Mentre Meryem saltellava qui e là vestita da principessa medievale, intenta a guidare un gruppo di bimbi nell’impresa di liberare una sirenetta sua coetanea dalla stiva della nave dei pirati, io mi sono concessa una chiacchierata con la direttrice del luogo di meraviglie dove abbiamo passato buona parte del nostro soggiorno a Odense, città di Andersen: il Børnekulturhuset Fyrtøjet. Che cos’è? Un sito lo definisce “spazio culturale interattivo per famiglie con bambini al seguito”. Io ho qualche difficoltà a riportarlo a una definizione, perché non ero mai capitata in una struttura simile. L’ingresso richiama un po’ quello di una biblioteca, da cui si accede a un ambiente molto ampio, chiamato “La grande stanza delle favole”. L’effetto è quello di trovarsi in un grandissimo palcoscenico teatrale, con tanto di luci e scenografie, ispirato alla favola della Sirenetta: c’è il palazzo marino, la nave, le conchiglie, la carcassa di una balena, l’antro della strega. Tutto a grandezza naturale e perfettamente arredato. L’idea è che i
bambini, ma volendo anche i genitori, possano giocare liberamente, unicamente sull’ispirazione delle suggestioni dei luoghi fantastici lì ricreati e dei costumi e accessori che si possono utilizzare a proprio piacimento. La struttura continua poi in altri ambienti e al piano superiore, con ulteriori angoli di gioco e esplorazione: la simulazione di un molo di pescatori e di un faro del secolo scorso (con dentro telegrafo e macchina da scrivere, veri e utilizzabili liberamente), un sottomarino, una cucina… Tutto a disposizione dei bambini, per il gioco libero. Ci sono infine delle stanze laboratorio, con colori, fogli, tele e supporti di ogni genere per il disegno, la pittura e quant’altro e una specie di sala guardaroba, con abiti di scena di tutte le taglie, dove a determinate ore le animatrici del centro animano l’invenzione e
recitazione di favole, con la partecipazione di bambini e genitori. Un po’ complicato da descrivere, ma vi assicuro che noi ci siamo divertiti infinitamente a esplorare, insieme e singolarmente, questo luogo pieno di semplici meraviglie della fantasia e a dare il nostro contributo alla messa in scena di una delle favole più strampalate che si siano mai sentite.
Vi dicevo della chiacchierata con la direttrice. Ho da lei saputo che il centro è basato sul noto approccio Reggio Emilia, di cui ho appreso l’esistenza… da lei (acc, che figuraccia). Ci siamo poi trovate a parlare della differenza tra Legoland e altri parchi tematici e lei, con la competenza che a me manca, ha confermato la mia impressione. Il fulcro nella discussione era il ruolo “attivo” o “passivo”, passatemi i termini rozzi, del bambino rispetto alle attrazioni.
Legoland, lo dicevo anche nel post precedente, è praticamente un inno alla creatività. Non è come farsi una foto con Topolino, per intenderci. Lego è un brand, ci mancherebbe, ma il bambino è continuamente stimolato a partecipare, intervenire, fare esperienze. A Legoland, ad esempio, siamo diventati una squadra di vigili del fuoco e, con il nostro mezzo, abbiamo partecipato a una gara per spegnere un incendio (imparando, in parte a nostre spese, quanto può pesare l’attrezzatura di un pompiere e quanto sia essenziale per il risultato “fare squadra”), abbiamo setacciato la sabbia un un ruscello alla ricerca di minuscole pepite d’oro, abbiamo cotto il nostro panino al fuoco dei Pellerossa. Persino le ricostruzioni di Miniland sono quasi tutte dotate di pulsanti che i bambini possono premere per vedere l’effetto (sonoro, di movimento o altro) che il loro piccolo contributo può portare al quadro generale. Un quadro intero di Miniland è dedicato alla spiegazione concreta delle energie alternative e appositi contatori misurano l’energia prodotta dal sole o dall’attivazione di turbine e mulinelli vari da parte dei visitatori, grandi e piccoli.
E qui passiamo a un ultimo punto. Oltre a divertirsi, dunque, anche in un contesto così si può avere la pretesa di introdurre elementi di apprendimento senza risultare pedanti? La risposta è certamente sì. Questa, onestamente, non è una novità: posso pensare a molti esempi di intrattenimento didattico anche qui in Italia (semmai cambia, a tratti, lo stile: ma di questo, forse, parleremo nel prossimo post). Però anche in questo caso la visita al Vikinge Center di Ribe è stata per me una novità assoluta. Si tratta di una ricostruzione, in spazio aperto di una certa ampiezza, di un villaggio vichingo comprensivo di figuranti e animali. Non è un sito archeologico, non è un museo. Però non è neanche una pagliacciata. La ricostruzione appare abbastanza rigorosa. L’idea è che i visitatori assistano, e in certa misura partecipino, alle attività del villaggio e possano conversare e fare domande agli “abitanti” per ottenere maggiori informazioni. Noi ad esempio abbiamo assistito alla lavorazione del vetro e siamo stati informati dalla vichinga sulle importazioni, per commercio o per razzia, delle materie prime. Meryem è rimasta entusiasta della possibilità di piallare un bastoncino con il falegname del paese, molto meno della possibilità di imparare a combattere (lo scudo, a suo dire, era troppo pesante e la pioggia e il freddo avevano probabilmente avuto la meglio sul suo spirito, già fiaccato dalla vita cittadina).
