai mai pensato neanche questo, è tutto un complesso mio. Salgo sul tram.

1 commento su “Tu non cambi mai”

  1. Che brivido l’ultimo paragrafo: è esattamente quello che temo gli altri pensino di me. Per non dire che è spesso quello che io stessa penso di me :S

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