Stasera io e Meryem parteciperemo alla veglia per la Siria in piazza del Campidoglio, in occasione dei 3 anni di guerra. Sono sempre più convinta che coinvolgere Meryem in queste occasioni sia opportuno. Quando gliel’ho proposto lei ha accettato convinta. L’unica piccola delusione è stata sapere che “quella signora tanto brava a cantare” (Evelina Meghnagi), che era intervenuta alla veglia per le vittime del naufragio del 3 ottobre, probabilmente stavolta non ci sarà. Non posso fare a meno di pensare che io non ero tanto più grande (8 anni) quando mia madre mi portò alla camera ardente di Luigi Petroselli. Allora non sapevo nemmeno bene chi fosse e perché mia madre ci tenesse ad andare. Eppure ricordo con molta precisione quella visita e ho conservato dentro di me il messaggio che quella era un persona da apprezzare e stimare. Un messaggio positivo e un orientamento concreto, nonostante il cadavere.
Meryem sente parlare di guerra in Siria già da un anno. Ha partecipato all’iniziativa, improvvisata, #disegniperlaSiria. credo quindi che esserci insieme, pubblicamente, per comunicare che questa situazione ci importa, non sia una forzatura.
Certe volte mi rendo conto, da osservazioni che raccolgo casualmente, che anche sull’unico conflitto in qualche misura mediatico persino in Italia molte persone in perfetta buona fede dimostrano una totale disinformazione e inconsapevolezza. Approfitto di questa occasione per fare tre piccole precisazioni. Spero di non risultare antipatica o maestrina, non è certo questa la mia intenzione.
1. La guerra in Siria non è una guerra religiosa, men che meno una persecuzione di cristiani da parte dei musulmani. Tutti i siriani soffrono allo stesso modo. Anzi, paradossalmente in questo momento la sofferenza sembra l’unica cosa che tutti i siriani hanno in comune.
2. La situazione in Siria è indescrivibile. Ma non basta passare un confine per essere al sicuro. I rifugiati siriani in Libano, Giordania e Turchia non sono meno bisognosi di assistenza e protezione. Trovare il modo di offrire vie di fuga sicure e efficaci non solo dalla Siria, ma dall’intera regione, in questo momento è urgente e prioritario. Il che, mi rendo conto, cozza con la sensibilità diffusa che “è meglio aiutarli a casa loro” o almeno il più vicino possibile a casa loro (o il più lontano possibile da casa nostra). In questo caso, credetemi, per sopravvivere è necessario allontanarsi. I numeri parlano da soli.
3. I soldi servono, non starò qui a negarlo. Se fate offerte, accertatevi che l’organizzazione a cui le fate sia affidabile e operi effettivamente per la causa che vi sta a cuore. Ma è importante anche andare oltre le mere necessità materiali, anche se sono immense. I rifugiati non sono vittime di calamità imprevedibili e immodificabili. Non smettiamo di chiederci quali sono le cause e le concause delle sofferenze di tutte queste persone, bambini compresi. Si può modificare qualcosa? Certamente sì. A tanti livelli. Abbiamo rispetto dei siriani. Non stanno solo morendo di fame. Tutto questo per dire, per l’ennesima volta: anche parlarne è importante. La nostra indifferenza è percepita dai siriani come una violenza ulteriore. Forse sarete scettici rispetto a questo. Ma ve lo assicuro, è proprio così.
Concordo pienamente sulla possibilità di coinvolgere i bambini anche su questioni come la guerra in Siria. Tra gli otto anni e i sei però ci passa in mezzo un mare. Se si sbaglia il linguaggio il rischio è quello di caricare su piccole spalle un peso troppo grande per essere sopportato e condurrà inevitabilmente a una futura scoliosi emotiva. Una bambina matura e sensibile non deve trarre in inganno. Sei anni sono sempre sei anni.
Vero, Flavio. E confesso, a posteriori, che visto lo stile assai televisivo dell’evento di stasera non sono più così convinta di aver fatto bene. Troppo compiacimento, troppa studiata enfasi di testimonial famosi. La veglia per il naufragio di Lampedusa, a cui l’avevo portata solo perché impossibilitata a fare altrimenti, aveva avuto ben altra sobrietà. Va considerato anche, a mia discolpa, che Meryem ha un padre rifugiato che, sia pure in forma di avventura, le ha raccontato la sua storia. Insomma, forse ho fatto male ma ormai è fatta…