“Allora, come è andata?”. La maestra di yoga C. mi ha fatto da subito una certa simpatia. Alta, snella ma non magra, con un piglio da generale di armata e una solida concretezza che cozza con l’immagine della pratica tutta sospiri e visualizzazioni di onde del mare. L’ora e mezza che ho trascorso sotto la sua guida è stata sorprendente. Ho scoperto l’esistenza di punti del mio corpo che ignoravo totalmente. Ho scoperto che si può sudare disperatamente anche stando quasi fermi. Questo yoga è praticamente l’anti zumba. Silenzio, ma lavoro di precisione. E un calore sorprendente che sembra sprigionarsi da ogni giuntura.
Mi preoccupavo della mia incapacità di fare cose nebulose tipo “visualizzare il corso dei pensieri che scorrono”. Ma poi ho realizzato che non mi è stato richiesto nulla di tutto ciò, eppure per un’ora e mezza non mi sono distratta un attimo. Da cosa? Boh. Dal lavoro, direi. Un lavoro apparentemente impercettibile, ma non per questo meno intenso.
Com’è andata, allora? “Beh, molto diverso da quello che mi aspettavo”. Credevo (e mi ero anche un po’ pentita) di essermi adagiata su una roba soft da sessantenne, da rinunciataria. Grassona, sono le calorie che devi bruciare, altro che ohm! mi dicevo tra me stamattina. Invece stasera sono estenuata e soddisfatta, con i muscoli tutti, ma dico tutti, ben doloranti. E la soddisfazione di essere persino servita come esempio. No, mica perché ero brava. Ma perché sono “un caso strano” e quindi didatticamente utile: nonostante una vita da incriccata, infatti, sono eccessivamente snodata in alcune articolazioni. “Tu devi lavorare sulla forza, invece, devi andare sempre al di sotto del movimento che ti viene spontaneo”, correggeva C. implacabile. Le mie braccia tremavano come ricotta fresca. Con pochi sapienti tocchi, infatti, gli esercizi dai nomi impronunciabili e indistinguibili diventano personalizzati: un cuscino sotto la testa di una, un mattone a fianco dell’anca dell’altra. Strano da spiegare. A ciascuno il suo.
“Insomma, credevo che fosse molto più soft”, ho confessato alla fine. “Eh, lui è un tipo passionale”, ha ribattuto C. come se fosse la cosa più naturale del mondo. “Lui” è, suppongo, il maestro iniziatore di questa specifico tipo di yoga, il metodo Iyengar. “Al resto ci si arriva così, colpendo duro”, insiste lei con un sorriso assassino. Non so se voglio sapere cos’è esattamente il resto. Però stasera mi sento da Dio. E’ un sollievo un po’ simile a quello del massaggio thailandese, che a suo tempo avevo accostato al parto: è talmente meraviglioso che sia finito che il corpo esulta in ogni cellula. Ma qui c’è anche la soddisfazione di essere sopravvissuta e anche tornata a casa sulle mie gambe. Anche se mi sento un po’ come se dei guizzanti energumeni indiani dal sorriso soave mi avessero preso a randellate sulle scapole e sui glutei. Pacatamente.
bello! A me le stesse sensazioni me le dà il pilates (il pilates da peones: a terra, a piedi scalzi, su asciugamano, non quello con le macchine da fitness club esclusivo)
Oh, nella palestra di zumba c’è anche il pilates a terra. Quasi quasi lo provo!
Così puoi svenire senza che nessuno lo noti! 🙂
vedrai è stupendo: come dice Chiara, sudi anche da ferma e poi sei piacevolmente distrutta!
Ah il potere del corpo…
🙂
Almeno avessi trovato delle maestre di yoga così! Mi incuriosisce molto la tua maestra, peccato stia un po’ fuori mano per me…
Lo yoga è meraviglioso… io ho fatto sia hata che quello di Iyengar… mi sono trovata benissimo e ho avuto la fortuna di incocciare in due splendidi maestri. Mi manca!!! Qua purtroppo la spending review familiare ha imposto scelte drastiche… per quest’anno passo, il prossimo magari riprendo!