Anche il dolore è normale

More about Mama Tandoori Ero molto curiosa di leggere Mama Tandoori, un romanzo di Ernest van der Kwast edito da Isbn. Mi frenava il prezzo, ma appena l’ho visto tra le offerte Kindle ho colto l’attimo. Era un po’ che aspettavo l’occasione di spiegare perché a me questo libro è piaciuto, anche (o forse proprio perché) leggendolo ho trovato qualcosa di profondamente diverso da quello che mi aspettavo.

Cosa mi aspettavo? Suvvia, mi aspettavo il solito romanzo multietnico di famiglia da ammazzarsi dalle risate, basato su gustosi equivoci e pittoreschi scontri di culture in salsa speziata. Tipo il film East is East, o Il mio grasso grosso matrimonio greco, per intenderci. Invece in questo romanzo si ride, un pochino, ma soprattutto si soffre.

Non tutto è rose e fiori, negli incontri tra culture. E, soprattutto, non tutto è rose e fiori nella vita, in genere. Il personaggio della mamma indiana all’estero, con tutti i suoi tratti grotteschi, più che comico è tragico. Tragico perché dietro i sorrisi ironici leggiamo tutta la sofferenza del figlio, che si sente inesorabilmente bollato da questa figura ingombrante e collerica. Ma soprattutto perché, al di là della macchietta, si legge tutta la sofferenza incolmabile della donna in questione.

In questo dolore lo spaesamento culturale ha forse un ruolo, ma certo non è il protagonista. Rimorsi, angosce, il peso insopportabile di scelte grandi e piccole, ma più ancora il destino comunque difficilissimo di essere anche mamma di un bambino “speciale”. Quello che mi ha colpito di questo racconto per bocca del figlio è forse, più di ogni altra cosa, la capacità di descrivere (sia pure in termini lievi) la propria sofferenza di bambino, ma anche di rendere in qualche modo giustizia (sempre senza indulgervi) alla complessità della mamma, che rompe quasi subito il ruolo di macchietta a cui il genere letterario rischierebbe di relegarla.

Pensandoci, mi ha fatto piacere di trovare tutte queste dimensioni in un libro che parla, in qualche modo, anche di integrazione. Mi è piaciuto vedere raccontato attraverso la figura del padre, apparentemente dimessa e sconfitta, tutto il coraggio che ci vuole anche solo per non rinunciare a priori a una strada comunque faticosa e piena di curve a gomito, dall’esito imprevisto e imprevedibile. Direi che il messaggio che se ne ricava è che in questo mondo plurale ormai tutto siamo destinati a vivere insieme, anche i drammi più intimi e non condivisibili. Perché essere insieme ormai è normalità, una normalità che non si limita a una salsa esotica da tirare fuori da una mensola quando ci serve un sapore originale.

Poi, chiaramente, per vendere un libro così bisogna puntare sulla comicità, agganciarsi a un trend di interesse già costituito. E’ vero che forse, se la presentazione fosse stata diversa, non mi sarei incuriosita neanche io. Ma è anche vero che così si rischia di deludere qualche lettore che di dimensione se ne aspetta una sola e può essere colpito negativamente dalla indubbia componente di “spiacevolezza” (del personaggio e della vicenda). Alcune recensioni su anobii ne sono la conferma.

 

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