Storie di famiglie – 2

A. è un paraculo. Faccia da schiaffi, simpatico, solare, estroverso. Una sagoma. Ancora parla malissimo italiano, ma non sta zitto un momento, gesticola, ride, scherza. Sa di essere un bel ragazzo e ci marcia. Non ha soldi neanche per le sigarette, ma non cede alla t-shirt e ai jeans. Ha sempre una certa eleganza, pantaloni con la piega e camicia. Le conversazioni con lui tendono a prendere una piega surreale e, anche se l’argomento è spesso tragico, si finisce per sbottare a ridere insieme. A. è somalo. E anche lui ha una famiglia in perfetto stile somalo. Atipica, sparpagliata su tre nazioni e quattro città, con un portafoglio di sfighe che sarebbe troppo complicato passare in rassegna in modo esaustivo (viste anche le serie difficoltà di comunicazione). La principale, tuttavia, è quella di dovere avere a che fare con l’ambasciata italiana a Nairobi per ottenere i visti per il ricongiungimento familiare.
In sintesi, ha due figli la cui madre è morta e che ora vivono con la nonna in qualche posto della Somalia.  Nel frattempo, in Kenya, si è sposato un’altra donna, somala come lui, (“perché per un uomo una donna è importante!” ci ripete a ogni pié sospinto). Ora che è rifugiato in Italia ambirebbe a fare confluire qui la sposina e i suoi figli. E qui incappiamo nel solito problema. Ai figli (pagando) si può fare il test del DNA, onde verificare la legittimità del ricongiungimento. La moglie però, non essendo la madre dei figli, non può essere sottoposta al test. Dei certificati di matrimonio kenyoti, a quanto pare, l’ambasciata italiana non si fida. Sembra che ne girino molti falsi. Lo stato di famiglia in Somalia, peggio che andar di notte. E quindi? Quindi no, apparentemente non si può fare. Abbiamo incontrato un altro somalo che, visto che non aveva figli, alla fine si è arreso e la moglie l’ha lasciata là e ha chiesto di fare venire la madre, che almeno è consanguinea. Però A., giustamente, non si rassegna. “Ma quante coppie senza figli ci sono qui in Italia?”, ci argomentava (sto traducendo molto liberamente dal suo coloritissimo italo-somalo). “Vi pare che una moglie non è moglie solo perché non ha avuto figli da me, ancora?”. E no che non ci pare. Però… “E allora la risposo!”. Prego? “Loro (l’ambasciata) mi dicono dove la devo sposare e io vado e la sposo. Così a loro va bene”.
Ora, soprassedendo sui costi e sull’irrealizzabilità del matrimonio bis, converrete che A. non ha fatto altro che dare voce a un nostro pensiero ricorrente, che vi vado a formulare qui. Ma insomma, cara ambasciata italiana, questi somali dove volete che si sposino? In Somalia no, perché senza governo l’anagrafe non esiste. In Etiopia no, perché al massimo li fanno sposare in moschea e non lo considerate un matrimonio valido. In Kenya men che meno, perché il certificato poi rischia di essere falso o anche solo di sembrarlo. Certo, un modo per aggirare i problemi ci sarebbe. Andarsene in Kenya, dove tua moglie è parcheggiata in attesa del visto a Nairobi e provvedere non a risposarla, come vorrebbe romanticamente il nostro giovane paraculo, ma a generare un figlio là per là, seduta stante. Così si fa il test del DNA ed è tutto a posto. Ma questo, a parte i tempi comunque un po’ lunghi che la cosa richiede, non ci sentiremmo di consigliarlo, francamente.

2 pensieri riguardo “Storie di famiglie – 2”

  1. Forse la tua soluzione è l'unica praticabile. L'alternativa è fare come mio cognato, che ha dichiarato di volere la figlia adottiva di sua moglie come colf (e quindi le deve anche pagare i contributi): è dal 2008 che aspettano il visto.

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