Uno sguardo sulla blogsfera

Niente Mammacheblog per me, quest’anno. Ci avevo dovuto rinunciare anche l’anno scorso, ho recuperato idealmente con quello creativo in autunno. Ma a maggio, niente da fare. Ma, a essere onesti fino in fondo, quello che mi dispiace di perdere è più l’occasione di abbracciare dal vivo più amiche nello stesso momento che tutto il resto, pur sempre egregiamente organizzato.

Se guardo indietro alla mia storia di blogger (11 anni, mica pochi), non posso che provare stupore e gratitudine. Essere diventata mamma è stata un’occasione enorme di catapultarmi nelle reti della rete, sguazzandoci di gusto. Ho conosciuto moltissime persone, ho esercitato la mente sulle più svariate questioni. Mi sono confrontata sulla genitorialità, ho annusato con curiosità il mondo del marketing. Ho imparato un po’ di linguaggi, ho fatto cose improbabili, partecipato a eventi. Mi sono divertita e in qualche modo mi diverto ancora, quando incappo in qualcosa che stimola la mia curiosità. Ho provato a fare qalche timido esperimento di contaminazione tra il mio lavoro e la mia vita sul web. Tutto sommato non ho avuto i risultati che speravo, ma sono nate anche tante occasioni inaspettate. Il prodotto più mio di questi anni da blogger e frequentatrice appassionata di social network è sicuramente il friendsurfing, in due straordinarie edizioni (agosto 2013 e agosto 2014).

Continuo ad essere curiosa di tutto, ma forse oggi ho più chiaro cosa non mi interessa tanto e cosa mi ha proprio stancato e, per riflesso, cosa mi interesserebbe coltivare di più.

– Trovo un po’ noiosi, forse anche per raggiunti limiti d’età di mia figlia, tutti questi continui consigli su prodotti per mamme. Non ne faccio una questione morale sui post sponsorizzati, sia chiaro. Suonerei proprio come la volpe e l’uva, dal momento che qualcuno, di livello minimo, l’ho scritto anche io e all’occorrenza lo rifarei. E’ solo che non ci credo molto a questo assunto che se un blogger che leggo parla di un prodotto è un po’ come se me lo consigliasse un amico/ un’amica. Se un blogger che leggo parla di un prodotto prima vedo se è riuscito/a con arguzia, fantasia ed eleganza a scrivere comunque qualcosa di leggibile e poi, a seconda dei casi, mi rallegro perché è uscito/a vivo/a pure da questa prova oppure sospiro con indulgenza pensando “si deve pur campare”. Se voglio un consiglio da un amico/un’amica lo chiedo a un amico/un’amica, anche nel senso molto ampio del termine (amico sui social, ad esempio). Sondo le esperienze dei miei contatti, le valuto a seconda di quanto tendo a considerare affidabile quella specifica persona su quello specifico argomento. La comodità di Facebook è che non devo mettermi a fare cinquanta telefonate per questo. Se mi serve un parere (ma anche una cosa in prestito, una traduzione al volo, ecc), chiedo. E a questo livello temo che le aziende abbiano poco da inserirsi, almeno mi pare. Ma magari sbaglio.

– Mi sono un po’ stufata anche di quei post creati solo per suscitare un dibattito, tipo “prendiamo un tema di cui si parla, esprimiamo un’opinione di rottura e raccogliamo contatti”. Una volta ci sta, ma sistematicamente è noioso. Certo, si potrebbe creare un blog dedicato a “questioni da dibattere”. Ma almeno che sia dichiarato!

– Molto più interessanti da scrivere e da leggere sono le recensioni di eventi per bambini, attività, eventualmente corsi, laboratori. Quelle le scrivo (solitamente gratis) e le leggo molto volentieri. Quando vedo publicizzato uno spettacolo mi interessa molto avere elementi per giudicare se vale il prezzo del biglietto. Anche recensioni di film e libri sono gradite, ma per quelle ci sono siti autorevoli. Se un blogger, me compresa, scrive di un libro o di un film mi aspetto qualcosa di più di una scheda di presentazione che potrei trovare altrove.

– E veniamo a Facebook: usato con consapevolezza resta un bello strumento, utile per mantenere e rinsaldare rapporti, anche a distanza, attraverso interazioni frequenti, che nulla vieta che siano anche significative. I gruppi, specialmente di quelli segreti, hanno tanti aspetti comodi e intriganti (io stessa faccio parte di alcuni di essi), ma anche qualche controindicazione. Come tutti i club e le affiliazioni non dichiarate, vederne poi gli effetti nel mondo esterno (collaborazioni lavorative, endorsement, eccetera) mi provoca sempre qualche dubbio di ammissibilità, per dir così. Che poi succede di continuo, ovviamente, anche fuori di Facebook: alzi la mano chi, almeno una volta, non ha conosciuto quel papà tanto simpatico a bordo pista di pattinaggio e, scoprendo che è architetto, gli ha chiesto un parere professionale. Niente di male. Però quando il rapporto è di gruppo e alla fine equivale ad avere una tessera invisibile e spendibile in molti contesti… Mah. Per non parlare dei gruppi che so esistere e a cui non sono stata invitata! Ah, lì scatta proprio il magone da esclusione da studentella delle medie.

– I social sostituiranno i blog? Dipende. I social non potranno sostituire quei blog che esistono per i loro contenuti. Che siano contenuti autorevoli di informazione o di approfondimento, contenuti di sapore letterario (quelli, per intenderci, che prima o poi confluiscono in un libro “vero”….) o semplicemente racconti e sfoghi di respiro più ampio di qualche frase, il blog restanecessario. L’interazione, i commenti, la condivisione si sposta sui social. E dunque sempre più raro è il caso del blogger che leggo senza sapere proprio chi è: dai social finisco per chiedergli l’amicizia e poi, sperabilmente, prima o poi ci si incontra.

– Leggere è bello. Bisognerebbe farlo di più, anche sul web: oggi l’impressione è che tutti scrivano e nessuno legga. di più. Che nessuno abbia tempo di leggere perché deve scrivere, anzi, pardon, produrre contenuti. Lo dico in primo luogo a me stessa. Non importa il supporto o il device che utilizziamo: abbiamo tutti bisogno di leggere molto di più e di prenderci tutto il tempo che serve per farlo. Quando si legge poco si vede. In qualche caso dal linguaggio sciatto. Nella maggior parte dei casi dalla povertà e dalla scarsa originalità di quei “contenuti” che alcuni pretendono di “vendere” solo in virtù del fatto che provengano da quel certo autore. Questa è una deviazione del personal branding (concetto che mi fa comunque ancora oggi un po’ problema). Anche chi acquista prodotti di marca, a meno che non sia un imbecille, lo fa perché cerca la qualità, una qualità distintiva. Per quanto sia forte il vostro personal branding, se scrivete cose che non val la pena di leggere probabilmente continueranno a leggervi in molti lo stesso, ma voi finite per sminuirvi e impoverire la vostra anima.

Oh, lo sapevo che questo post inutile sarebbe finito a predica. Dovrei concluderlo con una sviolinata su Spinder e il web “ai tempi miei”. Ma no, questo è troppo anche per me. Lasciamolo così, un appunto che lascia il tempo che trova.

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