Una delle amiche di mia figlia è peruviana. Le bambine sono in classe insieme fin dalla materna e la mamma di C., giovane e piuttosto riservata, si è ormai arresa alla nostra costante presenza, anche per merito della presenza affettuosa di tata Silvana. E’ stata comunque una piacevole sorpresa essere invitate a festeggiare il compleanno di C. a casa loro. “Non è una festa”, si è affrettata a precisare la mamma. “Ci vediamo con zii e cuginetti. Ma se ci siete anche voi ci fa piacere. In un certo senso ormai siete parte della famiglia”.
Non sapevo bene cosa aspettarmi ed ero anche preparata, eventualmente, a lasciare Meryem e ripassare a prenderla più tardi, per non essere inopportuna. E invece la frase della mamma non era una frase fatta. Ci hanno accolto con affetto e naturalezza, come membri della famiglia.
Al mio arrivo mi hanno chiesto se parlassi spagnolo. Io ho confessato che, sebbene capisca un minimo, in effetti non lo parlo. Da quel momento tutti, bambini inclusi, hanno parlato per tutto il pomeriggio – anche fra loro – esclusivamente in italiano. Anche la canzoncina di compleanno è stata cantata prima in italiano e, a seguire, in spagnolo. Mi sono immaginata questa scena in una riunione di famiglia italiana e ho provato un certo imbarazzo.
Meryem è subito sparita a scatenarsi con i cuginetti dell’amichetta, di età assortite. Io non ho più avuto alcun impulso di fuga, perché ho potuto godere di un’ottima conversazione, varia e di livello, che ha toccato tra l’altro critica cinematografica (con particolare riferimento a La grande bellezza), politica italiana e soprattutto internazionale (visto che si è presto convenuto che su la prima c’è piuttosto poco da dire), con particolare riferimento alla Turchia quando è emerso che il padre di Meryem viene da lì, genitorialità. Una delle zie, anch’essa considerevolmente più giovane di me, raccontava di quanto sia affascinante il fatto che genitori non si nasce, ma si cresce (ho avuto il sospetto persino che conoscesse un certo sito leader del settore).
Mi hanno raccontato aneddoti di famiglia e hanno riso educatamente ai miei, si è inevitabilmente venuti a parlare anche di immigrazione e della drammatica assenza di mobilità sociale nel nostro Paese. Alcuni di loro sono venuti qui coltivando il sogno di poter mettere a frutto le proprie potenzialità, ma dopo molti anni si sono resi conto che le opportunità sono poche e poco realistiche. Eppure restano ottimisti e fiduciosi rispetto a una possibilità di cambiamento, anche politico: “questo è il Paese dove stanno crescendo i miei nipoti, non posso arrendermi così facilmente”, mi ha gentilmente redarguito uno degli zii mentre esprimevo tutto il mio sconforto di elettrice e cittadina. Un pomeriggio che mi ha fatto pensare.