Pace in Kurdistan, pensieri

Non sono un’esperta di politica internazionale, mi sembra giusto premetterlo. Tuttavia la mia vita mi ha portato a incrociare più e più volte le vicende del popolo curdo (io preferisco questa grafia, italiana e un po’ retrò, senza k iniziale: lasciatemi questo vezzo), uno dei più famosi popoli senza patria della storia contemporanea (insieme ai palestinesi). Non mi lancerò qui in un’esposizione dettagliata della questione. Se proprio siete digiuni, date una letta qui. Oggi mi interessa raccontarvi un po’ quello che ho pensato lo scorso Newroz (21 marzo), data in cui è stata dichiarata la pace tra curdi turchi, rappresentati dal loro leader Ocalan, e il governo turco. Se la cosa regge (per ora pare di sì) è la fine di un conflitto civile durato decenni, con migliaia di vittime, per lo più giovanissime, e di una storia di negazione di identità ancora dolorosissima fino a pochi anni fa.

Parto da un breve commento del testo della lettera di Ocalan, letta in curdo e in turco alle celebrazioni del Newroz a Diyarbakir/Amed (capitale del Kurdistan turco), alla presenza di una folla immensa. Inframezzerò qualche considerazione, ricordandovi che sono italiana, ho frequentato in una prima fase della mia vita turcologi e turcofili e, in una seconda fase, sia pur più superficialmente, molti curdi a Roma. Capisco un po’, mi sono fatta qualche idea, mi sono fatta spiegare alcune cose da Nizam (che pure ha le sue idee e le sue letture di fatti e situazioni, peraltro cambiate nel tempo). Insomma, per farvela breve: non prendete tutto come oro colato.

Chi è Ocalan? Non è una domanda facile. Come molti personaggi contemporanei e controversi, una descrizione implica di per sé un giudizio. Wikipedia è mediamente neutra, anche se tra le righe, secondo me, si legge: “una volta era uno tosto (magari non l’agnellino che alcuni dipingono), ora è rincoglionito: sarà stato il carcere”. Io ho vissuto da vicino la storiaccia del mancato asilo politico in Italia e le mie fonti di allora (il traduttore della commissione centrale per il riconoscimento dello status di rifugiato) mi dicevano che il documento depositato a corredo della domanda era densissimo di politica e di letteratura, niente affatto burocratico o dimesso. Velleità letterarie, del resto, il personaggio le ha sempre avute. Non saprei dire, e questo era quello che più mi lasciava perplessa in questi anni, quanto il seguito enorme che i curdi turchi gli riconoscono passasse attraverso le sue posizioni intellettuali, spesso assai complesse. A me, dall’esterno, sembrava (e sembra) piuttosto un culto della personalità, con tanto di bandiere con il suo ritratto e celebrazioni in contumacia per il suo compleanno. L’altra sera dicevo a Nizam: “Ma se fosse andata diversamente, non credi che l’atteggiamento dei curdi verso un Presidente Ocalan in carica sarebbe molto simile a quello di certi turchi nei confronti di Atatürk?”. Lui ne conveniva. Sono del resto due figure che hanno fatto grandi cose in modo autorevole. Il problema probabilmente è nato (per Atatürk) e nascerà (per Ocalan) soprattutto dopo la morte dei leader. I successori hanno legittimato come “eredità di Atatürk” praticamente qualunque cosa, estremizzando, manipolando e non di rado distorcendo le posizioni di lui. Non è improbabile che quando Ocalan non sarà più in scena avvenga qualcosa di simile. Comunque, torniamo a noi. Per ora Ocalan è vivo e vegeto e ha condotto con notevole costanza una trattativa con Erdoğan, il carismatico primo ministro turco.

