Tanto prima o poi questo post lo riscriverò, anche se sull’argomento mi sono già espressa chiaramente lo scorso anno. Quindi tanto vale farlo oggi, che sono comunque di pessimo umore. Quest’anno la scuola chiude la prossima settimana, dopo un numero x di giorni di vacanza e di chiusura dovute a elezioni, festività e ragioni imprecisate.
Non vi ripeto tutta la lamentazione, mi limiterò all’essenziale: una scuola pubblica che chiude per tre mesi abbondanti (un terzo dell’anno) non si preoccupa di fatto di offrire a tutti quelli che la frequentano le stesse opportunità. In quei tre mesi il divario tra chi ha i soldi e chi non li ha (perdonatemi la distinzione terra terra) è di per sé immane. A questo si aggiunge quello tra chi ha i nonni e chi non li ha, tra chi ha un lavoro flessibile e chi non lo ha, eccetera eccetera.
Non è l’unico problema della scuola pubblica, certo. Non è l’unico problema della scuola in generale. Ma è quello di stagione, questo me lo concederete, nonché uno di quelli che più mi brucia, in assoluto.
Qualunque creativa attività che (pagando) si possa avere, migliore o peggiore che sia, ha comunque la caratteristica di essere per sua natura temporanea, disorganica, a volte assolutamente settoriale. Non so se nell’attuale offerta di attività, pur ammettendo di avere budget illimitato e nessun vincolo di luogo e di orario, si potrebbe rintracciare qualcosa che abbia un senso e continui ad averlo per 11 settimane (cioè le settimane di chiusura della scuola meno le tre settimane di ferie di cui posso disporre). Se poi ci si cala nella realtà e si applicano i filtri del pagabile (sia pur con fatica, buffi, rinunce e collette) e del logisticamente compatibile, la scelta si orienta decisamente sul meno peggio.
Paradossalmente il format di famiglia ideale per affrontare le vacanze scolastiche è quello dei genitori separati. Chi non lo è, a volte lo simula prendendo ferie in periodi diversi. Chi è “fortunato” e può disporre dei nonni, provvede a manovre di affido ai limiti dello sbolognamento del pacco ingombrante. Posso dire che tutto questo? A me pare una follia. Una follia pura.
Quello del calendario scolastico mi pare uno dei molti tabù ideologici che esistono in questo Paese. Ah, come era bello quando nella nostra infanzia ci si apriva un periodo spensierato di lunghi mesi senza scuola, di noia creativa, di socializzazione e contatto con la natura… Beh, mi permetto di dire che non tutti l’hanno vissuta così, già allora. Io, che pure potevo contare su una madre insegnante che (salvo esami di maturità) era più libera di altri lavoratori (si può dire almeno questo?), non ricordo vacanze particolarmente straordinarie e memorabili (il budget era quello che era). Ma che, cosa più rilevante, io ritengo che la percentuale di bambini che la vive così adesso non sia la maggioranza. E se anche lo fosse, mi piacerebbe molto che uno Stato civile si preoccupasse un minimo anche di ciò che si prospetta per le minoranze.
Sono pienamente e totalmente d’accordo con te, tre mesi di vacanza mi sembrano davvero troppi, dovrebbero almeno offrire un’alternativa: campi scuola, attività extra, insomma qualcosa che tenga occupati i bambini per almeno parte delle vacanze perché mettono in seria difficoltà chi deve lavorare, chi non ha i soldi per pagare una babysitter o chi non ha nonni o parenti vicini. Io solo al pensiero che tra una settimana finisce la scuola vado in apnea, e non ti credere che la situazione dei genitori separati sia migliore, nel mio caso il padre fa da scaricabarili con la scusa che lavora fuori casa mentre io lavoro a casa e posso tenermele; peccato che io lavoro in mezzo alle api, nei campi sotto il sole o tra uffici vari…..
E poi siamo solo noi, vogliamo dirlo? Io poi mi sono annoiata tantissimo.
il calendario scolastico è stato organizzato quando in Italia c’era l’80% di contadini, e i bambini in estate servivano a lavorare nei campi….
adesso che la campagna la lavora se va bene il 7% della populazia mi parrebbe sensato aggiornarlo, ma temo che le resistenze tra il corpo docente sarebbero feroci, per usare un eufemismo.
contando che lo stesso è composto al 98% di donne, in maggior parte madri, che dei problemi delle altre se ne sciacquano allegramente….
senza contare che per colpa dei tre mesi di vacanza il primo mese di scuola è totalmente assorbito dal compito gravosissimo di far riprendere il ritmo agli alunni, che alla fine dell’estate hanno perso una decina di rampe nella scala evolutiva.
forse i nipoti di Meriem potranno godere di una scuola meglio organizzata, e soprattutto dedicata a chi ci studia e non a chi ci lavora (a tempo pieno, ché gli appesi sono considerati quasi peggio degli studenti), per il momento tocca abbozzare
Concordo pienamente! Ogni estate, ogni periodo di vacanza diventa un incubo da organizzare. Nella mia testa, nel “mio mondo felice” la scuola dovrebbe rimanere sempre aperta.
Scuola come punto di aggregazione.
Scuola non solo 6 ore di interrogazioni.
Scuola come insegnamento sui banchi e insegnamento del tempo libero e delle attività sociali.
Magari!
Da impiegata all’università, in particolare nella didattica, in questo periodo ho un sacco di pensieri su cosa si potrebbe fare per la scuola.
Noi abbiamo avuto una serie di richieste ministeriali in parte assurde ma in buona parte utili a riorganizzare un sistema completamente anarchico.
Nella scuola un modello simile potrebbe funzionare? Non lo so, temo che il personale amministrativo sia troppo poco e che ai docenti si debba chiedere di insegnare.
Intanto, sarebbe già bello che i comuni si occupassero dei centri estivi. Invece delegano agli oratori e (per mia fortuna) alle associazioni sportive.