Apprendo dal mio amico Dario che in Grecia l’albero di Natale non si usa: al suo posto si decorano modelli di barca a vela di legno. Se penso al Natale di quest’anno mi pare che l’immagine di una barca un po’ malridotta e rattoppata alla meglio, sbattuta dalle onde e dalle correnti all’improvviso, magari proprio quando sembrava che avesse trovato il suo modo di restare a galla, sia più appropriata della sicumera di un nordico e solido abete, scintillante di decorazioni e di luci.
Natale anche quest’anno è arrivato e passato (o forse sta passando) e il fatto che i cicli del tempo e della natura non dipendano da noi è sempre, a suo modo, rassicurante. Resta il fatto che io le vigilie di Natale tendo a viverle piuttosto male e anche se quest’anno ce l’ho messa tutta per creare manovre diversive, inclusi i solitamente per me temibili biscotti di Natale, è pur vero che c’è un limite a quello che si riesce a simulare per amore di una figlia e quel limite si avvicina pericolosamente via via che la figlia in questione cresce, fa domande scomode e fa anche due più due quando qualche cosa non torna (altrimenti detto: ti sgama di più, più velocemente e anche più spietatamente).
La mia barca scricchiola. Non da ieri, non in modo più allarmante di un tempo. Però scricchiola e la differenza più dolorosa è che ormai Meryem lo sa benissimo. Non è la fine del mondo, ma certamente è l’inizio di una stagione nuova.
Mi consolo pensando a quello che mia madre diceva sempre: “Barca storta, viaggio dritto”.
E buon Natale a tutti voi, di cuore.