E qui si impone un’altra parentesi. Chi è questo Erdoğan? Vale quanto osservato prima. Una descrizione implica un giudizio. Io non sono una ammiratrice particolare dello stile, vagamente populista, del politico in questione. Gli va però riconosciuta una personalità, una innovatività e un coraggio non comuni. Se la rischia, a volte (ma dopo calcoli attentissimi), e di solito vince. Basti pensare alla vicenda della nave Mavi Marmara: ha gestito tutta la crisi, complicatissima, in modo magistrale, con fermezza ma senza scadere nel becero antisemitismo, che pure è un problema serio nel Paese (io stessa in quei giorni assistevo basita a approfonditi documentari sulle reti nazionali turche che avevano per oggetto le comunità ebraiche di Turchia, in cui si sottolineava che gli ebrei sono cittadini turchi da sempre, alternati a rassicurazioni e inviti a non farsi scoraggiare rivolti a turisti israeliani e ebrei in genere). E’ infine riuscito a farsi chiedere scusa ufficialmente. Anche rispetto alla questione curda, ha fatto dei passi coraggiosi. Alla vigilia di una sua visita a Diyarbakir, anni fa, fece trasmettere in prima serata, selle reti nazionali, un programma tutto dedicato alla denuncia esplicita delle torture praticate per anni dai militari turchi nel carcere di quella città. Nizam quella sera era davvero scosso, non solo per la crudezza delle testimonianze, ma per l’assoluta novità del gesto. Immaginate che fatti del genere sono stati ufficialmente negati per decenni. Ovviamente non parliamo di un paladino dei diritti umani, ma piuttosto di un politico ardito, addirittura spregiudicato: non fa atti del genere per nobiltà di cuore, ma per consolidare e ampliare i suoi immensi consensi, all’interno del Paese, ma anche all’estero.

Ci voleva comunque fegato a condurre una trattativa con quello che per molti nazionalisti turchi è Colui che non Può Essere Nominato. Ed ecco il risultato, la lettera.

Saluto uno fra i popoli più antichi delle terre sacre di Mesopotamia e Anatolia…. Stilisticamente parlando, siamo davvero nel Vicino Oriente (antico, moderno e contemporaneo). Metafore, geografiche e non, come se piovesse. Retorica a palate. Ma immaginate una piazza con centinaia di migliaia di persone in abiti tradizionali: rende, indubbiamente. Che i popoli stiano tornando alle loro radici non so né se sia vero, né se sia una bella notizia. Ma un filo di fondamentalismo, orsù, non guasta mai.

Ma veniamo al cuore del messaggio. Questa lotta, che è cominciata come la mia ribellione individuale contro l’ignoranza, la disperazione e la schiavitù in cui ero nato, ha provato a creare una nuova coscienza, una nuova comprensione e un nuovo spirito. Oggi vedo che i nostri sforzi hanno raggiunto un nuovo livello. La nostra lotta non è stata e non potrà mai essere contro una determinata razza, religione, setta o gruppo. La nostra lotta è contro la repressione, l’ignoranza e l’ingiustizia, contro il sottosviluppo imposto e contro ogni forma di oppressione. Oggi ci stiamo risvegliando verso una nuova Turchia e un nuovo Medio Oriente. Ai giovani che hanno accolto il mio invito, alle donne che hanno dato ascolto alla mia chiamata, agli amici che hanno accolto il mio discorso e a tutte le persone che possono sentire la mia voce: Oggi comincia una nuova era. Il periodo della lotta armata sta finendo, e si apre la porta alla politica democratica. Stiamo iniziando un processo incentrato sugli aspetti politici, sociali ed economici; cresce la comprensione basata sui diritti democratici, la libertà e l’uguaglianza. Debite precisazioni  (rispetto alla razza e alla religione) e annuncio: da oggi si cambia. [Per Barbara: i giovani e le donne a cui ci si riferisce sono, posso supporre, i combattenti guerriglieri, notoriamente ambosessi].

E che, dunque, abbiamo scherzato? Affatto. Abbiamo sacrificato gran parte della nostra vita per il popolo curdo, abbiamo pagato un prezzo molto alto. Nessuno di questi sacrifici, nessuna delle nostre lotte, è stato vano. Grazie a questo, il popolo curdo ha conquistato ancora una volta la propria identità e le proprie radici.

Attenzione: non è (solo!) una resa quella che viene proposta. E’ un nuovo programma, molto più ambizioso. Qui si introduce un concetto importantissimo: non vogliamo uno stato indipendente per i curdi. Vogliamo costruire una nuova Turchia con tutte le altre minoranze etniche, linguistiche e religiose. Questa è terra di tutti.  Siamo ora giunti al punto in cui “le armi devono tacere e lasciare che parlino le idee e la politica”. Il paradigma modernista che ci ha ignorato, escluso e negato è stato raso al suolo. Che si tratti del sangue di un turco, un curdo, un circasso o un laz – il sangue versato scorre da ogni essere umano e dal ventre di questa terra.