Personalmente ho trovato estremamente affascinante questo approccio alla “cultura”. Mi sono chiesta se si potrebbe fare anche da noi. E non parlo, ovviamente, dai beceroni vestiti da gladiatori che ammiccano alle turiste per farsi fare una foto a pagamento. Ho avuto su questo uno scambio abbastanza vivace con la mia amica Alessandra, archeologa e esperta di visite guidate per bambini. Lei sostiene, in estrema sintesi, che no, da noi non si potrebbe fare. E che, mi pare di capire, lei non condivide neanche del tutto l’uso del “finto” (e dell’ipotetico, evidentemente) per rendere fruibile il “vero”. Io, che paradossalmente al “vero” sito e al museo Meryem neanche ce l’ho portata, obiettavo – estremizzando – che alla fine non è il manufatto o il muro a essere importante, ma l’occasione di familiarizzare con qualcosa, attraverso l’esperienza. Non abbiamo avuto tempo di approfondire la discussione. Voi che dite? Immaginereste una ricostruzione di borgo rinascimentale, con figuranti ben formati, a cui accedere a pagamento per provare l’ebbrezza della vita quotidiana al tempo della famiglia de’ Medici?
Mi inviti a nozze con la tua domanda. Sono appena tornata da un viaggio di 11 giorni in Danimarca riportandomi a casa 1300km di esperienze e insegnamenti. Sto proprio in questi giorni cercando di mettere questo bel viaggio nero su bianco e spero di averti tra i lettori visto che hai fatto la stessa esperienza. Il villaggio vichinghi è stata una delle cose che mi ha colpito maggiormente non solo per il concetto da loro molto diffuso che la storia si impara sul campo, che si conoscono le cose divertendosi e sperimentandole ma anche perchè nel villaggio non ci sono attori (come ad Odense ed Aarhus) ma persone appassionate di quel periodo storico che decidono di giocare o passare una vacanza giocando ai vichinghi. La loro è una scelta consapevole fatta con gioia di vivere esattamente come facevano i Vichinghi e il loro muoversi non si ferma con la chiusura del museo. Devono veramente dormire su quelle pelli e cucinarsi con quel poco che hanno. Per loro anche un modo di sostenere il museo. Sto anticipando uno dei miei post… Comunque per tornare alla tua domanda difficilmente si può riprodurre qualcosa di simile da noi perchè le differenze sono molte!
Ti leggerò con molto piacere, considerando anche che tu hai avuto un’esperienza molto più approfondita della mia!
Infatti in Olanda abbiamo l’ Archeon, che è`tutto fondato su questo concetto della storia che si impara sul campo. E anche il Nemo, il museo della scienza e della tecnica qui ad Amsterdam, è fatto in modo da toccare e muovere e usare tutto. Pure il meteorite te lo fanno toccare, dicendo che è la cosa più antica su cui metterai le mani in vita tua.
Mi hai fatto venire una grandissima voglia di affrontare un viaggio come il vostro! Noi quest’anno siamo stati cinque giorni a Parigi, di cui uno a Disneyland. Allucinante. Non torneremo mai più in un ‘parco divertimenti’ così… Molto più divertenti i musei pensati per i bambini, come la Galerie de l’Evolution (con una sezione specifica per bambini piccoli) e la Citè des Enfants all’interno del museo della scienza (esperienza fantastica).
Non so se in Italia qualcosa del genere funzionerebbe… Di musei per bambini ce ne sono già: io conosco di fama quelli di Genova e Roma e spero di poterli visitare presto con Gabo. A Bologna frequentiamo un laboratorio ‘scientifico’ per bambini che è sconosciuto alla maggior parte delle famiglie e anche degli insegnanti. Ma anch’io sono convinta (e ci sono studi ce lo dimostrano) che l’esperienza aggiunga motlissimo all’apprendimento. Lo vedo anche con mio figlio: a 5 anni sa cosa sia la forza di gravità e l’attrito, ma quando due scienziati dell’Istituto nazionale di astrofisica lo hanno fatto prima saltare, poi sfregare le mani, ha interiorizzato i concetti e ogni tanto li ritira fuori!
Per il villaggio vikingo mi vengono in mente le ricostruzioni storiche medievali-rinascimentali che si fanno in tanti paesini anche qui da noi, ma sono iniziative più commerciali che storiche… E non pensate a misura di bambino!
Anche noi quest’anno in Danimarca, anche noi a Ribe, anche noi Vikinge center ed un’analoga ricostruzione medievale, ma anche luoghi veri e musei veri.
Ed anche noi con la stessa conclusione: perché da noi no? Perché non una ricostruzione di Pompei, di una repubblica marinara, di un borgo rinascimantale?