Ce l’ho, ce l’ho la mia strategia di sopravvivenza alle sfide quotidiane! Forse ne ho già parlato incidentalmente qua e là, ma sono troppo fiera per non condividere qui quella che reputo la mia strategia educativa più riuscita (forse l’unica, ora che ci penso): le parole segrete.
In effetti mi sono ispirata a un concetto un po’ distante da quello della genitorialità tradizionale: le “parole di sicurezza” o safewords. Prima di cancellarmi dalla vostra blogroll e denunciarmi a qualche ente di tutela dei minori, lasciate che vi spieghi meglio.
Ero alla vigilia delle mie vacanze a tu per tu con la Guerrigliera in Salento. Quindici giorni che persino io potevo prevedere che sarebbero stati un po’ stressanti. Sole in luogo ignoto, senza macchina, amici, parenti, conoscenti. Anche senza internet, ma quello non potevo saperlo. Insomma, immaginavo che mantenere il controllo sulla fanciulla – che aveva cinque anni compiuti da poco – sarebbe potuto rivelarsi essenziale, almeno in alcuni momenti. Il principale ostacolo che vedevo erano gli inevitabili conflitti. Quando io e/o mia figlia perdiamo le staffe, le nostre reazioni diventano spesso deleterie. Da qui l’idea, che si è rivelata azzeccatissima.
Io e Meryem ci siamo date tre “safewords”, tre parole segrete che conosciamo solo io e lei. Le abbiamo scelte insieme e servono a gestire situazioni di tre livelli diversi di gravità. La prima (chiamiamola “parola A”, un segreto è un segreto) significa: “sono ragionevolmente certa che questa discussione sia una stupidaggine. Prima che diventi una cosa seria e ci arrabbiamo davvero, diamoci un bacio e finiamola qui”. La seconda (“parola B”) si usa quando il conflitto è in atto e si sente montare la rabbia. Significa: “Ok, cerchiamo di calmarci. Io ora ti spiego come la vedo io e poi tu mi spieghi come la vedi tu. Cerchiamo un compromesso senza sbroccare”. L’ultima (“parola C”) è riservata ai momenti di emergenza. Da agosto scorso a oggi credo in effetti di averla usata una, forse due volte. Significa: “Non c’è tempo ne modo di spiegare ora. Obbediscimi e basta. Ne parleremo meglio quando l’emergenza sarà finita”.
Avevo fatto il tentativo senza particolari aspettative. Ma il meccanismo si è rivelato azzeccatissimo per Meryem, che lo capisce a fondo ed è in grado di utilizzarlo (giusto un paio di giorni fa, dopo molto tempo, ha usato la parola A; a volte, se mi arrabbio, mi richiama giustamente all’uso delle parole). L’unica ovvia accortezza è non abusarne. Specialmente la terza deve essere davvero un’eccezione, altrimenti il senso dell’intera operazione è vanificato.
Poi avviamente non sempre siamo in grado di utilizzare questo metodo. Però sappiamo che c’è, possiamo reciprocamente ricordarcelo e io resto convinta che sia qualcosa di prezioso che resterà tra noi due.
Questo post partecipa al blogstorming “Sfide quotidiane e strategie di sopravvivenza“
sei una “grande” magnifico, non ho parole, anzi ne ho tre ora!!!! grazie copio copio copio
sono d’accordo sull’aggettivo “prezioso”
ma e’ favolosa sta cosa!
Concordo, copierò alla grande….
Bellissima idea…visto che hai svelato il segreto, posso copiarlo? Ora il nano è troppo piccolo però tornerà presto utile, credo.
Noooo…. Anche io è il mio Nanetto usiamo parole in codice…..che conosciamo solo noi. Lo scorso anno ne avevamo una ….che poi abbiamo smesso di usare. Proprio in questi giorno ne abbiamo coniate altre due: una per il pianto e una per le bugie. Al pronunciare queste due parole…lui si ricorda che certe cose non si fanno!!
Uahoooo….che bello che non sono l’unica ad avere….questi metodi!!!!!
Ci è piaciuta molto l’idea delle “safewords” e non abbiamo potuto non citarti nella nostra ricetta del genitore “quasi perfetto” … sperando che non ti dispiaccia!
http://genitorimeglioconinternet.blogspot.it/2013/03/blogstorming-sfide-quotidiane.html
Grazie.