Specificamente: E’ tempo di ritirare le nostre forze armate al di fuori dei confini. Questa è dura. In modo semplice e diretto, ordina ai guerriglieri di lasciare il territorio turco (previo accordo con i curdi iracheni). Ma poi ritorna subito sul concetto del Paese plurale, una vera rivoluzione in un contesto del genere.

Questa non è la fine, ma un nuovo inizio. Non si tratta di abbandonare la lotta, ma di cominciarne una nuova e diversa. La creazione di aree geografiche “pure” basate sull’etnicità e mono-nazionali è una fabbricazione disumana della modernità che nega le nostre radici e le nostre origini.

Ecco, non so se funzionerà e non so neanche se davvero sia questo il vero centro dell’accordo politico. Ma un’affermazione del genere in un Medio Oriente in costante deflagrazione etnica mi pare degna di nota. Certo, ha la sua valenza tattica: uno delle motivazioni della spasmodica affermazione dell’identità turca, a scapito delle altre e spesso del buon gusto e della decenza, aveva la pragmatica motivazione di tenere compatto un territorio che è un vero continente, dal punto di vista della varietà. Già avere una minoranza di svariati milioni di persone qualche ansia la crea, capite bene. Resta però un guizzo, che a me piace considerare non solo retorico: Una grande responsabilità ricade su tutti noi per costruire un paese giusto, libero e democratico di tutti i popoli e le culture, che si addica alla storia del Kurdistan e dell’Anatolia. In questa occasione del Newroz invito gli armeni, i turcomanni, gli assiri, gli arabi e tutti gli altri popoli così come i curdi a rispettare la fiamma della libertà e dell’uguaglianza – il fuoco che si accende qui oggi – e abbracciarla come propria.

Amen. Poi iniziano le bacchettatine, garbate, al popolo turco, a partire dal ricordo della millenaria vita in comune (lo sapete che Saladino era curdo?). Nonostante tutti gli errori, gli ostacoli e i fallimenti degli ultimi novant’anni, ancora una volta stiamo cercando di costruire un modello di società con tutti i popoli, le classi e le culture che sono state vittime e hanno sofferto a causa di terribili disastri. Chiedo a tutti voi di fare passi in avanti e contribuire al raggiungimento di un’organizzazione sociale egualitaria, libera e democratica… L’ampiezza e la completezza del concetto di “NOI” ha un posto importante nella storia di questa terra. Ma nelle mani di ristrette élites dominanti, il “NOI” è stata ridotto a “UNO.” E ‘il momento di dare al concetto di “NOI” il suo spirito originario e di metterlo in pratica.

Scusate se è poco. Sul finale, una meravigliosa composizione di retorica antica e moderna. Notate, per dire, il fascino quasi biblico di questa frase: Coloro che non riescono a comprendere lo spirito dei tempi finiranno nella pattumiera della storia. Coloro che resistono alla corrente cadranno nell’abisso.

Ultimo punto, anch’esso interessante. Le verità nei messaggi di Mosè, Gesù e Mohammad vengono rivitalizzate oggi secondo le nuove tendenze. Le persone stanno cercando di recuperare ciò che hanno perso. Non neghiamo i valori della contemporanea civiltà dell’Occidente nel suo complesso. Raccogliamo infatti i valori dell’Illuminismo, l’uguaglianza, la libertà e la democrazia, e per attuarli ne facciamo una sintesi  con i nostri valori esistenziali e i nostri modi di vita. Qui davvero io vedo l’ambizione di superare gli schemi: occidentale-orientale, religioso-laico, politico-religioso…. Non so se la realtà turca abbia, almeno a tratti, compiuto questa sintesi nuova, o se riuscirà a compierla in misura significativa nel prossimo futuro. Di una cosa sono ragionevolmente certa: se pure fosse, i nostri media non riusciranno mai a raccontarcela.

3 pensieri riguardo “Pace in Kurdistan, pensieri”

  1. Sai che a me questo discorso è piaciuto molto proprio per come vengono usate bene le argomentazioni retoriche, pur non sapendo nulla del contesto. Mi è sembrato un discorso coraggioso, un programma enorme e l’ ambizione finale, come dici tu, di superare certe contrapposizioni la sostengo di cuore. Mi chiedo solo se può funzionare. .

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