Ieri mi sono trovata sottomano le non moltissime lettere (6 in tutto) scritte ai miei da Gerusalemme, durante il mio soggiorno di due mesi per il quale usufruivo di una borsa di studio per lo studio dell’ebraico moderno. E’ stato un periodo molto intenso per me, un’esperienza davvero importante, a cui ripenso ancora oggi. Sere fa, con alcune amiche, ne ripercorrevo gli aspetti più comici, che certo non sono mancati. Questo mi ha spinto a ricercare le lettere. Va però detto che, a soli dieci giorni dal mio arrivo, è successo questo: io ero uno dei “summer students” menzionati nell’articolo e viaggiavo sull’autobus successivo della stessa linea, perché avevo trovato pieno il precedente. Le comunicazioni non erano quelle di oggi. Si telefonava con molta difficoltà e anche le lettere non arrivavano rapidamente. Niente web a disposizione, ovviamente.
Nelle lettere ai miei ho ritrovato aspetti di quel soggiorno che avevo dimenticato, o che ricordavo solo parzialmente. La testimonianza schiacciante che, per la prima e credo unica volta, contavo i giorni per tornare a casa. La fatica rispetto alla scomodità della logistica e la costante tensione che avvolgeva le nostre giornate. Il malcelato fastidio per lo stile generale, tutto ideologico, della didattica. A loro lo raccontavo in tono giustamente scanzonato e mi commuove anche il mio ingenuo modo di ringraziare i miei genitori per aver reagito in modo composto alla notizia dell’attentato (il mio fidanzato, appena ha saputo che non rientravo in Italia immediatamente ma continuavo il periodo di studio previsto, non ha più voluto avere contatti con me fino al mio rientro, offeso). Ma traspare anche la mia incertezza in un contesto di cui non sapevo molto, in un momento politico tra i più complicati (in quei giorni si firmavano gli accordi di Oslo 2 tra Arafat e Rabin, a novembre, poco dopo il mio rientro, hanno ucciso Rabin).
Vi racconto questo per dire che no, non vi propinerò l’intero epistolario. Estrapolerò i racconti più ironici e divertenti e forse qualche passo più serio qua e là. Rileggere, oltre ai miei scanzonati temi di prima media, anche queste testimonianze di ventiduenne mi aiuta a far pace con la giovane che sono stata, che non è stata in grado allora di fare alcune scelte che probabilmente avrebbero migliorato molto la sua (e mia) vita. Però faccio presto a dirlo io, disincantata quarantenne. La giovane studiosa un po’ arrogante ha fatto del suo meglio. L’ho rivista girare per il campus in cerca di una chitarra in prestito per ravvivare un po’ l’ambiente, o persino telefonare a perfetti sconosciuti (cosa che mi mette a disagio ancora oggi) anche per aiutare una nuova amica che aveva la prospettiva di rimanere un anno intero in quel luogo infame: e penso che in fondo fosse, a modo suo, molto più generosa di quanto ricordassi.
Non so come ti ricordi la tua generosità di allora, io conosco solo quella di adesso e ne trovo tanta e sempre a proposito. (dacci, dacci)
Me la ricordo dai racconti delle lettere. Leggo che facevo cose che mi costavano, inconsuete, e ricordo perché le facevo. Avevo rimosso il tutto, ovviamente. Come pure avevo rimosso il fatto che uscivamo un’ora prima, la mattina, perché dopo l’attentato non riuscivamo a restare sull’autobus per tutto il tragitto. Scendevamo, ci facevamo passare le palpitazioni, e poi salivamo sul successivo. Cosa che, per diversi anni, mi è successa anche a Roma, peraltro. Ma questo non era nelle lettere. Mi è tornato in mente all’improvviso quando ne parlavo con le Bloggarole a casa di mia madre, il 3 gennaio.
non intervengo mai ma ti leggo appena posso per newsletter
è davvero stimolante il tuo modo di scrivere e di narrare
è davvero piacevole
Brava Chiara. ti ammiro davvero molto. È una fortuna che tu non fossi su quell’autobus. In questo modo possiamo ancora oggi apprezzare il tuo stile narrativo intenso e intelligente.