L’altro giorno ho accompagnato Meryem alla lezione di pattinaggio e, mentre la guardavo con la coda dell’occhio, ho ricordato con assoluta precisione quando su una pista del genere c’ero io. Fino ad ora, infatti, lei a pattinaggio era una principiante assoluta e io lo sono stata in un’età di cui non ho ricordi molto distinti. Ora invece ha cominciato ad esercitarsi nella modalità che è stata mia dalle elementari alla terza media.
Il pattinaggio artistico si pratica provando e riprovando. Giri intorno alla pista e provi una figura, un salto, una trottola. Una successione precisa di movimenti che deve diventare automatica e, allo stesso tempo, perfettamente controllata e consapevole. E allora succede che ripeti due, tre, dieci, venti volte quel movimento, prima su un rettilineo e poi sull’altro (o, se serve, sulle curve).
C’è qualcosa di zen in questa gara con se stessi. L’allenatore corregge individualmente e individuale è la maggior parte del lavoro. Millimitro dopo millimetro, pazientemente, si progredisce. Ricordo come oggi lo sguardo determinato della mia amica Giovanna mentre provava quell’axel che io ho sempre “rubato”, arrivando nella migliore delle ipotesi a un giro e un quarto su un giro e mezzo. Quell’espressione che lei aveva negli occhi a me è sempre mancata (e forse non casualmente io prima in una gara non sono arrivata mai).
Se si ripensa al pattinaggio a distanza di molti anni si tende a ricordare le gare, i saggi. L’attesa dell’esibizione, in cui io puntualmente mi sedevo a bordo pista bucandomi i collant con le schegge di legno. L’emozione di salire su un podio e il leggero panico di cadere rovinosamente, davanti a tutti. Ma quei pomeriggi passati a imparare la disciplina, quei tentativi certosini di riuscire, quel carico di frustrazione da masticare poco a poco, senza mai rilassare le braccia, no, non me li ricordavo. Eppure sono stati quelli la parte più importante.
Una tortura, direte ora voi. Come puoi pensare di far vivere questo a tua figlia? Ribatto, in primo luogo, che io non posso sapere se per lei sarà diverso. Magari ha più talento di sua madre e riuscirà con meno fatica. Ma l’obiezione più sostanziale è che poche cose per me sono state formative quanto il pattinaggio. Merito certo della mia allenatrice Cinzia Forghieri, ma anche di quel necessario allenamento alla perseveranza che tutte le discipline sportive richiedono. Ultima obiezione, non irrilevante: una delle prime gioie profonde della mia vita di cui ho memoria è la sensazione di pattinare con il vento nei capelli. Io, sola, con le mie forze. Sola con i miei pensieri. Sola con le cose che sapevo fare e tutte quelle che non mi riuscivano. Su quei pattini io non sono stata tanto spesso soddisfatta di me stessa, ma certamente ho imparato a fare i conti con onestà con quel che ero e quello che potevo (o non potevo) diventare. Su quei pattini sono stata davvero io, completamente.
E ovviamente se poi vorrà smettere, finito l’anno, potrà farlo! 🙂
Non c’é bellezza senza fatica…
La cosa difficile è frenare! Io sono una scema, perché vado a pattinaggio, ma non so frenare per cui mi freno facendo incontro con un albero o qualcosa 😉