In apnea

Avrei voglia di scrivere un bel post sul dialogo interreligioso e sul  film, Timbuktù, che ho visto venerdì scorso. Ma per questo mi serve tempo, calma, riflessione. Pazienza, la pazienza che in questo momento non ho.

Ogni mattina, e questa mattina più di tutte le altre mattine, mi alzo presto e per mezzora, diligentemente, faccio ginnastica tentando di svuotare la testa dai pensieri, notturni e diurni. Leggo i sottotitoli enfatici del dvd americano – che seguo per quanto mi riesce – e registro meccanicamente quei messaggi positivi, incoraggianti, motivanti e in qualche modo avulsi da me e dalla mia esperienza.

Non è la motivazione che mi manca, secondo me, almeno per la parte più rilevante della mia vita e delle mie energie (la motivazione per fare ginnastica la mattina, sinceramente, non la prendo molto in considerazione, finché c’è). Sento anzi una certa gravità nelle mie motivazioni lavorative, in questo momento. Sento anche una certa responsabilità, più ancora che in passato.

E allora cosa mi manca? Fiato. Resistenza. Respiro. Mi manca quella boccata di aria fresca e leggera che arriva all’improvviso, inattesa, imprevista. Non è un brutto periodo, non fraintendetemi. Anzi. E’ più che mai un periodo denso. Però mi pare di essere sempre in apnea. Di trattenere la pipì per non perdere tempo. Di non fermarmi a bere alla fontanella anche se, pensandoci, ho una sete spaventosa. E allora forse a questo mi alleno, la mattina. A impormi qualche cedimento controllato, qua e là.

 

(L’immagine è Lovisa Ringborg – Holding breath, 2005)

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